Un blog creato da cefabasket il 15/10/2007

Amatori Cefa Basket

Blog della squadra amatori di basket di Castelnuovo di Garfagnana - Lucca

 
 
 
 
 
 

I RECORD DI 12 ANNI DI CEFA AMATORI

Presenze al 07/04/2009
1° ALE                 - 247
2° PUPA              - 245

3° PRESIDENTE  - 224
4° DENION         - 185
5° LANDREA       - 178
6° BARBA           - 162
7° MAX                - 150
8° ONZO             - 134
9° SUPERMARIO  - 127
10° BIG CRI        - 118
16° GIUNGINI     - 49
18° STRIKE          - 36
19° MOROX          - 31
25° ROCCHICCIOLI F  -22
27° BIAGIO N       -14
31° GRILLI           -  10
40° BERTO            - 3

Punti al 07/04/2009
1° LANDREA       - 3775
2° BARBA           - 2881
3° MAX               - 2297
4° PUPA             - 1379
5° FRANCO         - 994

6° DENION         - 825
7° BIG CRI         - 734
10° ALE              - 515
11° PRESIDENTE - 469
12° ONZO            - 399
14° GIUNGINI     - 296
18° BIAGIO N       - 110
19° STRIKE          - 99
25° ROCCHICCIOLI F - 47
27° MOROX          - 37
39° GRILLI            - 10

 
 
 
 
 
 
 

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ITALIANI? SCARSI

Post n°91 pubblicato il 03 Febbraio 2008 da cefabasket

Molto lungo ma interessante

Sportweek, il magazine settimanale della Gazzetta dello Sport, ha realizzato una inchiesta sui giocatori italiani nel campionato di basket: ecco il testo realizzato da Fabrizio Salvio: "Centoquindici nel 2006, 125 l’anno scorso, 106 nelle prime venti giornate di questa stagione. Sono gli italiani – neppure tutti di sangue - che negli ultimi tre anni hanno messo insieme almeno un minuto nella serie A di basket. Una minoranza, rispetto al totale dei giocatori scesi in campo: 267 quest’anno. La maggior parte è composta da extracomunitari (americani soprattutto: oggi, 85), comunitari (49), naturalizzati (27): 161 in tutto nel torneo in corso. E nei nostri 106 vanno compresi i giovanissimi che sono in rosa per far numero e che sul parquet sono scesi (e chissà se lo rifaranno) pochissimo: sessanta secondi o poco più, appunto. Al contrario, soltanto 48 hanno disputato almeno 10 minuti a partita, e appena otto entrano nella relativa classifica dei primi 50 del campionato. Il più impiegato è Gallinari - 19 anni e quasi 34’ a gara – ma trattasi di fuoriclasse e, dunque, della classica eccezione alla regola. Alle sue spalle, in mezzo a tanti stranieri, compaiono vecchietti come Pozzecco, Galanda e Soragna, e altri non più di primo pelo come Righetti e Amoroso. I giovani? Oltre al “Gallo”, solo Mancinelli e Poeta.

