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Anno Paolino/23 (San Paolo nella letteratura moderna/2)

Post n°76 pubblicato il 01 Ottobre 2008 da vocazionilecce
 
Foto di vocazionilecce

(continua da www.zenit.org)

San Paolo nella narrativa

A san Paolo la scrittrice anglo-americana Taylor Caldwell (1900-85) ha dedicato un fluviale romanzo — Il leone di Dio (13) — dopo «uno studio approfondito durato diversi anni». È da crederle perché, a lettura finita, bisogna riconoscerle larghe conoscenze dell’ambiente geografico, storico, etnico, politico, religioso. Carente è invece la preparazione biblica e la personale sensibilità religiosa nel trattare episodi e documenti.
Nell’Apostolo l’Autrice ha «voluto vedere l’uomo così come egli era, un uomo simile a noi, con gli stessi dolori, dubbi, ansie e collere, e intolleranze, e “debolezze della carne” che affliggono noi tutti» (p. 12). Aveva un geloso e tenace attaccamento alla corrente dei farisei, un’intelligenza acuta, ma intollerante e polemica, una psicologia alterata: era osservante scrupoloso della Legge, dominato da un timore di Dio fino all’ossessione e talvolta alla disperazione; soprattutto era un uomo dominato dal confuso presentimento di una grande missione da compiere senza sapere né come né dove.
Le prime due parti del romanzo si leggono con gusto e interesse, data la capacità dell’Autrice di costruire la figura del protagonista con una straordinaria forza di lineamenti, in una prosa piacevole e duttile. Nell’ultima parte — la terza — il romanzo perde mordente: ci si sofferma su descrizioni, belle ma superflue, la fantasia corre senza controllo, la figura di san Paolo sbiadisce e perde di autenticità. Il leone di Dio è un romanzo per alcuni aspetti pregevole, per altri debole e mal sicuro.

Convincente per solidità di struttura e per validità letteraria è il romanzo "La spada santa" di Jan Dobraczyński (14), tra i più noti, fecondi e discussi scrittori polacchi del Novecento. La storia di san Paolo è il sottotitolo del romanzo. In esso l’elemento storico è solido, il fantastico è dilatazione della storia, suo completamento e spiegazione, l’insieme risulta armonico e compatto. Il romanzo si presenta come un mosaico sul quale è ritratta la storia della primitiva comunità cristiana. Grazie a un continuo flashback, il lettore si muove sull’itinerario di Paolo, ne rivive gli incontri, le peripezie, i dilemmi, ne approfondisce il messaggio, ne intuisce il mistero che in lui si compie.
Le idee di fondo del romanzo sono quattro. Innanzitutto, la presenza di Cristo nella vita dell’Apostolo. Essa conferisce significato al suo agire, chiarezza alle sue scelte, coraggio e fiducia alle sue imprese. In secondo luogo, la consapevolezza dell’universalità della redenzione. Idea, questa, che per un ebreo come Paolo, legato a Gerusalemme e al Tempio con tutte le fibre dell’essere, costituiva un continuo martirio. La terza idea è la novità cristiana che rivoluziona pratiche secolari e proclama il loro superamento. Infine, la consapevolezza della propria nullità. Dopo aver riferito alla comunità di Gerusalemme la diffusione del Vangelo in molte regioni pagane e perfino in città ritenute dissolute (Corinto), arroganti (Atene), «impestate da mostruose superstizioni» (Efeso), dichiara: «Non io le ho conquistate, fratelli, perché io sono una nullità, e quando arriva il momento di predicare, sto davanti alla gente, debole e spaventato, e non trovo le parole, e nella testa ho una grande confusione. Ma il Signore si compiace di mostrare la Sua potenza attraverso la mia miseria. Chi sono io? Mi conoscete. Ero un criminale, figlio dell’ira, che agiva male anche se non lo sapeva. Non conquisterei nessuno, se non fosse per il Signore. Il Signore è tutto» (p. 61).
Nel presentare san Paolo, Dobraczyński ne fa vedere anche l’attualità e l’urgenza: la pace e la giustizia non vanno ricercate con la spada ma con la comprensione e la fratellanza. Cioè con l’amore. E l’amore per il Risorto abbraccia e trasfigura ogni realtà: «Ma alla fine capii — afferma Paolo —. Capii che amare Gesù significa amare tutto e che in questo amore nulla perisce. Perché quando tutto sprofonderà in esso, in esso tutto si potrà ritrovare» (p. 272).

Miklós Mészöly (1921-2001), noto scrittore ungherese, nel romanzo Saulo (15) descrive l’antitesi tra il mondo intransigente della Legge, simboleggiato da Abiatar, amico di Saulo, e quello del nuovo Verbo, fondato sull’amore e sul perdono, simboleggiato da Stefano. Saulo è impegnato a fondo nella difesa della Legge e nel punire quanti la misconoscono. Un dialogo notturno con Stefano, prima che questi venga arrestato, gli rivela la superiorità di una legge fondata sull’amore e sulla libertà. Partecipa alla lapidazione di Stefano, ma si sente braccato da una misteriosa presenza che lo sospinge verso coloro che perseguita. Andando verso Damasco, calzando i sandali che Stefano gli ha lasciato in eredità, resta accecato. Dove lo condurrà la misteriosa presenza?

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NOTE
13 Cfr T. CALDWELL, Il leone di Dio, ivi, 1972.
14 Cfr J. DOBRACZYNSKI, La spada santa. La storia di san Paolo, Torino, Gribaudi, 2002.
15 Cfr M. MÉSZÖLY, Saulo, Roma, E/O, 2001.

 
 
 
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