Con questa quarta domenica del Tempo Ordinario (nell’anno «A») inizia la lettura del Discorso della Montagna, peraltro subito interrotta dal sopraggiungere della Quaresima prima e del Tempo di Pasqua dopo.
Questo, che è il principale dei cinque discorsi del Vangelo secondo Matteo, si apre con uno dei brani più famosi della Bibbia, ben noto anche al di fuori del cristianesimo: le Beatitudini. Sui versetti in questione (Mt 5,1-12) e su quelli paralleli del vangelo secondo Luca (Lc 6,20-23) è stato scritto un numero sterminato di volumi e schiere di uomini e donne di ogni tempo hanno scelto di ispirarvisi quale progetto di vita; è fin troppo facile fare un nome per tutti, quello del beato Piergiorgio Frassati, comunemente definito «l’uomo delle otto beatitudini».
Brano famoso, dunque, quello delle Beatitudini, brano che si potrebbe dire «sovversivo», perché capovolge il modo comune di pensare: beati, ossia felici non sono coloro ai quali arridono il successo, la ricchezza, il consenso umano, coloro i quali ricorrono volentieri alla forza delle armi, alla prepotenza, al sopruso, all’ingiustizia persino sbandierata se non addirittura eretta a stile di vita o a sistema di governo…
Beati, ossia “felici”, dice Gesù, sono coloro i quali vivono esperienze diametralmente opposte a quelle appena descritte, ma perché? È una pura utopia? È, per l'appunto, un messaggio sovversivo, ma fine a se stesso? Come fare a dire che è beato, è felice chi ora è nell’afflizione, nella povertà, nell’ingiustizia, persino nella persecuzione? È un discorso che anticipa quella che un giorno verrà teorizzata come «lotta di classe»? Ad una lettura distratta e superficiale, sì, è tutto questo. Ma, a leggere bene, a leggere tra le righe, soprattutto a leggere nel “non detto” ci si accorge che le cose stanno diversamente: i verbi che esprimono il motivo della «beatitudine», i verbi che dicono perché ci sarà da esser felici, vanno considerati attentamente, nella forma e nel tempo.
Nella forma: è quella passiva («saranno consolati, saziati, chiamati figli di Dio…), ma non è espresso l’agente; non si dice chi sarà che consolerà quelli che ora sono nell’afflizione, chi sarà a saziare quanti hanno fame di giustizia, e così via. Chi sarà a fare tutto ciò? Ovviamente Dio stesso.
È questa la causa vera della beatitudine: quanti ora sono i “vincenti”, poggiano la loro esistenza sulle sole forze umane, sono come accecati dal loro “successo” e non si accorgono che hanno radicalmente bisogno di Dio. Gli altri, invece, gli “sconfitti”, sono «beati» perché avranno la gioia di vedere Dio “scendere in campo” a loro fianco; solo essi potranno sperimentare la gioia di vedere Dio che “si scomoda” per loro, per garantire loro ciò di cui abbisognano e a cui anelano, come ogni essere dal volto umano. I primi vedranno ogni intervento dall’esterno come una possibilità di depauperazione dei loro privilegi; solo gli altri potranno avere la gioia di vedere il braccio di Dio in azione a loro favore, come fu per Israele con l’Egitto. Questo e molto altro dice la diatesi passiva dei verbi usati, con l’agente inespresso.
Ma c’è anche l’uso del tempo: sono tutti verbi coniugati al futuro, che è il tempo non della probabilità, ma della realtà, della certezza che il concetto espresso dal verbo stesso troverà realizzazione. Gli “ultimi” diventeranno i “primi”, gli afflitti saranno consolati, i miti riceveranno in eredità la terra, quelli che ora sono considerati “da emarginarsi”, da “scartarsi”, saranno invece valutati a peso d’oro, perché Dio si schiererà dalla loro parte, perché sarà lui e lui solo il loro unico “difensore”!
Pagina sovversiva, allora, quella delle beatitudini? Sì, perché… sovverte i nostri criteri troppo umani di giudizio, quei criteri che spesso lasciamo che si insinuino anche all’interno delle nostre comunità cristiane e fors’anche persino all’interno delle nostre liturgie più solenni…
Le Beatitudini sovvertono quei criteri e aprono la strada alla rivelazione del vero volto di Dio, Gesù Cristo e la sua croce.
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il 07/09/2012 alle 10:09
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