Il regolamento
Bisogna per forza partire dai numeri per certificare l’amara realtà: saremo pure un popolo di poeti, santi e navigatori, ma non di giocatori di pallacanestro. Non più, almeno. I tempi in cui le formazioni di serie A poggiavano su solide fondamenta indigene e su uno o due pilastri d’importazione appartengono quasi alla preistoria del basket. Oggi, per dirla con Marco Mordente, playmaker della Benetton Treviso, ormai nelle nostre squadre «più che l’italiano, si parla inglese».
E quelli nati da Bolzano a Lampedusa? Sono – sarebbero – protetti dalla norma in vigore, quella del cosiddetto “4+2”, che obbliga le 18 società di A ad avere in organico almeno quattro italiani “di formazione” - cresciuti cioè dai 15 ai 19 anni nel settore giovanile di un club - più due di passaporto, stranieri diventati cittadini della Repubblica per aver sposato una nostra connazionale o aver scoperto origini italiche. Intanto, per bocca del presidente Petrucci, il Coni già tuona: «Dal 2009 vogliamo sei italiani di formazione in ogni squadra»,
Ma anche l’italiano “di formazione” non è detto lo sia di cromosomi: viene considerato tale, infatti, pure chi è nato in Albania o nella ex Jugoslavia, per esempio, purché cresciuto cestisticamente in Italia. «Per il reclutamento dei quindicenni italiani spendiamo 400 mila euro, quanto un buon professionista straniero: troppo», spiega Ferdinando Minucci, vice presidente della Montepaschi Siena, che pure è un esempio virtuoso di investimenti nel settore giovanile. «Il fatto è che non ce ne sono abbastanza. Tanto vale prenderli all’estero: dopo quattro anni di formazione saranno equiparati agli italiani». Ma resteranno esclusi da una Nazionale costretta negli ultimi anni a raschiare il fondo del barile per completare una squadra che si affida al talento di Bargnani, Belinelli e Gallinari e che nonostante loro è rimasta fuori dai Giochi di Pechino.

Povera Italia
Quello azzurro è uno dei nodi, anche se non l’unico, della questione-italiani. «La “formazione” ha portato nei nostri vivai duemila ragazzi stranieri, sessantuno dei quali nelle società professionistiche», lamenta Carlo Recalcati, coach dell’Italia.
«Nei club occuperanno il posto dei ragazzi nati qui e che, giocando, potrebbero aspirare alla Nazionale».
«Ma gli interessi di questa non coincidono con quelli dei club», ribatte Sergio Scariolo, dal 2003 allenatore dell’Unicaja Malaga, in Spagna. «A loro, il protezionismo crea un danno. Il campionato qualifica quattro squadre in Eurolega: non ci sono ventiquattro italiani, sei per squadra come vorrebbe il Coni, abbastanza forti da portare queste formazioni alle Final Four».
Gli fa eco Ettore Messina, dal 2003 allenatore del Cska Mosca dopo un argento europeo nel ’97 alla guida dell’Italia
«Quello della Nazionale è un falso problema. Quindici italiani di alto livello li abbiamo sempre avuti e sempre li avremo. Quanto al campionato, non si può prescindere dalla legge europea, che stabilisce come i cittadini comunitari abbiano uguale diritto al lavoro in tutti i Paesi membri. Ciò vale finché un’altra legge, eventualmente, sancirà la specificità, e dunque la diversità, dello sport».
Va giù duro Flavio Tranquillo, prima voce del basket su Sky.
«La Nazionale gioca sul serio una volta ogni due anni: se la Federazione intende curare i propri interessi, diversi da quelli della Lega, paghi lei i giocatori. Ma non si può imporre alle società, che hanno obiettivi economici e sportivi da raggiungere, di far giocare uno per forza. Se io sono il padrone del New York Times assumo chi voglio; lo stesso hanno il diritto di fare i presidenti dei club. Poi, è logico che, a parità di qualità tecnica, convenga prendere l’italiano, perché non ha problemi di lingua, cultura – non solo sportiva - e integrazione. Ma fissare una quota per legge non risolve la faccenda». Che in qualche caso assume toni grotteschi: Roberto Chiacig ha giocato più di 100 partite con l’Italia e a dispetto di ciò non sarebbe italiano perché ha scoperto il basket tardi e, dunque, non ha fatto la rituale trafila delle giovanili. La Federazione ha applicato una sanatoria per lui e altri come Fucka e Rocca, ma il suo club – la Virtus Bologna – lo considera ancora come straniero. Conviene: poiché gli italiani sono pochi, quelli di alto livello chiedono più soldi rispetto a uno dei tanti che arrivano da fuori e che, molte volte, sono meno forti.

