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GUARDIAMOCI PRIMA DELLA VENDETTA DEL SOLE, DA SEMPRE ABBIAMO CREDUTO SOLO A CIO’ CHE RISORGE

Post n°13 pubblicato il 04 Gennaio 2010 da purceddduzzzi
 

GUARDIAMOCI PRIMA DELLA VENDETTA DEL SOLE,
DA SEMPRE ABBIAMO CREDUTO SOLO A CIO’ CHE RISORGE


Il suo orecchino bastava in valigia per partire via,
grazie a lei vedevi gli alberi partire come cavalieri fulminei come tornado armati

nelle pianure a difendere ignote castità.
La notte era per noi il camminare sopra la linea che una libellula tesseva,

la traccia di morte volando verso le alte siepi  dei mammiferi insettivori,

così ci muovevamo fra le costellazioni.
Le rose erano libri scritti con l’alfabeto delle loro germogliature

che contenevano folli evasioni e parole per stregonerie,
incastravano il giorno passato nelle spine

spargendo il sangue delle rincorse d’amore tentate quel dì

che brillassero alla luna che poteva sommergere il mondo con le sue maree

o pregarle all’eterno
e i loro petali erano il veleno dell’universo,

era la fine del mondo di fronte ad un solo silenzio quelle distese di rose.
Ovunque seguiremo le parole mai sentite di miraggi,
il mio occhio fissava una rivoluzione fatta delle invocazioni di sofferenza di lei,

che era circondata da angeli che non vedeva

perché ogni suo gesto solo gli angeli sapevano il valore nemmeno lei.

Io non potevo far altro che rincorrere il tramonto,

seguire le battaglie ardue della luce, supplicare l’onnipotenza per soccorrermi,
la nostra personale apocalisse che durerà il tempo della nostra vita

lascerà solo qualche brivido,

questo mondo è un malinteso d’odio su un panorama fantastico.
Potevo leggere le labbra della notte che parlava silenziosa

in preda all’ebbrezza di seguire le indicazioni celesti,

catastrofe di rapimento
e nel panorama vicino al mare c’era la corona dell’universo,
non potevamo perdere tempo con il mondo che contemplava il finito

mentre la pelle bruciava di chimere che ci degnavano di parlarci,
la ragazza era la principessa dai piedi sporchi di troppe fughe per non tradire le promesse.

Dividevamo il mondo che vivemmo rischiando tutto

perchè perdere la vita intera era meno doloroso che perdere un dono della vita

e il sole ci accolse, vivendo seguendo la vendetta del sole,
lei era nei miei canali lacrimali, le altre le vedevo solamente
ma lei non la vedevo solamente, se chiudevo gli occhi lei era prima del pompare del cuore,

scartammo risposte e domande che il mondo faceva e non contavano sotto quel cielo,

inveimmo e sporcammo la filosofia di millenni

e nessuna autorità aveva la storia sulle dolci bugie che ci dicevamo.
Il sole era pronto a sorgere ogni giorno in gloria se lo amavi,

allora noi demmo una spinta al tempo, un tentativo sconosciuto d’ amore,
si esibì il vento che sospirava di qualcosa di tragico,
una farfalla velenosa, un cataclisma filantropo,
una luna soffusa del giorno che apriva un mantello di condanna,
ma tutto sembrava giusto agli occhi della foresta,
e fu prima per un secondo, lei strinse le palpebre degli occhi
irregolari morfologicamente l’uno dall’altro, che erano l’alba e il tramonto,
e ci guardammo e l’alba fece crollare ogni sogno che brillasse meno del suo rosa.

ALESSANDRO IDISIUM

 

 

 

IL LAMPO

 

  Il lavoro umano! è l'esplosione che illumina di tanto in tanto il mio abisso!
   "Nulla è vanità;  alla scienza,  e  avanti!"  grida  l'Ecclesiasta moderno,  ossia Tutti.  Eppure i cadaveri  dei malvagi e dei fannulloni ricadono sul cuore degli altri… Ah! presto, presto dài; laggiù, oltre la notte, quelle ricompense future, eterne… le sfuggiamo?...
   - Che posso fare? Conosco il lavoro; e la scienza è troppo lenta.  Che la preghiera galoppa e che la luce tu- ona… lo vedo bene. E' troppo semplice, e fa troppo caldo; faranno a meno di me.  Ho il mio dovere, sarò fi- ero alla maniera di tanti, mettendolo da parte.
   La mia vita è consunta. Su! fingiamo, bighelloniamo, o pietà! Ed esisteremo divertendoci, sognando amo- ri mostruosi e universi fantastici, lamentandoci  e  contestando le apparenze del mondo, saltimbanco, men- dicante,  artista,  bandito,  -  prete!  Sul  mio  letto d'ospedale,  l'odore  d'incenso mi è ritornato così potente; guardiano degli aromi sacri, confessore, martire…
   Riconosco in questo la sporca educazione della mia infanzia.  Poi perché!... Andare i miei vent'anni, se gli altri vanno per vent'anni…
   No! no!  adesso mi ribello contro la morte!  Il lavoro sembra troppo leggero al mio orgoglio:  il mio  tradi- mento al mondo sarebbe un supplizio troppo breve. All'ultimo momento attaccherei a destra, a sinistra…
   Allora, - oh! - cara povera anima, l'eternità sarebbe forse perduta per noi!

ARTHUR RIMBAUD

Futurismo 100: Illuminazioni. Avanguardie a confronto.

 

(per Sibilla Aleramo)

O poesia poesia poesia

O poesia poesia poesia

Sorgi, sorgi, sorgi

Su dalla febbre elettrica del selciato notturno.

Sfrenati dalle elastiche silhouttes equivoche

Guizza nello scatto e nell'urlo improvviso

Sopra l'anonima fucileria monotona

Delle voci instancabili come i flutti

Stride la troia perversa al quadrivio

Poiché l'elegantone le rubò il cagnolino

Saltella una cocotte cavalletta

Da un marciapiede a un altro tutta verde

E scortica le mie midolla il raschio ferrigno del tram

Silenzio - un gesto fulmineo

Ha generato una pioggia di stelle

Da un fianco che piega e rovina sotto il colpo prestigioso

In un mantello di sangue vellutato occhieggiante

Silenzio ancora. Commenta secco

E sordo un revolver che annuncia

E chiude un altro destino

DINO CAMPANA

 

 
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