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Quella mattina a Jenin

Post n°294 pubblicato il 14 Marzo 2013 da vincenzoanzoletti
 

 

Quella mattina a Jenin:

Anche quella mattina svegliarsi in quell'inferno non era piacevole, ancora mezzo addormentato diedi un'occhiata al campo profughi di Jenin dalla tenda della mia baracca:dalle altre baracche arrivavano dei lamenti spaventosi e dei pianti, a cui avevo fatto l'abitudine, poiché quei lamenti esprimevano quello che anch'io provavo:un desiderio ardente di tornare a casa, a New York e loro, invece, desideravano tornare a 'Ain Hod e indietro nel tempo,  nel tempo in cui ci si alzava la mattina in pace e in tranquillità, senza dover avere paura per la propria vita e senza dover dar conto a nessuno dei propri spostamenti e senza rappresaglie Israeliane e senza dover sentire inevitabilmente ogni mattina quelle grida disperate di donne, uomini e bambini che perdevano ogni giorno un componente della loro famiglia e ogni mattina nella salat, la prima delle cinque preghiere giornaliere, facevano una ra'k in più desiderando di tornare a casa e che la guerra finisse, ma invano, erano tutti destinati a morire lì. Ero stanco anche di vedere, come "buongiorno" una dozzina di cadaveri riversi per terra quando uscivo dalla mia baracca in argilla. Ero ancora a letto, comodamente disteso con le gambe allungate, assorto in questi pensieri, speravo che quella giornata sarebbe stata migliore di tante altre, in cui ero picchiato molte volte dai soldati Israeliani, solo per divertimento. Mi stiracchiai assonnato guardando il sole sorgere dalla mia piccola finestra. Quella mattina però, come tutte le altre mattine,  mi alzai all'alba, una abitudine che avevo preso da quando ero piccolo e che conservavo ancora. All'improvviso, vidi la tenda della mia baracca che si apriva e comparire dinanzi a me un soldato, con un' uniforme verde e un fucile che mi disse:"Buongiorno, signor Abulleya, venga con me, ho bisogno del suo aiuto per un lavoretto". Il soldato era gentile, con un sorriso stampato in viso, quindi feci stupidamente l'errore di dirgli cortesemente che non potevo perché ero occupato e allora mi puntò la bocca del fucile contro la fronte e così capii che non potevo rifiutare. Il "lavoretto" era lo spostamento di alcuni sacchi molto pesanti di polvere da sparo che erano arrivati quella mattina, dopo un po' crollai e dissi al soldato, David, che non ce la facevo e allora lui, crudelmente cominciò a  frustarmi e, dopo quattro ore di inferno, sanguinante, venni spinto a malo modo nella mia baracca e andai a sbattere il mento contro un mobile(come se non bastasse), mi trascinai fino al letto, dolorante, avevo la schiene piena di lividi. E lì, nel letto, per fortuna ancora lucido, cominciai seriamente a pensare a come poter abbandonare il campo e mandare al diavolo l'incarico che l'ONU mi aveva dato di riferire tutto ciò che succedeva nel campo. Ero malvisto dai soldati israeliani perchè per loro ero solo uno schifoso palestinese di nome Abulleya.  Nel letto ,ripensai anche alle mie giornate al campo, avevo conosciuto molte persone lì ed ero ben visto. Il 1 giorno conobbi un ragazzino di nome Ari, che era eccitato dai nuovi arrivi, sparse la notizia del mio arrivo per tutto il campo profughi e la sera, mentre stavo pulendo la baracca, la tenda si aprì e una vecchia signora chiamata Dafila mi disse gentilmente, ma con un'aria mesta:"Povero ragazzo mio, sei capitato anche tu tra questi porci maledetti!" "Vi trattano così male qui? dissi io, poichè volevo capire cosa mi attendeva. "E' un inferno", disse la donna, che per darmi un'idea della situazione, mi mostrò i lividi che aveva su tutto il corpo. In quel momento capì che la situazione era veramente grave. Ahhin, il marito di