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ANNO SACERDOTALE

Post n°107 pubblicato il 15 Luglio 2009 da vocazionilecce

(da www.zenit.org)

Modello per ogni sacerdote

Il santo Curato d’Ars, proclamato “Patrono di tutti i sacerdoti del mondo”


ROMA, lunedì, 6 luglio 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito un articolo apparso sul tredicesimo numero di Paulus (luglio 2009), dedicato al tema “Paolo l’architetto”. 

* * *

Appena concluso l’Anno Paolino, la Chiesa cattolica si è mobilitata per uno speciale Anno Sacerdotale, indetto da Benedetto XVI sul tema: “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote&r dquo;. L’annuncio lo ha dato lo stesso Pontefice il 16 marzo scorso, precisando che l’iniziativa vuole celebrare il 150° Anniversario della morte di Giovanni Maria Vianney, il santo Curato d’Ars, che sarà da lui proclamato “Patrono di tutti i sacerdoti del mondo”. Aperto il 19 giugno, solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù e Giornata di santificazione sacerdotale, con un rito presieduto dal Papa alla presenza della reliquia del Curato d’Ars portata dal vescovo di Belley-Ars, l’Anno Sacerdotale si chiuderà il 19 giugno 2010, con un Incontro Mondiale Sacerdotale in piazza San Pietro. Non è un caso che quest’Anno sia stato indetto nella memoria del Curato d’Ars, un prete che nella cura dei fedeli si consumava letteralmente, non fosse altro che per quelle dieci-quindici ore al giorno in confessionale, conscio che la gente domandava a lui – povero prete cresciuto in campagna, pastore e analfabeta fino ai 17 anni, accettato con mille riserve in seminario perché non imparava il latino – il segno di un’altra misericordia. La forte sottolineatura dell’essenza del sacerdozio richiamata dal Papa si ripercuote in una seconda esortazione: a essere «presenti, identificabili e riconoscibili». Identificabili e riconoscibili: un sacerdozio che non si confonda con i giudizi e i modi del mondo, quasi a mimetizzarsi, ma che nell’essere, nel dire, nel mostrarsi si dichiari per ciò che è: figura di Cristo. Benedetto XVI riflette la domanda del popolo cristiano ai suoi sacerdoti: portateci Cristo, portatecelo in modo chiaro, riconoscibile, audace. Portatecene il volto misericordioso, perché la più perfetta giustizia non guarisce gli uomini: ne occorre una più grande, che li faccia rinascere. Dai giorni degli Apostoli, gli uomini hanno bisogno, per credere, di altri uomini. Di volti che incarnino Cr isto nelle loro giornate di fatica. «Nel fatto che Dio si è fatto uomo – ha detto Benedetto XVI – sta sia il contenuto che il metodo dell’annuncio cristiano». Dunque, Dio ha bisogno di uomini per farsi presente tra loro, e gli uomini hanno bisogno di sacerdoti in cui trovare il volto e la misericordia di Dio. Proprio come scriveva Paolo ai cristiani di Corinto: «È Dio che ha avuto misericordia di noi, e ci ha affidato il compito di essere ministri della sua misericordia» (2Cor 4,1).