Programmare, che bella parola
I cambiamenti legislativi in campo economico-politico (mercato globale e libera circolazione dei lavoratori nella Comunità europea) e sportivo (legge Bosman e conseguente fine del vincolo che legava i giocatori alla società di appartenenza) degli ultimi anni hanno rivoluzionato il basket come il calcio, la pallavolo e il rugby. A essi si è aggiunta la progressiva perdita di competitività economica dei nostri club rispetto ai maggiori club stranieri. Risultato? «Nel nostro caso, un campionato di qualità scadente, pieno di mezze figure, con squadre prive di identità a causa di un mercato aperto verso l’estero fino ad aprile», spiega Giacomo Galanda, quattordici campionati di A alle spalle.
«Mettiamoci nei panni delle società», interviene Piero Bucchi, coach della Eldo Napoli. «Un comunitario costa meno e comporta rischi inferiori. Un giovane va aspettato e non sempre il risultato è pari all’investimento fatto su di lui. Noi vendiamo spettacolo: quanti italiani sono capaci di garantirlo? Più delle regole imposte, è importante la programmazione». Prima ancora, decidere. E qui ci si impantana: chi deve formarli, questi benedetti giovani? Federazione e Lega continuano a rimpallarsi le responsabilità.

Chi cura i vivai?
«Il problema è di qualità, non di numeri. Gli italiani ci sono, mancano quelli davvero forti. Gli stranieri non tolgono spazio ai nostri giocatori bravi, ma agli scarsi», dichiara Francesco Corrado, presidente della Lega. «In ogni caso, sia chiaro: la Serie A non è una palestra per i giovani, ma è – deve essere – un campionato di alto livello tecnico. Non si può chiedere alle società di formare le nuove generazioni di giocatori italiani. È un compito che spetta alla Federazione, attraverso le scuole. Ma neanche è vero che i club fanno niente: i loro investimenti nei settori giovanili sfiorano i 6 milioni di euro complessivi».
«Noi facciamo tutto il possibile, tenuto conto che il nostro non è uno sport propriamente scolastico: ha bisogno di spazio e di conoscenze che, se non hai giocato, è difficile avere», ribatte il presidente federale Fausto Maifredi. «Ma è nostro il progetto “Un canestro nello zaino”, che prevede entro il 2010 la consegna alle scuole primarie di duemila kit completi di pallone, canestro, pettorine, manuale e video per l’avviamento al basket. Nostri i tre corsi annuali di formazione per gli insegnanti di minibasket. Nostra la gestione di sette campionati giovanili maschili e femminili, dagli under 15 in su. I tesserati del minibasket sono 135 mila, con un aumento del 20% negli ultimi due anni; con gli adulti, portano il totale a 310 mila».
«La verità», continua Maifredi, «è che i settori giovanili sono stati abbandonati dopo l’abolizione del vincolo: oggi, dopo i quattro anni di formazione, il giocatore resta di proprietà del club fino al compimento dei 21 anni. Chiaro che non tutti i presidenti hanno voglia di rischiare di perdere uno forte dopo appena due da professionista».
«In una realtà come Siena, dove tutto – dallo sponsor all’allenatore – è di matrice locale, la chiusura del cerchio di un progetto che punta a valorizzare la città sarebbe far giocare in prima squadra i giovani del nostro vivaio», replica Minucci.
«Per questo investiamo nel settore giovanile 965 mila euro a stagione, che hanno fruttato sette titoli in sei anni. E come noi fanno Treviso e altre grandi. Ma non si può pretendere che i ragzzi li facciamo anche giocare, se non sono pronti: per essere competitivi a livello internazionale dobbiamo prendere il meglio senza guardare alla nazionalità. Logica vorrebbe che fossero le società medio-piccole, a svezzarli».
Un’operazione che sta portando avanti Montegranaro. «Noi abbiamo puntato sugli italiani», dice il direttore generale Lucio Zanca. «Nessun problema a fare da succursale alle grandi: prendiamo in prestito i loro giovani, li teniamo per almeno due anni e glieli restituiamo fatti e finiti».
«Buona idea», interviene Stefano Pillastrini, ex coach della Virtus Bologna. «Bisogna incentivare le “piccole” a schierare i prodotti del vivaio, premiandole economicamente, per esempio attraverso una forma di detassazione. Resta il fatto che, una volta, a contare erano general manager e allenatori delle giovanili, oggi gli scout e gli agenti che incassano le percentuali dalla vendita dei giocatori».
Simone Pianigiani, allenatore della Montepaschi capolista, trasformerebbe «la LegaDue in modo che faccia da serbatoio alla A, dando spazio agli italiani. Ma l’anello debole dell’intero sistema sta negli anni immediatamente successivi a quelli del settore giovanile. A 18-19 anni, i nostri sono considerati ancora acerbi per la prima squadra e il problema diventa dove metterli, come aiutarli a maturare giocando. Negli Stati Uniti ci sono i college dove si confrontano con i pari età; da noi non esiste nulla di simile».