Dafila, mi si avvicinò presentandosi:"Salve ragazzo, sono Ahhin, sono qui da una vita. Cani, sono solo dei cani!" disse Ahhin pieno di rabbia riguardo agli Israeliani. Lo guardai in volto:era pieno di rughe su tutta la faccia e una espressione triste che ti penetrava nel cuore. Per un momento, vedendolo così magro, tutto pelle ed ossa, mi spaventai e indietreggiai. Ahhin, preoccupato, si sporse in avanti, per venirmi più vicino: "Stai bene, figliolo?" "Sì, Sì, non si preoccupi", dissi io, cercando di nascondere lo spavento che avevo avuto. Tra la gente che era entrata nella mia tenda vi erano soprattutto anziani, più tardi avrei scoperto i loro nomi:oltre a Dafila e Ahhin, vi erano 3 fratelli:Josef, Darwish, e Jack, che mi saltarono all'occhio perché lì dentro erano i più sani, stranamente, molto ben curati, sbarbati e vestiti elegantemente, gli altri avevano indosso solo stracci, invece loro avevano tutti e tre delle giacce blu, dei pantaloni blu. Uscirono cercando di non farsi notare, ma io li notai e finsi di non accorgermene, desideroso di seguire quei tre, congedai tutti in un modo poco cortese:"Scusatemi...sono stanco, io....devo fare una passeggiata".Tutti, pensando che fossi stanco, mi lasciarono andare. Josef, Darwish e Jack, fuori dal campo, stavano parlando con David, il soldato di stamattina. I tre fratelli, informando su ogni nuovo arrivo i soldati Israeliani, essendo stufi di essere trattati come bestie, si erano in questo modo attirate le loro simpatie."E' arrivato uno nuovo, sembra un tipo molto ingenuo, chissà cosa pensi che sia qui!" disse Josef, era lui che parlava sempre per tutti. Avrei scoperto in seguito che David, dopo aver preso atto delle impressioni dei tre fratelli su i nuovi arrivati, si informava sui loro conto, ma nel mio caso, non trovo nulla di anomalo. Ero un tipo mite, che sopportava ogni sofferenza per quelli che erano nel capo e da quel giorno, per giusto, mi maltrattò in tutti i modi. Però, proprio in quel momento, interrompendo i miei ricordi, ricordai che proprio quel giorno erano passati due mesi da quando ero arrivato al campo e pensai di aver scoperto abbastanza, quindi pensai  di poter tentare di fuggire, ma prima fecci una rak'a. Fortunatamente, mi andò tutto lisco:scappai dal campo profughi di Jenin e dopo un'ora ero in auto, dopo averla ripresa da un magazzino abbandonato dove l'avevo nascosta. Dopo poche ore di viaggio, mi fermai in un piccolo hotel di un paesino e dopo aver passato lì la notte, prendo il 1 aereo per casa mia, New York. Dopo aver informato l'ONU di ciò che avevo scoperto, sereno tornai a casa. Al mio arrivo, stanco morto, davanti casa mi vedo un sacco di giornalisti e fotografi:"Signor Gordon,(è questo il vero nome) dopo la missione del campo di Jenin, i soldati Israeliani sono così terribili come si dice?"Un giornalista insistente più di altri, molto giovane, continua a farmi domande sopra domande, anche se io non rispondevo:"Scusatemi, ora sono stanco, lasciatemi passare!" "Dove si è fatto questi lividi?" "Era lì in incognito? Ecc..io, per dare un taglio a questa situazione, mi misi a loro disposizione e cominciai anche ad andare in tv a raccontare quello che avevo visto, pesando che fosse giusto informare la gente su quelle atrocità e non tenerle nascoste. Gordon divenne famoso per questo motivo e il suo nome arrivò anche all' estero e alle orecchie degli israeliani e 3 mesi più tardi, dei giornalisti avrebbero trovato morto, nel letto avvelenato il signor Gordon e in seguito si sarebbe scoperto che David(il soldato che lo aveva picchiato) in persona, era venuto apposta a New York   per ucciderlo, avvelenandogli il caffè che ogni mattina beveva, poichè era diventato scomodo. 

 

 

 

 
 
 
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