Prima di tutto parroco

La vicenda del Curato d’Ars – testimone di tempi drammatici per la Chiesa – è emblematica. Nato alla vigilia della Rivoluzione, egli ricevette clandestinamente la prima comunione in un granaio. Nella Francia delle chiese spogliate Giovanni Maria Vianney fu mandato in un villaggio dove, a detta del suo vescovo, a Dio si pensava ben poco. Eppure, quel paese di 230 anime si trov&og rave; come travolto da un turbine di decine di migliaia di pellegrini l’anno. Si mettevano in coda, aspettando, dall’una di notte. Non era stato un seminarista brillante. Ma era un uomo di Dio; e la gente non chiedeva altro. Bastava. Era, davvero, la sola ricchezza che cercavano in lui. Nella campagna profonda dell’Ain dell’Ottocento, con i suoi abitanti contadini che la domenica malvolentieri sospendono la mietitura per andare a messa, il piccolo don Jean-Marie, con la tonaca rammendata e il grande cappellaccio nero in testa a ripararsi dalla pioggia o dal sole, è un prete generoso e severo, spaventato dal pericolo di perdita delle anime dei suoi parrocchiani. Dopo pochi anni dal suo arrivo ad Ars, la gente, dapprima indifferente al suo rigorismo morale, cominciò ad accorgersi di quel sacerdote che faceva sempre digiuni e penitenze, e dava ai poveri anche le sue scarpe. Non solo. Le biografie raccontano che talvolta, a notte fonda, colpi frago rosi come di un visitatore furioso battevano alla porta della canonica. Alcuni parrocchiani, chiamati dal Curato, sentono a loro volta quel baccano, e la sera dopo si rifiutano di tornare. Da quel giorno il Curato d’Ars decide di non preoccuparsi, poiché sembra trovare normale che il “nemico” si accanisca contro la sua porta. Gli basta il rosario per difendersi. In effetti, la vita in canonica scorre come su due binari paralleli: da un lato, Jean-Marie Vianney si dona anima e corpo alla parrocchia, al catechismo dei bambini che strappa a fatica dai campi, alla scuola e alla carità per gli orfani; dall’altro lato, possiede una fortissima vita interiore, alimentata dalle ore notturne di preghiera. Ma in questa seconda prospettiva, la vita del Curato d’Ars non è la fiaba rasserenante di un santo prete di campagna. Egli si porta addosso un silenzioso tormento, come una misteriosa ferita. Ne parla ben poco. Confesserà, un giorno : «La mia tentazione è la disperazione!». Di tutte, la più terribile. Possibile per quel prete così cercato e amato, la cui fama si va allargando per la misericordia con cui tratta ogni sconosciuto in confessionale, mentre già si comincia a mormorare che è un santo? Possibile. Proprio questa ferita nascosta lo spinge a pregare così intensamente, come un naufrago che si aggrappi a un legno. Il poeta Charles Péguy, francese come lui, scriverà cent’anni dopo che proprio le peggiori miserie sono i punti vulnerabili della corazza dell’uomo, attraverso cui la grazia può penetrare. Il Curato pare sapere istintivamente che la sua debolezza è la sua forza, proprio come aveva scritto san Paolo (2Cor 12,10). Giovanni Maria Vianney aveva un senso profondo della sua nullità. Qualche biografo, mettendolo in bocca allo stesso Curato d’Ars, aggiunge persino questa confessione di completa mancanza di autostima: «C’è sempre nelle famiglie un bambino che ha meno intelligenza degli altri. Nella mia famiglia, i miei fratelli e le mie sorelle avevano abbastanza comprendonio, ma io ero il più tonto...». Corrisponda o no al vero, questo presunto autogiudizio del santo Curato esprime tutta la sua profonda umiltà, a conferma che per i suoi piani «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto» (1Cor 1,27). Ne era tanto consapevole da poter dire: «Se nella diocesi ci fosse stato uno più miserabile di me, Dio avrebbe scelto lui».

L’eredità di un minuscolo gigante

Buio intenso e luce piena si alternano dunque nelle notti della canonica d’Ars che sembra, con le sue travi a vista, un granaio riattato. Qui vi esercitò il suo ministero di misericordia per ben 41 anni quel santo prete, dotato fra l’altro del carisma di leggere nelle anime. Sta il fatto che in questo paese da nulla approderanno non meno di trentamila pellegrini l’anno. Viene in mente Padre Pio. Ma «la differenza – come dice il rettore della parrocchia-santuario d’Ars, padre Philippe Nault – è che il Curato d’Ars era un parroco al cento per cento, sempre di corsa fra i malati e il catechismo dei bambini. Per questo tanti sacerdoti lo considerano, prima che un santo, un fratello; e vengono qui in diecimila, ogni anno». Ormai vecchio e provato dalla penitenza, sofferente per le tante miserie che gli vengono confidate nel ministero del confessionale, egli trova energia sempre nuova nella santa Messa: alla consacrazione s’illumina. «Aveva il dono – dice ancora padre Nault – di vedere Cristo vivo, presente nell’Ostia. Diceva raggiante: “Lui è qui!”. E c’era gente che solo a guardarlo celebrare si convertiva». Jean-Marie Vianney entra in agonia alla fine di luglio del 1859 e muore il 4 agosto, prima dell’alba, a 73 anni, venerato da subito come santo. Di una santità che cresce nell’oblio del mondo. Intervistato l’indomani dell’indizione dell’Anno Sacerdotale, il vescovo di Belley-Ars mons. Guy Bagnard riproponeva così l’attualità di Jean-Marie Vianney: «La piccolezza segna tutta la vita di san Giovanni. È nella piccolezza che Dio genera la grandezza».

Bruno Simonetto


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