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« TERRA CARA SORELLA | GUARDIAMOCI PRIMA DELLA ... » |
È una freccia che centra una lacrima in caduta
Mai cesserà questa pace d’amore anche se in notti di ghiaccio ti lascia,
anche se avrai contro tutto ciò che ha rimorso
ma è la pace che vede il mondo in una coltre di sogni a sbandare di fiore in gioia.
La pace senza causa e senza numi, coscienza di paradiso forse?
Giurai alla luce che nel mare in tempesta il mio urlo non sarà salvezza ma amore.
Quante lame possono cambiare la realtà?
Dal bocciolo alla fine di una stella con una esplosione vede innalzare questa terra
che sotto la nascita e nella sua fine invoca lo splendore dell’amore che porta in grembo,
questa terra è una freccia di gloria che centra una lacrima in caduta
come resina si attacca alle mani l’immortalità,
qui ha lo stesso impatto del sole il donare tre note ad una goccia di pioggia sulla sua fronte,
come il cielo intero è nell’blu e polline di un fiore conservato per ricordo,
in ogni colpo che avrai ricordati,
tutto questo universo è un inchino all’amore.
Vedo le ultime parole dei morti per l’amore
E la vedo quest’onda di piante e pianeti che si inchinano.
ALESSANDRO IDISIUM
Il ragazzo che era in me
Forse mi ero lasciato cadere stremato di sole,
e fingevo l'indiano ferito. Il ragazzo a queí tempi
scollinava da solo cercando bisonti
e tirava le frecce dipinte e vibrava la lancia.
Quella sera ero tutto tatuato a colori di guerra.
Ora, l'aria era fresca e la medica pure
vellutata profonda, spruzzata dei fiori
rossogrigi e le nuvole e il cielo
s'accendevano in mezzo agli steli. Il ragazzo riverso
che alla villa sentiva lodarlo, fissava quel cielo.
Ma il tramonto stordiva. Era meglio socchiudere gli occhi
e godere l'abbraccio dell'erba. Avvolgeva come acqua.
Ad un tratto mi giunse una voce arrochita dal sole:
il padrone del prato, un nemico di casa,
che fermato a vedere la pozza dov'ero sommerso
mi conobbe per quel della villa e mi disse irritato
di guastar roba mia, che potevo, e lavarmi la faccia.
Saltai mezzo dall'erba. E rimasi, poggiato le mani,
a fissare tremando quel volto offuscato.
Oh la bella occasione di dare una freccia nel petto di un uomo!
Se il ragazzo non ebbe il coraggio, m'illudo a pensare
che sia stato per l'aria di duro comando che aveva quell'uomo.
lo che anche oggi mi illudo di agire impassibile e saldo
me ne andai quella sera in silenzio e stringevo le frecce
borbottando, gridando parole d'eroe moribondo.
Forse fu avvilimento dinanzi allo sguardo pesante
di chi avrebbe potuto picchiarmi. O piuttosto vergogna
come quando si passa ridendo dinanzi a un facchino.
Ma ho il terrore che fosse paura. Fuggire, fuggii.
E, la notte, le lacrime e i morsi al guanciale
mi lasciarono in bocca sapore di sangue.
L'uomo è morto. La medica è stata diverta, erpicata
ma mi vedo chiarissimo il prato dinanzi
e, curioso, cammino e mi parlo, impassibile
come l'uomo alto e cotto dal sole parlò quella sera.
CESARE PAVESE
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