"Es necesario recordar, porque perder la memoria siginficaría quedarnos
sin futuro, sin verdad y sin justicia", Rodríguez
Tutt’oggi
si incontrano manifestazioni di commemorazione della dittatura, convocate dalle
organizzazioni dei diritti umani e per esteso da un complesso di entità
politiche, sociali e culturali, e ciò può esser letto come segno che questa
memoria ha segnato profondamente la società.
Lo studio sul significato
politico e morale del terrorismo di stato va oltre la richiesta di giustizia,
che rivela oltre che la formazione e la qualità di uno stato, che può ribaltarsi
con relativa facilità in una impresa criminale, che anche la società, i suoi
dirigenti e istituzioni, le sue tradizioni e la cultura politica sono troppe
volte complici. È da riconoscere che la dittatura in un senso fu un’irruzione
che non aveva antecedenti per la sua brutalità e per la degradazione che portò
alla repubblica, nell’altro fu anche un esito di una lunga crisi politica, che includeva una
guerra civile.
In alcun modo dovrebbe essere pensato come
un avvenimento e una esperienza limite che, se in un momento posero in prova lo
stato, la classe politica e la società(c’è da dire che nessuno passò la prova),
seguono compiendo una prova ugualmente fondamentale nel presente, di fronte alle
responsabilità di una memoria pubblica, politica e morale, capace di rispondere
alle sfide e i conflitti del nuovo ciclo
storico aperto nell’Argentina nel 1983.
In effetti, associata alla
memoria e alla storia della dittatura si apre simultaneamente una memoria delle memorie costruite per
riscattare, riparare questo passato. Sono chiare le modalità e le vicissitudini
di questo lavoro, che in verità si appropria del passato e lo rifà nel
presente, è una questione della maggiore importanza se si tratta di analizzare
come si fissa e si trasmette un’esperienza. È risaputo che la memoria costruisce relazioni,
rappresentazioni e fissa concetti, e in questa formazione del passato necessariamente
lo stilizza e lo semplifica. Tanto come per l’impresa,sempre necessaria, di
giustificazione di queste formazioni, così la memoria,(è decidere, ancora prima
delle questioni specificamente metodologiche della disciplina storica) dipende,
prima che dall’evidenza dei “fatti”, dai significati del passato che entrano a
far parte dello spazio della deliberazione e del debito pubblico. Le evidenze
della memoria non sono aliene al potere e alla responsabilità delle argomentazioni,
in quanto parlare delle lezioni del passato e della storia, rientra nel
progetto nel quale la proiezione nel presente di certi segni, finzione o scene
mira ad acquistare un valore esemplare nella dimensione pubblica della memoria.
Finalmente,
ciò che la storia ha tramandato chiama a non dimenticare per non ripetere il
passato e allude a questa dimensione esemplare reclamando una elaborazione che
renda questo passato comparabile e giocabile in relazione agli avvenimenti del
presente nel quale potrebbe tornare.
Ponendo un esempio riferito ai
significati dell’ olocausto, un topico della memoria sociale contemporanea che
se è parte delle grandi formazioni della coscienza dell’Occidente, alle volte è
stato particolarmente elaborato e scritto in relazione con i valori, scene e
miti molto diversi in contesti nazionali o a partire da tradizioni intellettuali
e ideologiche confrontate. È chiaro che queste memorie diverse, sempre conflittuali, promuovono differenti lezioni
del passato; ed è possibile che derivino da conseguenze opposte. Per esempio,
mentre la retorica nazionalista di Menahen Begin acuiva la memoria dell’Olocausto
per giustificare la invasione del Libano nel 1982, c’era chi difendeva un
cammino opposto alla guerra traendo altre lezioni, universali, includendo
quelle di un sopravvissuto dei campi che evocava le barbarie naziste nella propria azione militare israeliana e
affermava: «vedo Beirut e ricordo
Varsavia»
Nelle manifestazioni tutt’ora
presenti, giungono non solo la totalità degli organismi per i diritti umani, ma
centinaia di organizzazioni e gruppi sociali, culturali e politici.
Ed ascoltiamo la seguente frase: il potere economico e dei governi di turno
garantiscono che il genocidio impunito di ieri continui con il genocidio di
oggi. Basta la fame, la disoccupazione e la repressione. Basta l’impunità .sicuramente
non si sintetizza in questo il complesso di esperienze e aspettative, di
giudizi e valori, in fine, la coscienza che riunisce il passato e il presente,
dei milioni di partecipanti.
Nelle manifestazioni dove
prevalgono gli “autoconvocati” e gli indipendenti, probabilmente, molti dei
partecipanti semplicemente rispondono alla decisione di manifestare sul ripudio
al passato dittatoriale. E tuttavia, questa figura compatta della continuità
dello sfruttamento e dell’impunità, non si può non prendere come indicatore
serio di un significato esteso: una relazione esemplare che pone in linea il
passato con il presente e riunisce senza maggiori sguardi la memoria del
terrorismo di stato con la denuncia e la condanna delle decisioni in area
economica.
Ciò che ora si avverte è un’incertezza
che è conseguenza di una crisi sociale e politica che pende come una minaccia
di dissoluzione della trama sociale, stimolando questa rappresentazione che
riunisce le barbarie di ieri con i patimenti di oggi.
Inviato da: casa_mia
il 31/07/2008 alle 17:33
Inviato da: cile54
il 30/04/2008 alle 14:19
Inviato da: girasolenotturno
il 01/04/2008 alle 22:16
Inviato da: casa_mia
il 22/03/2008 alle 22:10
Inviato da: miriam1mt
il 21/03/2008 alle 12:03