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Post n°18 pubblicato il 16 Marzo 2011 da shield64
Fa freddo, anche qua in Medio Oriente, a Doha. Fa freddo fuori e dentro la mia testa, allo stesso modo, ma è notte, ancora una volta, e nel silenzio posso ascoltarmi senza interferenze. Osservo a lungo la mia immagine riflessa nello specchio dell’ascensore che corre longitudinalmente nella torre d’avorio all’interno della quale mi sono nascosto. La osservo e trovo che mi piace, perfino. Quello che vedo riflette perfettamente quello che sento di essere, e questo mi dona un momento di serenità. Solo un momento, però. Sono dove l’istinto mi ha voluto portare, in questo curioso luogo dell’anima in cui la massima vicinanza tra ciò che sono e ciò che sento coincide con più profondo senso di solitudine che sono in grado di sperimentare. Possibile che nel momento di massima apertura verso un’altra persona ci si possa sentire così soli? Mi chiedo se per una qualche perversa ragione io stesso non abbia più o meno inconsciamente disegnato e fedelmente seguito il percorso che mi porta qui. Si tratta di un teorema, penso, perché sono talmente tanti i tasselli che sono andati di volta in volta ad incastrarsi l’un l’altro che mi pare impossibile l’esserne stato l’artefice. Piuttosto, credo che ognuno di noi segua sempre lo stesso destino, se sottoposto all’influsso di determinate emozioni. E poi, in fondo, anche questa tentazione di voler dare per forza una chiave di lettura razionale di tutto finisce per essere esso stesso un inutile perversione. Però è vero che diversi mesi fa avevo paventato la possibilità di ritrovarmi qui a pensare ciò che penso, a sentire ciò che sento. E di aver serenamente ritenuto inutile un qualsiasi “piano B” del caso. Come se questo fosse il punto di arrivo, il posto dove dovevo andare. Per certi versi finalmente sono qui, finalmente posso sentire che sono tornato ad amare, e forse questo era l’obiettivo principale, dopo anni di riconoscenza, affetto e altri surrogati, e non deve importarmi di tutte le dinamiche che ho prodotto o che non sarò in grado di produrre. Amo e perciò sono vivo. Ne avevo un gran bisogno, perso come ero sulla via dell’inaridimento, ed ora che torno a sentire tutta la leggerezza e la pesantezza di questa schiavitù, solo adesso vivo. Si tratta di riuscire a spingersi là dove tutte le regole paiono sovvertirsi, sempre che si abbia il coraggio di sperimentarlo, e la fortuna di trovare la mano che ti conduce così lontano dalle tue certezze. Si tratta di accettare che non vi è logica nello scegliere di suicidare le proprie emozioni, immolandole ad un dio superiore che avidamente ti spreme il cuore mentre resti li incantato a fissare il suo sorriso sornione, e comunque di accettare di lasciare che questo accada, senza muovere un singolo passo in altre direzioni. Si tratta anche di dover navigare “a vista”,da qui in poi, e questo mi trasmette vibrazioni che non so definire, ma che andrei cauto col definire “buone”. Sopravviverò, lo so,anche a questo. |
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