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CINEMA E LIBRI

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Class enemy

Post n°11 pubblicato il 13 Ottobre 2014 da gianor80

Locandina italiana Class Enemy

Rok Bicek non solo ha trovato uno dei nervi più scoperti nel campo dei rapporti sociali del nostro decennio, la sfiducia nelle istituzioni e quindi lo schieramento automatico dalla parte dei singoli. Ma è anche riuscito a girare un film in cui questo è sfrugugliato fino ai limiti del sadismo e della cattiveria, senza mai sconfinarci davvero, per raccontare quel che nessuno racconta mai. Che poi l’abbia fatto a partire dal più scontato dei contesti, il liceo, quello le cui storie sono sempre a senso unico, sempre dalla parte di un soggetto solo, ha del geniale.
A scanso di equivoci, Class enemy è un film molto tecnico in cui il regista si nasconde e attraverso un gioco di torti e ragioni, che fa finta di mostrare i fatti per come sono e invece attua il massimo della manipolazione del pensiero dello spettatore con l’obiettivo di dimostrare proprio come molto spesso i meccanismi attraverso i quali ci schieriamo siano sclerotici.

Il principio è quello diventato sempre più pervasivo (grazie a Dio!) dopo Una separazione: creare dei poli d’attrazione di torti e ragioni e cambiarne la polarità di continuo, far sì che lo spettatore sia prima attirato da una parte, convinto dalle tesi o dall’atteggiamento di qualcuno e poi invece attirato dall’altra, costretto cioè a cambiare idea.

Questa volta per l’appunto più che i fatti (come nei film di Farhadi) sono gli atteggiamenti a tradire una fallacia di ragionamento, perchè nel caso del suicidio di una studentessa il primo degli imputati è un professore duro e inflessibile, che dice le cose come stanno ma soprattutto non è per nulla incline a venire incontro agli studenti, un professore fuori dal tempo che ha una visione del rapporto insegnante/studente da anni ’50: “Una volta gli studenti temevano noi, oggi noi temiamo loro. Non l’hai ancora capito?” gli dice ad un certo punto la preside, che si trova a mediare tra la sua durezza e una possibile rivolta di un gruppo di studenti che hanno motivo d’incolpare lui e i suoi metodi del suicidio della ragazza. Il professore in questione è tedesco e la scuola slovena, chi ha nozioni avanzate di storia e cultura slovena può cogliere ulteriori livelli di lettura in questo, ma anche senza il film funziona alla grande.

Ma questo non bastava a Rok Bicek e per essere ancora più duro mette tra gli studenti in rivolta contro il professore “nazista”, anche uno più sensibile a cui è morta la madre da pochissimo, il massimo dell’incontestabile. Fa bene quindi vedere Class enemy, perchè è cinema di testa che non dimentica mai la forma, che sa che sul grande schermo qualsiasi concetto nasce da come si riprende e si monta alla stessa maniera più che da come si scrive o si recita; per questo mette la forma al servizio degli schieramenti, lavora di ambienti stretti e macchina a mano per creare un scontro che non è fisico ma di parola, di logica e che ad un certo punto necessita di un clamoroso superamento del più atavico, banale e radicato dei pregiudizi. C’è una punta della cattiveria di Haneke verso lo spettatore unita all’amore per la forza delle parole dei cineasti degli anni ’60 nell'opera prima di questo ragazzo.

 
 
 
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