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Post n°19 pubblicato il 16 Marzo 2011 da shield64
In realtà non è che mi aspetti qualcosa in particolare, tornando qui a Pisa. Ci torno per motivi di lavoro, e ogni volta mi sento più estraneo. Di qui, eccezion fatta per i rapporti con la mia famiglia, continua il legame con le cose, un legame di silenzioso reciproco scambio. Non ho niente contro questi luoghi nè mi disturba la loro fissità. Sono luoghi, come ce ne sono tanti. Mi intristiscono invece le persone. Incontro vecchi amici e conoscenti e li vedo sempre dire le stesse cose, raccontandomi/si le stesse bugie sempre più malinconicamente. Immobili. Guardandoli meglio, quasi mi sembra di vedergliela addosso la patina del tempo. Figure bidimensionali come vecchie foto, ingiallite. Io corro,corro così veloce che di tanto in tanto mi sbircio allo specchio, per non rischiare di finirci davanti più in là e non riconoscermi. In generale,vedere che le persone qui rimangono sempre uguali a se stesse mi inquieta. Sembrano vecchi marinai che raccontano continuamente la solita storia, perennemente in attesa del fantastico viaggio che "vedrai che ora parto", e che non partiranno mai. Che' lo sanno, che non partiranno mai, ma non se lo dicono. Leggo i quotidiani, al bar, ma le notizie sono sempre le stesse. Potrei leggere "la Nazione" di tre anni fa,e non mi accorgerei che è vecchia,se non controllassi la data. Perciò mi chiudo in questa stanza, come fosse la navicella che uso per viaggiare - indietro - nel tempo. Mi muovo proteso in avanti, la mia attenzione è unicamente rivolta a quel che verrà. Ogni piccola cosa che faccio è preparativo per quelche andrà ad accadere. Per far si che quello che spero e voglio accada. Perchè mi pare normale che sia così. Anche questa volta scapperò da qui, sgusciando via furtivamente prima di affondare nella melma che lì per lì accoglie morbida i piedi, e poi col primo sole seccando te li imprigiona. Prima di diventare uno degli infiniti soggetti sfuocati di questa foto in bianco e nero che è Pisa. Prima di essere ingoiato dalla normalità sempre più anticamera dell'oblio. So che ormai non riuscirei ad adeguarmi. Soche morirei di inedia, iniziando a morire da dentro. Morirei di tristezza, ora che sono così abituato a sentirmi felice. |
Post n°18 pubblicato il 16 Marzo 2011 da shield64
Fa freddo, anche qua in Medio Oriente, a Doha. Fa freddo fuori e dentro la mia testa, allo stesso modo, ma è notte, ancora una volta, e nel silenzio posso ascoltarmi senza interferenze. Osservo a lungo la mia immagine riflessa nello specchio dell’ascensore che corre longitudinalmente nella torre d’avorio all’interno della quale mi sono nascosto. La osservo e trovo che mi piace, perfino. Quello che vedo riflette perfettamente quello che sento di essere, e questo mi dona un momento di serenità. Solo un momento, però. Sono dove l’istinto mi ha voluto portare, in questo curioso luogo dell’anima in cui la massima vicinanza tra ciò che sono e ciò che sento coincide con più profondo senso di solitudine che sono in grado di sperimentare. Possibile che nel momento di massima apertura verso un’altra persona ci si possa sentire così soli? Mi chiedo se per una qualche perversa ragione io stesso non abbia più o meno inconsciamente disegnato e fedelmente seguito il percorso che mi porta qui. Si tratta di un teorema, penso, perché sono talmente tanti i tasselli che sono andati di volta in volta ad incastrarsi l’un l’altro che mi pare impossibile l’esserne stato l’artefice. Piuttosto, credo che ognuno di noi segua sempre lo stesso destino, se sottoposto all’influsso di determinate emozioni. E poi, in fondo, anche questa tentazione di voler dare per forza una chiave di lettura razionale di tutto finisce per essere esso stesso un inutile perversione. Però è vero che diversi mesi fa avevo paventato la possibilità di ritrovarmi qui a pensare ciò che penso, a