Gli italiani: sopravvalutati o sottovalutati?
«Chi ha Gallinari lo fa giocare», si inserisce Minucci. «Ma l’obbligo di schierare un certo numero di italiani resta un cappio economico stretto alla gola dei club: pochi come sono, i nostri giocatori sparano richieste esagerate al momento della firma dei contratti e, una volta sistematisi economicamente, i più giovani non hanno stimoli a progredire». Dissente Pillastrini: «Non è vero che gli italiani non hanno fame: Vitali ha sciolto il contratto con Siena per andare a giocare a Montegranaro».
«I nostri sono economicamente sopravvalutati», ribadisce invece il presidente dell’Armani Jeans Milano, Franco Corbelli. «Sono due mesi che cerchiamo un italiano: o chiedono troppo, o la società di appartenenza non li vende, perché ragioni tecniche e regolamentari». Però poi restano in panchina.
«Poche storie: noi italiani siamo penalizzati, soprattutto nelle grandi squadre», attacca Alex Righetti, ala di Avellino. «L’anno scorso, a Roma, giocavo 10-15’ di media, nei quali mi veniva chiesto segnare un po’ di punti. Hai detto niente: fare la differenza nel poco tempo a disposizione. Ecco perché questa estate ho scelto Avellino: qui i minuti sono diventati 30, e se sbaglio i primi tre tiri, ho la possibilità di rifarmi. Gioco più tranquillo».
«Io l’anno scorso facevo 15’ di media, quast’anno sono divenato titolare», racconta Giuseppe Poeta, 22 anni, play di Teramo. «Mi ritengo fortunato, perché le regole non ci aiutano. Ma è vero che noi giovani dobbiamo essere più sfrontati».
«Oggi un giovane fa meno fatica di ieri ad emergere», è l’opinione di Mordente. «Ai miei tempi le frasi di rito erano: “Bisogna mandarlo a fare esperienza… Dobbiamo stare attenti a non bruciarlo”, e finivi per non giocare mai».
«Non capisco chi avvantaggia questa situazione», chiude Gianmarco Pozzecco, genio ribelle del nostro basket. «Nemmeno gli stranieri, che sono tanti, scarsi e guadagnano poco in un campionato deprezzato».

