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OGGI 32 ANNI


"Es necesario recordar, porque perder la memoria siginficaría quedarnos sin futuro, sin verdad y sin justicia", Rodríguez Tutt’oggi si incontrano manifestazioni di commemorazione della dittatura, convocate dalle organizzazioni dei diritti umani e per esteso da un complesso di entità politiche, sociali e culturali, e ciò può esser letto come segno che questa memoria ha segnato profondamente la società.  Lo studio sul significato politico e morale del terrorismo di stato va oltre la richiesta di giustizia, che rivela oltre che la formazione e la qualità di uno stato, che può ribaltarsi con relativa facilità in una impresa criminale, che anche la società, i suoi dirigenti e istituzioni, le sue tradizioni e la cultura politica sono troppe volte complici. È da riconoscere che la dittatura in un senso fu un’irruzione che non aveva antecedenti per la sua brutalità e per la degradazione che portò alla repubblica, nell’altro fu anche un esito di  una lunga crisi politica, che includeva una guerra civile.  In alcun modo dovrebbe essere pensato come un avvenimento e una esperienza limite che, se in un momento posero in prova lo stato, la classe politica e la società(c’è da dire che nessuno passò la prova), seguono compiendo una prova ugualmente fondamentale nel presente, di fronte alle responsabilità di una memoria pubblica, politica e morale, capace di rispondere alle sfide e i conflitti del nuovo ciclo storico aperto nell’Argentina nel 1983.  In effetti, associata alla memoria e alla storia della dittatura si apre simultaneamente una memoria delle memorie costruite per riscattare, riparare questo passato. Sono chiare le modalità e le vicissitudini di questo lavoro, che in verità si appropria del passato e lo rifà nel presente, è una questione della maggiore importanza se si tratta di analizzare come si fissa e si trasmette un’esperienza. È risaputo che la memoria costruisce relazioni, rappresentazioni e fissa concetti, e in questa formazione del passato necessariamente lo stilizza e lo semplifica. Tanto come per l’impresa,sempre necessaria, di giustificazione di queste formazioni, così la memoria,(è decidere, ancora prima delle questioni specificamente metodologiche della disciplina storica) dipende, prima che dall’evidenza dei “fatti”, dai significati del passato che entrano a far parte dello spazio della deliberazione e del debito pubblico. Le evidenze della memoria non sono aliene al potere e alla responsabilità delle argomentazioni, in quanto parlare delle lezioni del passato e della storia, rientra nel progetto nel quale la proiezione nel presente di certi segni, finzione o scene mira ad acquistare un valore esemplare nella dimensione pubblica della memoria.  Finalmente, ciò che la storia ha tramandato chiama a non dimenticare per non ripetere il passato e allude a questa dimensione esemplare reclamando una elaborazione che renda questo passato comparabile e giocabile in relazione agli avvenimenti del presente nel quale potrebbe tornare.  Ponendo un esempio riferito ai significati dell’ olocausto, un topico della memoria sociale contemporanea che se è parte delle grandi formazioni della coscienza dell’Occidente, alle volte è stato particolarmente elaborato e scritto in relazione con i valori, scene e miti molto diversi in contesti nazionali o a partire da tradizioni intellettuali e ideologiche confrontate. È chiaro che queste memorie diverse, sempre conflittuali, promuovono differenti lezioni del passato; ed è possibile che derivino da conseguenze opposte. Per esempio, mentre la retorica nazionalista di Menahen Begin acuiva la memoria dell’Olocausto per giustificare la invasione del Libano nel 1982, c’era chi difendeva un cammino opposto alla guerra traendo altre lezioni, universali, includendo quelle di un sopravvissuto dei campi che evocava le barbarie naziste nella propria azione militare israeliana e affermava: «vedo Beirut e ricordo Varsavia[1]»    Nelle manifestazioni tutt’ora presenti, giungono non solo la totalità degli organismi per i diritti umani, ma centinaia di organizzazioni e gruppi sociali, culturali e politici.  Ed ascoltiamo la seguente frase: il potere economico e dei governi di turno garantiscono che il genocidio impunito di ieri continui con il genocidio di oggi. Basta la fame, la disoccupazione e la repressione. Basta l’impunità .sicuramente non si sintetizza in questo il complesso di esperienze e aspettative, di giudizi e valori, in fine, la coscienza che riunisce il passato e il presente, dei milioni di partecipanti.  Nelle manifestazioni dove prevalgono gli “autoconvocati” e gli indipendenti, probabilmente, molti dei partecipanti semplicemente rispondono alla decisione di manifestare sul ripudio al passato dittatoriale. E tuttavia, questa figura compatta della continuità dello sfruttamento e dell’impunità, non si può non prendere come indicatore serio di un significato esteso: una relazione esemplare che pone in linea il passato con il presente e riunisce senza maggiori sguardi la memoria del terrorismo di stato con la denuncia e la condanna delle decisioni in area economica. Ciò che ora si avverte è un’incertezza che è conseguenza di una crisi sociale e politica che pende come una minaccia di dissoluzione della trama sociale, stimolando questa rappresentazione che riunisce le barbarie di ieri con i patimenti di oggi.   [1] Selling the Holocaust, New York, Routledge, 2000, pp.138