Creato da StefySelvatica il 29/01/2007
 

BULIMIA DI VIVERE

uscire dalla bulimia per tornare a vivere

 

 

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DIFFERENZE DI VISUALE TRA GENITORI E FIGLI - quarta parte

Post n°181 pubblicato il 24 Marzo 2010 da StefySelvatica
 

A conclusione dei post precedenti...

Credo, in definitiva, che sia, in un solo aggettivo, difficile, sia per chi sta male, sia per chi vive con chi sta male. 
Spesso i disturbi alimentari nascono proprio all’interno della famiglia d’origine; molto spesso chi si ammala, si ammala proprio in seguito a disagi derivanti dai rapporti famigliari ed esplica il proprio tormento interiore alienando la propria percezione corporea e facendo diventare il proprio corpo il fulcro di tutti i problemi (tutto va male? Dunque, non riuscendo a risolvere in modo sano ciò che mi tormenta, dirigo tutta la mia attenzione sul corpo. Quando sarò magro sarò perfetto ed inattaccabile dunque nessuno potrà più criticarmi).
E’ difficile dipanare questo meccanismo proprio nel contesto nel quale si può sviluppare ma, parlando in modo schietto: non si sceglie in che famiglia nascere o che figli mettere al mondo, quindi, inizialmente anche "solo" per sopravvivere meglio, si può imparare a rispettarsi in modo sincero.
La bulimia, in casi come questo, può fare da detonatore.
Il malessere è reso così evidente che diventa impossibile far finta che continui ad andare tutto bene. Intaccata la superficie apparentemente perfetta della famiglia ben oliata che, nel proprio intimo, è ricca di difetti e parole non dette, viene offerta ad ognuno la possibilità di rimettersi in gioco.
Qui scatta la paura. Qui scatta il coraggio di superare la paura. Qui scatta la possibilità di riflettere sui propri ruoli e sul perché una persona a noi così vicina è arrivata a gesti così estremi per manifestare il disagio ed il senso di inadeguatezza interiori.
Ho saputo di genitori che, nonostante la cruda realtà dimostrata dai propri figli, non si sono schiodati dai propri schemi mentali.
In effetti: il rendersi conto che diventa praticamente necessario mettere in discussione se stessi e tutto il menage famigliare può spaventare così tanto da arrivare ad un isolamento individuale ancora più alto. Ma con quali conseguenze? Agendo così non solo non si risolve minimamente il problema che coinvolge direttamente il proprio figlio ma non si coglie nemmeno l’opportunità di provare a vedere con occhi diversi una realtà quotidiana ormai sfuggita palesemente di mano.
L'alternativa è dunque PROVARE ad agire attraverso un sottile gioco di equilibri, di tentativi di avvicinamento, di coraggio, di errori, di discussioni, di pianti ma anche di sorrisi e di calore che si possono ritrovare.
La persona malata mette sul piatto il dubbio su una serie di situazioni diventate insostenibili. 
Sta ai singoli componenti famigliari decidere come affrontare se stessi e le proprie insicurezze e, a mio avviso, è sempre meglio fare un tentativo, anche se sbagliato, che rimanere in attesa o, peggio ancora, far finta che il disagio non esista.


Un'ultima riflessione: l’altra possibile faccia della medaglia
La malattia rappresenta la manifestazione dei sentimenti dolorosi e negativi che una persona prova nella propria intimità. 
Esistono malati che, una volta valutato il fatto che “grazie” alla malattia sono riusciti ad accentrare finalmente l’attenzione su se stessi, perpetrano la propria condizione autolesionista proprio per trattenere coloro ai quali vogliono bene.
E’ fondamentale dunque cercare di trasmettere il più possibile alla persona che soffre che è più importante della sua condizione patologica (cosa ovvia ma che è da sottolineare ad un malato di bulimia) e che non ci interessiamo a lei perché è pelle e ossa o perché non mangia o perché sviene e quindi ci strazia il cuore e ci fa pena, ma perché l’amiamo per quello che è. 
E’ determinante dunque non concentrarsi sull’alimentazione o sulla magrezza ma su tutto ciò che può stimolare questa persona, che può farla star bene, a costo di discutere, a costo di insultarsi, a “costo” di farla finalmente di nuovo sentire viva.
Tutto questo forse può essere più semplice per gli amici, i fratelli, i fidanzati o i coniugi ma non credo che sia così impossibile provare a ricreare un rapporto di fiducia e scambio di opinioni sincere tra genitori e figli.
Di nuovo: è necessario mettersi in gioco ma, alla fine, credo che ne valga la pena.
Io posso soltanto scrivere che il confronto tra me e mia madre, nonostante sia arrivato in modo non forzato dopo anni dalla malattia, ha dato i suoi frutti e che un pò di quel calore che descrivevo, l’abbiamo sentito entrambe.

Con affetto,

Selvatica




 
Rispondi al commento:
Utente non iscritto alla Community di Libero
elisa il 09/04/10 alle 16:30 via WEB
si mi piacerebbe,perche penso che ascoltare la storia di un altra persona che ha vissuto quello che tu stai vivendo, e che ne è uscita, sia un aiuto molto grande. però a dire la verità non so se sia il caso.. nel senso che non so neanche se posso considerarmi guarita...dopo quanto del resto si può considerarsi tali? poi il mio è un caso un pò anomalo, cioe dietro al disturbo alimentare c'erano tutta una serie di altre problematiche complesse di cui quello non è altro che la punta di un iceberg...e che ancora sto cercando faticosamente di risolvere... in pratica non so se mi sento pronta, ma appena me la sentirò proverò ad organizzare le idee e a scrivere la mia esperienza. ti abbraccio elisa
 
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