sentire ciò che sento. E di aver serenamente ritenuto inutile un qualsiasi “piano B” del caso. Come se questo fosse il punto di arrivo, il posto dove dovevo andare. Per certi versi finalmente sono qui, finalmente posso sentire che sono tornato ad amare, e forse questo era l’obiettivo principale, dopo anni di riconoscenza, affetto e altri surrogati, e non deve importarmi di tutte le dinamiche che ho prodotto o che non sarò in grado di produrre. Amo e perciò sono vivo. Ne avevo un gran bisogno, perso come ero sulla via dell’inaridimento, ed ora che torno a sentire tutta la leggerezza e la pesantezza di questa schiavitù, solo adesso vivo. Si tratta di riuscire a spingersi là dove tutte le regole paiono sovvertirsi, sempre che si abbia il coraggio di sperimentarlo, e la fortuna di trovare la mano che ti conduce così lontano dalle tue certezze. Si tratta di accettare che non vi è logica nello scegliere di suicidare le proprie emozioni, immolandole ad un dio superiore che avidamente ti spreme il cuore mentre resti li incantato a fissare il suo sorriso sornione, e comunque di accettare di lasciare che questo accada, senza muovere un singolo passo in altre direzioni. Si tratta anche di dover navigare “a vista”,da qui in poi, e questo mi trasmette vibrazioni che non so definire, ma che andrei cauto col definire “buone”. Sopravviverò, lo so,anche a questo. |
In realtà non è che mi aspetti qualcosa in particolare, tornando qui a Pisa. Ci torno per motivi di lavoro, e ogni volta mi sento più estraneo. Di qui, eccezion fatta per i rapporti con la mia famiglia, continua il legame con le cose, un legame di silenzioso reciproco scambio. Non ho niente contro questi luoghi nè mi disturba la loro fissità. Sono luoghi, come ce ne sono tanti. Mi intristiscono invece le persone. Incontro vecchi amici e conoscenti e li vedo sempre dire le stesse cose, raccontandomi/si le stesse bugie sempre più malinconicamente. Immobili. Guardandoli meglio, quasi mi sembra di vedergliela addosso la patina del tempo. Figure bidimensionali come vecchie foto, ingiallite. Io corro,corro così veloce che di tanto in tanto mi sbircio allo specchio, per non rischiare di finirci davanti più in là e non riconoscermi. In generale,vedere che le persone qui rimangono sempre uguali a se stesse mi inquieta. Sembrano vecchi marinai che raccontano continuamente la solita storia, perennemente in attesa del fantastico viaggio che "vedrai che ora parto", e che non partiranno mai. Che' lo sanno, che non partiranno mai, ma non se lo dicono. Leggo i quotidiani, al bar, ma le notizie sono sempre le stesse. Potrei leggere "la Nazione" di tre anni fa,e non mi accorgerei che è vecchia,se non controllassi la data. Perciò mi chiudo in questa stanza, come fosse la navicella che uso per viaggiare - indietro - nel tempo. Mi muovo proteso in avanti, la mia attenzione è unicamente rivolta a quel che verrà. Ogni piccola cosa che faccio è preparativo per quelche andrà ad accadere. Per far si che quello che spero e voglio accada. Perchè mi pare normale che sia così. Anche questa volta scapperò da qui, sgusciando via furtivamente prima di affondare nella melma che lìper lì accoglie morbida i piedi, e poi col primo sole seccando te li imprigiona. Prima di diventare uno degli infiniti soggetti sfuocati di questa foto in bianco e nero che è Pisa. Prima di essere ingoiato dalla normalità sempre più anticamera dell'oblio. So che ormai non riuscirei ad adeguarmi. Soche morirei di inedia, iniziando a morire da dentro. Morirei di tristezza, ora che sono così abituato a sentirmi felice. |
La questione è presto detta: può un viaggio di lavoro iniziato proprio nel giorno della festa dei lavoratori filare via liscio senza intoppi? |
Da minuti ormai, tutta la mia attenzione va alle chiavi di casa, mentre con clinica precisione le aggancio al |
Inviato da: shield64
il 20/03/2011 alle 19:07
Inviato da: rosa_risi
il 16/03/2011 alle 14:00