di Carlo Lucarelli
(pubblicato su L'unità del 28 gennaio 2010)
Come ormai da cinque anni in questi giorni mi ritrovo in Polonia, ad Auschwitz, con gli studenti e gli ospiti del treno della memoria organizzato dalla Fondazione ex campo di concentramento di Fossoli e dalla Provincia di Modena.
Sono qua tutte le volte per un motivo ben preciso: perché so che “ricordare” è un verbo, una parola che indica un’azione, e anche molto dinamica. Un’azione che non si limita soltanto a “ricordarsi di ricordare”, come succede con gli anniversari e le feste comandate, ma che si attua, si prolunga nel tempo e produce qualcosa. Come tutte le azioni forti e concrete, insomma, ha conseguenze. Determina quello che succede dopo.
Sul treno che porta ad Auschwitz assieme a più di seicento studenti già preparati dagli insegnanti prima di partire ci sono un sacco di attività, c’è lo scrittore Paolo Nori, ci sono i musicisti Vinicio Capossela, Cisco e i Rio con Marco Ligabue, ci sono gli storici Costantino Di Sante e Carlo Saletti, ci sono testimoni come Eugenio Itzhak Cuomo e ci sono anch’io. Questo atto di ricordare produce prima, durante e dopo, incontri, laboratori, dibattiti, concerti e spettacoli, e se abbiamo fatto tutti bene il nostro mestiere produce nei ragazzi e anche in noi pensieri, emozioni, riflessioni e nuove consapevolezze.
Insomma: conseguenze.
Per questo, tutte le volte che sto per partire e qualcuno mi chiede se ne valga la pena, se i Giorni della Memoria servano a qualcosa, se ricordare sia utile io penso alle conseguenze che certe cose fatte in un certo modo producono nelle persone e determinano così il loro e anche il nostro futuro. Che poi è il motto di questo viaggio: diamo alla memoria un futuro.
Per cui rispondo che sì, vale pena, è utile e serve.
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il 13/04/2009 alle 13:25
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il 25/03/2009 alle 05:16