Un blog creato da nntrovo1nickname il 21/12/2006

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Post n°75 pubblicato il 05 Marzo 2007 da nntrovo1nickname

immagineC'è un solo modo per apprezzare un film come Moulin Rouge (ma ce ne sono altri uguali?), ed è quello di lasciarsi andare, di sospendere la facoltà critica e lasciarsi trascinare dalle immagini, dal suono, dal ritmo. Moulin Rouge è una specie di ottovolante dal quale si smonta dopo due ore e mezza di impennate e scivoloni vertiginosi, chiedendosi se è stato più forte il rush di adrenalina o il mal di mare.
Fin dalla prima scena, è evidente che ci troviamo davanti a qualcosa di visivamente innovativo, anche se non necessariamente originale (forse solo originalmente asssemblato, come vedremo), a un tour de force sensoriale che richiede la nostra piena partecipazione (passivo: siamo solo spettatori). I titoli di apertura appaiono attraverso il sipario di un finto teatro, davanti al quale un direttore d'orchestra, che è poco più di un'ombra cinese (e vedremo quanta parte ha l'illusione cinematografica in questo film), si agita freneticamente (e la parola frenesia è essenziale per definire il ritmo del film).
Segue una carrellata velocissima (filmata a ritroso, per accentuarne l'effetto straniante) su una Parigi-diorama digitale, depauperata chimicamente di colore (per assumere il tono delle foto d'epoca), popolata da teatranti nel ruolo di parigini da quadro impressionista, punteggiata da segni di riconoscimento pensati per farci dire: siamo a Parigi - la torre Eiffel, Montmartre e appunto il Moulin Rouge, più rosso e vistoso di quanto non sia mai stato nella realtà, perché dev'essere subito chiaro che questo è il Moulin Rouge delle nostre fantasie, specie quelle più equivoche.
Moulin Rouge è un musical, o più precisamente una musical extravaganza, cioè un pastiche di canzoni e numeri di danza a metà fra lo spettacolo di varietà e la performance da circo. Ambientato nella Parigi fin de siecle, ma con un gusto postmoderno che ne colloca la vicenda fuori dal tempo e dallo spazio, Moulin Rouge racconta la storia di Satine (Nicole Kidman), star del tempio del can-can, e Christian (Ewan McGregor), aspirante scrittore arrivato nella Ville Lumiere in cerca di ispirazione e di esperienza.
Complice un equivoco iniziale, Satine e Christian si innamorano come succede solo nei film, soprattutto nei musical: lei, cortigiana d'alto bordo, seduce lui, perché lo crede un facoltoso conte in grado di finanziare il prossimo spettacolo del Moulin Rouge, e quando si accorge che lui è solo un povero artista che si offre come paroliere dello spettacolo in questione, è troppo tardi. Cupido ha già scoccato la sua freccia, che li ha trapassati entrambi, facendoli innamorare a sangue (la metafora, volutamente granguignolesca, vi dà già l'idea di quanto eccessivo, grafico e sopra le righe sia il film).
Da questo momento in poi, la trama sarà imperniata su una sola domanda: Satine seguirà il suo cuore, rimanendo con Christian, o i suoi interessi (e gli interessi del Moulin Rouge) consegnandosi al Duca, quello vero (Richard Roxburgh)? Il tema è più che classico, e a dare una dimensione ancora più classicamente teatrale è il coro dei personaggi di contorno: il pittore Toulouse Lautrec (John Leguizamo, che recita sulle ginocchia), l'impresario Ziedler (Jim Braodbent), presentatore (in senso circense) degli spettacoli del Moulin Rouge, la perfida ballerina Nini (Caroline O'Connor), il cantante argentino narcolettico (Jacek Koman), il nero Chocolat (Dhobi Oparei, che ha una sola battuta di dialogo) e tutta una serie di "caratteri" collocabili a metà fra il bar di Guerre Stellari e un manifesto belle epoque di quelli disegnati, appunto, da Toulouse Lautrec per il vero Moulin Rouge.
Prima considerazione: nessuno dei personaggi di Moulin Rouge (il film) è un essere umano, ma solo uno stereotipo - più che un archetipo - narrativo, a cominciare da Satine (la Puttana dal Cuore D'Oro), Christian (il Poeta Squattrinato) e Ziedler (Mangiafuoco, nella versione cinica e bonaria di Collodi, non in quella insensibile e barbarica di Walt Disney, che peraltro era uno stereotipo etnico). Questa è una precisa scelta di Baz Luhrmann, il regista e sceneggiatore del film, che se ne frega altamente della credibilità delle sue marionette, confidando precisamente nella loro riconoscibilità per non dover perdere tempo a giustificarli oltre. Persino la presentazione iniziale dei personaggi è da figurina Liebig: quando appare il Duca Cattivo, sotto di lui si potrebbe leggere la scritta Feroce Saladino.
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