L’italiano lo fa meglio?
Eppure, tutti giurano di preferire l’italiano. Certo, a parità di costo e di valore. Ma non tutti sono sicuri che metterne di più in campo legherebbe di più la squadra ai tifosi: «Danilovic, Rigaudeau e Ginobili sono rimasti nel cuore di Bologna», ricorda Messina; «e Greer, l’anno scorso, era l’idolo di Napoli», conferma Bucchi.
«A parità di bravura, anch’io scelgo l’italiano», spiega Pianigiani, «ma in Eurolega ho giocato col Tau Vitoria, e di spagnoli in campo ne ho visti pochissimi. Stessa cosa per il Cska Mosca. E Russia e Spagna sono arrivate rspettivamente prima e seconda agli Europei. Una legge che imponga gli italiani cambierebbe gli equilibri del torneo: i quattro-cinque club già forti prenderebbero i migliori, allargando ancora di più la forbice con le piccole. E nelle Coppe saremmo comunque penalizzati nei confronti di squadre con 12 stranieri forti. Cominciamo piuttosto a ridurre le squadre profesisonistiche: sono troppe.
ma in Eurolega ho giocato col Tau Vitoria, e di spagnoli in campo ne ho visti pochissimi. Stessa cosa per il Cska Mosca. E Russia e Spagna sono arrivate rspettivamente prima e seconda agli Europei. Una legge che imponga gli italiani cambierebbe gli equilibri del torneo: i quattro-cinque club già forti prenderebbero i migliori, allargando ancora di più la forbice con le piccole. E nelle Coppe saremmo comunque penalizzati nei confronti di squadre con 12 stranieri forti. Cominciamo piuttosto a ridurre le squadre professionistiche: sono troppe».
Ma come funziona all’estero? «In Spagna, nel roster di ciascuna squadra, trovano spazio cinque giocatori di casa e sette stranieri», informa Scariolo. «È stato eliminato il mercato degli oriundi e dei “passaportati”: così hanno tutelato sia il patrimonio nazionale sia la competitività del campionato».
«In Russia ci sono due indigeni sempre in campo», dice Messina. «All’inizio la regola mi convinceva, poi mi sono ricreduto: i due che giocano sono i più forti ed esperti, mentre i giovani languono in panchina».

Federazione e Lega separati in casa
«Seguiamo le regole degli altri o facciamone delle altre, purché si decida cosa vogliamo», riassume Galanda. «Se copiare il modello Nba, con il mercato sempre aperto e chi ha tanti soldi li spenda come vuole, o se tutelare la scuola italiana, investendo sui settori giovanili, al di là del Paese di nascita del giocatore. Ai miei tempi, io ho avuto la possibilità di sbagliare, i ragazzi di oggi no: verso di loro non c’è fiducia e pazienza. Sbagliato, perché, se guardi i numeri, molti di loro sono più produttivi degli stranieri, alla faccia dello spettacolo».
Una scelta precisa, dunque: questo chiedono i giocatori. Intanto, la Lega continua a difendere i due italiani di passaporto, che Coni e Federazione vorrebbero tagliare. Dan Gay, americano di nascita e quasi ex giocatore, è stato uno dei primi a prendere la doppia cittadinanza. «Sono in Italia dall’84. Era un basket diverso: le squadre erano fondate sugli italiani, ma anche noi stranieri sentivamo addosso la maglia. Sarà stato perché all’epoca eravamo di proprietà del club, fatto sta che in campo davamo tutto ed eravamo dispositi a giocare anche con un osso rotto. Ora è tutto diverso: gli stranieri pagati a gettone si chiamano fuori per un dolorino, tanto sanno che oggi sono qui e tra un mese da un’altra parte. Ma è vero che gli italini costano di più: per uno di medio livello servono 130 mila dollari, lo straniero lo prendi con 80 mila. Sì, sono italiano di passaporto, e allora? Ho scelto questo Paese come la mia seconda casa; dopo il matrimonio con un’italiana ho giocato per altri sette anni da straniero. Sono andato al Tar, per arrivare in Nazionale».
La Federazione aspetta proposte concrete: «A Corrado riconosco la buona volontà, ma dai club ha ricevuto finora solo un mandato esplorativo», dice Maifredi. «Gli italiani di passaporto? È una soluzione comoda per i club, non per la Nazionale, dove puoi portarne solo uno. Io sostengo la proposta dei sei ialiani di formazione, alla quale i club si oppongono perché ripetono che non ci sono 108 italiani, quanti sarebbero divisi nelle 18 società, abbastanza bravi da mettere nei roster».

