come le nuvole

Post N° 293


 “Non è necessario che una blogger sappia scrivere ma, se sa leggere, certo è meglio!” (Billy Wilder…quasi) Per la serie, non me ne perdo una, ho deciso di partecipare al Gioco letterario di Tuttiscrittori.La sfida consiste nel buttar giù un breve racconto dal titolo “L’incontro”, che deve contenere al suo interno, le seguenti parole: addomesticare, gioia intensa, viso, te, sedersi a tavola, passerella, bussola, discussione, radici, tatto.Ecco a voi, in anteprima assoluta, la mia produzione. (Stò, anche, riflettendo sull’utilità di inviare, su You Tube, la scena “rubata”, di me mentre, completamente nuda, stò battendo furiosamente sulla tastiera, in preda al sacro fuoco dell’ispirazione…Credo che, aumenterei, di molto, le chance di vincere la singolar tenzone!…) L’incontroSi risvegliò che era distesa sulla sabbia umida e dura con, nelle orecchie, il rumore della risacca che, a tratti, la lambiva. Bastò poco per riprendersi, poi, una gioia intensa, la pervase.  Era viva.                 
Si scostò i capelli bagnati dal viso e si guardò intorno. Solo silenzio e gabbiani. Nessuno, degli altri passeggeri in crociera come lei sulla “Majestic”, sembrava essere scampato al naufragio. “Guarda te, che culo!”, pensò, inebriandosi per la sua buona sorte.Iniziò a camminare tra palme e liane poi, scorse una passerella di giunchi, oltre la quale, arrivò ad un grazioso villaggio, in pieno fermento di vita.
Gli indigeni, che lo abitavano, erano piccolini e scuri, con grandi occhi neri e ciglia lunghe. La accolsero con estrema cortesia e curiosità. Toccarono i suoi vestiti, annusarono i suoi capelli, qualcuno, addirittura, giunse a leccare, la pelle delle sue braccia. La trascinarono, con dolce violenza, fino alla capanna del loro capo, un vecchietto canuto dall’aria mite e saggia, che le mostrò, appesi alle pareti della capanna, i trofei che la risacca aveva loro donato, abbandonandoli sulla spiaggia: un cappello da marinaio, una vecchia bussola, uno zaino sdrucito e una scarpa da tennis scompagnata. Le offrirono, gentilmente, da bere, un liquido dolce ed ambrato e le fecero mangiare radici aromatiche.                                                             
Passò così tre giorni, cullata  e riverita, senza quasi memoria di sé. La dolcezza del luogo pareva in grado di addomesticare persino quel caratterino che, in troppi, avevano definito aggressivo. Al tramonto del terzo giorno, sentì gli indigeni, solitamente silenziosi, intraprendere una animata discussione. Ebbe la sensazione che la riguardasse. Poi il vecchio capo, con tatto, le fece capire, con gesti morbidi e sorrisi aggraziati che, per lei, era giunta l’ora di entrare a far parte della loro tribù e che poteva, dunque, sedersi a tavola insieme a loro.La condusse per mano in una radura dove, attorno ad un grande tavolo di tronchi levigati, la attendevano, guardandola sorridenti,  tutti i componenti della piccola comunità. Sul tavolo, disposti armoniosamente, fiori profumati ed acuminate pietre bianche, dalla punta scheggiata. Le loro posate, suppose.Lentamente si avvicinò e, mentre ancora sorrideva cerimoniosa, il più giovane dei convitati le diede il primo, atroce, morso su di un polpaccio. Dopo, nei fin troppo lunghi momenti del dolore, non le restò che rivolgere un pensiero sbigottito, a quei fortunati che, erano annegati, non appena la nave era colata a picco.                                                                                                                   the end