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« mari e castellial mare che incanta »

arrivano i rifornimenti

Post n°11 pubblicato il 21 Aprile 2014 da estuazione

isola di capraia

 

 

Notte di somme, bilanci, notte da scarafaggi neri. L’aria infinita, sciroccosa e senza conforto ha scagliato all’indietro il porto: quando ti rivedrò? Intanto i conti delle spese non mi tornano per niente. Non tornavano più o non erano mai tornati? Il frastuono del mare siliceo scaglioso schiumoso ha un po’ a che fare col fatto che pensieri e scarafaggi si trovino tutt' insieme in quella cabina? Là dentro, anche con la porta aperta, non si respira.
 
Blocco il carrello della Olivetti 32 e la copro con la foderina. Accatasto i brogliacci uno sopra l'altro ed esco dal bugigattolo di lamiera chiamato pomposamente fureria. Stabile da sud-est il vento spinge fin da sotto la poppa della cisterna. La vecchia tank cavalca a pelle il dorso d’un mare nero bizzoso quanto dispettoso. Prendo il corridoio che svolta a sinistra. La porta a destra è la cabina del comandante, quella di fronte, a sinistra, è la mia cabina ed è anche la cabina radio.
Entro e scosto la tenda che nasconde la branda e per un attimo, al buio come mi trovo, credo di avere lasciato una tuta di macchina stesa sul lenzuolo.
Accendo la lampada.
Il letto è completamente ricoperto di scarafaggi.
Questi, appena vedono la luce, si mrttono velocemente in moto ma io sono più lesto di loro.
Strappo via il lenzuolo, lo avvolgo come un sacco, passo per il portello che da' sul ponte delle scialuppe e rovescio il tutto nel mare che scorre sulla fiancata. Dopo averlo scosso con energia auguro agli scarafaggi una buona nuotata.
Resto un po' là, a guardare il mare nero che scorre schiumante.
E' proprio bello, il mare. Anche in una notte sciroccosa e scarafaggiosa.
La cisterna esce dalla bruma del mattino in un silenzio ovattato, nel mare piatto e specchiato, i motori al minimo dei giri. Il tonfo dell'ancora nell'acqua ed il rumore della catena che si srotola, fanno alzare i primi gabbiani in volo che incuriositi prendono a girarle attorno garrendo.
Sul ponte di coperta, gli addetti ai rifornimenti guardano la rupe antistante che dista una cinquantina di metri dalla prua.
Del faro in cima alla rupe, se ne vede solo la sommità.

«Qui c'è da arrampicarsi.», dice il nostromo:«Mandiamo su gli uomini con le sagole», decide il Comandante, «quando saranno in cima, la lanceranno di sotto e ci legheremo le manichette. Fate calare in mare la barca», poi si rivolge all'equipaggio:«due volontari  per salire lassù».

I soliti due marinai addetti ad essere volontari fanno scivolare il piccolo natante sulle acque piatte e lo fanno incuneare tra gli scogli. Non si bagnano nemmeno gli scarponi: di sasso in sasso arrivano sotto la rupe. Guardano in alto per trovare  il miglior percorso da fare. Lentamente iniziano la breve scalata, scegliendo le prese per le mani e l'appoggio per i piedi.
Nel frattempo, una cima riporta la barca sottobordo. Intanto, sulla breve diga che racchiude  il porticciolo, si è formata una piccola e giovane folla di curiosi: da quelle parti non è che si veda tanto traffico. Qualcuno si tuffa e se la gode. I marinai della cisterna in attesa di cominciare il rifornimento fanno lo stesso: salgono sul castello di prua e saltano in acqua da seduti. L’aria intorno è percorsa da risate e da grida giocose. Il sole picchia forte e quel poco di scirocco che ogni tanto alita è schermato dal promontorio a sud del porticciolo.

Quando i due marinai-alpini sono alla sommità, lanciano le sagole appesantite dalla pallina di piombo giù in basso, sulla scogliera. 
Con la barca sono arrivate le manichette che vengono legate alle sagole e ritirate in cima alla rupe dove c’è il piccolo piazzale antistante il faro. Le manichette vengono srotolate fin sotto il faro ed avvitate ai serbatoi.
Dalla scogliera, la scialuppa riporta i capi delle manichette a bordo. Quando tutto è collegato, sulla cisterna si aprono le saracinesche: gasolio per il faro bianco e snello e  acqua potabile per il carcere massiccio come una roccia.

Visto da lontano il carcere sembra un grande sasso disabitato. Come se nessuno lì dentro respirasse. Un masso nel verde scarso ed ispido tra gli altri strani sassi vulcanici dai colori bruciati sparpagliati in mare. Colori marziani, ossidati, rugginosi e violacei, l’ocra della pietra arenaria, la scagliola grigioverde frantumata sotto la forza delle onde, il basalto biancastro che diventa azzurro-turchese sprofondando nel mare a volte blu come la notte, a volte verdazzurro e trasparente. I fondali di cento metri sembrano a portata di tuffo guardandoli dagli alti scogli delle sassicaie che su sgretolano sotto gli zoccoli delle capre che vi si inerpicano.

Così viene il tramonto rosso che riempie l’anima ed il cielo e d’ un tratto è cielo stellato e sono vere le pietre preziose e la notte è davvero uno scrigno nero ed immenso quando l'ancora viene salpata Dal porticciolo illuminato una certa musichetta allegra e festaiola a tratti scappa  verso il largo, confondendosi con il rumore delle catene. Le luci dei fari sciabolano nella notte, anch’essi stelle che indicano la rotta e la posizione tra le migliaia di stelle artificiali che luccicano sulla costa.
Il carcere è avvolto nell'ombra, lassù in cima al poggio. Il dolore che contiene trabocca  incessante ed è sempre presente, seppur nemmeno mai rammentato.
La cisterna si allontana dalla rupe e si tuffa nel buio alla ricerca di un'altra isola, di un altro faro.

 

 
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