La proposta Curioni
Alla fine, l’idea buona potrebbe averla avuta il presidente della Lega Nazionale Pallacanestro, Franco Curioni. «Oggi solo il 10 per cento delle società professionistiche costruisce giocatori in proprio. D’altra parte, non si possono obbligare società di capitale a produrre in proprio quel che possono comprare fuori. Ecco perché ci proponiamo di farlo noi di B, che abbiamo uno status dilettantistico: vogliamo essere la base che crei giocatori di vertice. Ci vorrà tempo, ma l strada è questa. La mia idea è: io ti fornisco giocatori – italiani – tu mi paghi. La LNP rappresenta il vero campionato italiano. Punto a trasformare la B1, che dal prossimo anno si chiamerà Serie A Dilettanti, in un campionato Under 23; dagli attuali tre, i giovani che dovranno essere utilizzati passeranno a quattro il prossimo anno e via via aumenteranno fino a otto nel 2012. I migliori faranno parte di una Nazionale Under 23 che affronterà i pari età della Ncaa. Tutto questo si basa però sulla volontà da parte dei club di A di inserire nel roster sei atleti italiani “veri” e di trasferire a noi, a titolo di compenso per il nostro lavoro di formazione, le tasse di tesseramento degli stranieri che oggi versano alla Federazione. Se Varese o Milano mi garantiscono 100-150 mila euro all’anno, io mi impegno a consegnare loro giovani pronti all’uso». È la soluzione giusta? «Non lo so», ammette Dan Peterson, allenatore della Milano dei tempi d’oro. «Non so se sia giusto imporre gli italiani. So però che il basket italiano deve trovare cinque Bargnani, cinque Belinelli, cinque Gallinari».

Intanto in A1...

5° Ritorno
Upim - Snaidero 71-79
Benetton - La Fortezza 55-69 (stiamo tornando?)
Pierrel - Armani 61-88
Montepaschi - Eldo 86-73
Air - Tisettanta 90-72
Solsonica - Premiata 95-102
Lottomatica - Legea 82-73
Cimberio - Siviglia 79-88
Scavolini - Angelico 90-81
Classifica: 1) Montepaschi 40, 2) Premiata 30, 3) Lottomatica 30, 4) Air 30, 5) Scavolini 24), 6) Pierrel 24), 7) Angelico 24), 8) Armani 22, 9) La Fortezza 20, 10) Siviglia 20, 11) Snaidero 20, 12) Solsonica 20), 13) Tisessanta 20, 14) Upim 18, 15) Benetton 18, 16) Eldo 16, 17) Legea 10, 18) Cimberio 8
Prime otto ai playoff, ultime due in LegaDue - Upim e Legea una gara in meno

 
 
 
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CAMPIONATO 2008-09

1° giornata: Cefa - JUNIOR LUCCA  65-40
2° giornata: Cefa - VERSILIA   87-55

3° giornata: Cefa - ISOTOPI SANT'ANNA 55-41
4° giornata: riposo
5° giornata: VIDEOEVENTS.IT LI - Cefa 60-66
7° giornata: VIRTUS PONTEDERA - Cefa  46-47

2° giornata: VERSILIA - Cefa   59-80
7° giornata: Cefa - VIRTUS PONTEDERA 86-63
6° giornata: Cefa - AEROBASKET PI   51-79
1° giornata: JUNIOR LUCCA - Cefa  53-75
3° giornata: ISOTOPI SANT'ANNA - Cefa  58-66
4° giornata: riposo
5° giornata: Cefa - VIDEOEVENTS.IT LI   91-76
6° giornata: AEROBASKET PI - Cefa  59-79
FASE ad OROLOGIO
1° giornata: Cefa - LA PERLA  88-36
2° giornata: CASA CULTURALE - Cefa  48-49
3° giornata: Cefa - RAPTORS LI  69-70
4° giornata: MONTESCUDAIO - Cefa  73-67
5° giornata: ALHAMBRA PI - Cefa  61-65

6° giornata: Cefa - VICARELLO  73-59

SEMIFINALE: Cefa - VICARELLO 92-72

FINALISSIMA: giovedì 9 aprile ore 21,30  Cefa - DISCOBOLO VIAREGGIO

 
 
 
 
 
 
 

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