Creato da claudionegro50 il 23/01/2012
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Messaggi di Settembre 2016

 

Ma la libertà di stampa si misura da quante frottole un giornale sa inventare?

Post n°79 pubblicato il 21 Settembre 2016 da claudionegro50
 


Tripudio bipartisan della stampa antirenziana, di destra e di sinistra, alla pubblicazione dei dati trimestrali dell'Osservatorio INPS sulla precarietà:


“Il Jobs Act è tutto un flop: in 7 mesi giù le assunzioni” (Il Manifesto)

“Anche l'Inps certifica il fallimento del Jobs Act” (Il Tempo)

“Senza la droga di governo persi 76.000 posti” (La Verità)

e via così.


Il messaggio che viene comunicato è che l'occupazione diminuisce. Alla base di questi titoli si fa fatica a capire se ci sia più ignoranza (incapacità di comprendere i dati e i testi, problema peraltro diffusissimo in Italia come testimoniano le ricerche annuali PISA-OCSE sul grado di preparazione degli studenti) o più malafede (spacciare menzogne per verità, come sperimentato con successo dai tabloid inglesi con la Brexit).

Infatti l'occupazione non diminuisce, ma aumenta: in numeri assoluti dal gennaio 2014 al Luglio 2016 i lavoratori con contratto di lavoro subordinato sono aumentati di 600.000 unità.

Nello stesso periodo la variazione netta tra nuovi rapporti di lavoro e rapporti cessati è sempre stata positiva, e lo è anche per il primo semestre 2016: 804.000, di cui 76.000 a tempo indeterminato (vedi tab. 3 dell'Osservatorio INPS sul precariato, la stessa fonte “consultata” dai nostri tabloid).

Ciò che accade è cosa ben diversa dal calo dell'occupazione: è che l'occupazione aumenta a velocità inferiore a quanto ha fatto nel 2015.

Per capirci: i nuovi rapporti di lavoro avviati nel gennaio-luglio 2016 sono stati 3.428.000 contro 3.809.000 dello stesso periodo 2015, e le trasformazioni in contratto a tempo indeterminato 229.000 contro 329.000 (tab. 1 del medesimo infame Osservatorio).


Come mai rallenta la crescita dell'occupazione? Essenzialmente per tre ragioni, due delle quali previste e inevitabili:

1) nel 2015 le imprese che avevano intenzione di stabilizzare i contratti a tempo indeterminato lo hanno fatto, approfittando anche del bonus contributivo. In questo modo hanno in buona parte prosciugato lo stock dei contratti da trasformare e adesso le trasformazioni sono di meno. Infatti lo stock (per fortuna!) non si ricostituisce alla stessa velocità con la quale si svuota.

2) come il sindacato e le imprese hanno sempre detto, uno dei principali ostacoli all'occupazione (e tanto più a quella stabile) è il peso del cuneo fiscale contributivo. Con la forte decontribuzione attuata dal Governo per il 2015 le assunzioni a tempo indeterminato hanno decollato. Riducendosi la decontribuzione, e quindi ridimensionandosi il taglio al costo del lavoro, il tasso di aumento delle assunzioni diminuisce. Ma guarda un po'! Come volevasi dimostrare: avevamo ragione noi, direbbe un sindacalista che volesse fare il proprio mestiere e non quello di castigarenzi. Particolarmente significativo in proposito il titolo de “La Verità (?!?)”: senza la droga di governo persi 76.000 posti. E qui non riesci a distinguere se prevale l'ignorantaggine o la malafede: 76.000 sono i nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato al netto di quelli cessati! Almeno imparare a leggere le tabelle…


C'è poi una terza ragione, nota anche se non inevitabile: l'occupazione non si può creare per legge (anche se nel Piano del Lavoro della CGIL pare far capolino questa convinzione, ma ne parleremo un'altra volta). Una buona riforma del Mercato del Lavoro può eliminare gli ostacoli che disincentivano le imprese dall'assumere; può creare le condizioni per cui le imprese siano più propense a tradurre le variazioni positive del ciclo economico in nuove assunzioni. Questo doveva fare e ha fatto il Jobs Act.


Infine qualche dato recentissimo, che riguarda la Lombardia ma che quindi, come direbbe Maroni, non può che essere paradigmatico per il resto del Paese: gli occupati in Lombardia nel 2° trimestre 2016 sono 436.700.000, 116mila in più rispetto al II trimestre 2015 e 67mila in più rispetto al trimestre precedente, ma soprattutto contro i i 4.300.000 del III trimestre 2008, quindi pre-crisi; il tasso di disoccupazione resta invece più alto (7%) rispetto ai livelli antecrisi (inferiori al 4%) in ragione dell'aumento della popolazione intervenuto in questi ultimi 8 anni di 596.000, di cui 277.000 di forze di lavoro (elaborazioni ARIFL su dati ISTAT).


Questa è la realtà; non so se nell'ambito della libertà di stampa sia anche iscritto il diritto di negarla e reinventarla. Devo dire che sento nostalgia della disinformacija dei tempi dell'URSS, che almeno cercava di essere verosimile e aveva un certo stile...

 

 

 
 
 

La Democrazia può essere suicidata?

Post n°78 pubblicato il 17 Settembre 2016 da claudionegro50
 

 

Che la democrazia non consista soltanto nel libero suffragio universale, ma anche (e a parità di valore) nei diritti civili (libertà d'espressione, di stampa, di associazione, pari opportunità, giustizia equa, certa e garantista, ecc.) è convinzione diffusamente accettata, almeno in Occidente. Cercare società in cui al requisito del suffragio universale non corrispondano le libertà non è un esercizio difficile: dall'Iran alla Russia, dal Pakistan alla Turchia, ecc. Paolo Mieli, in un suo bel fondo sul Corriere della Sera, aggiunge una considerazione: il suffragio universale è come il fonte battesimale; non esiste democrazia se non origina da libere elezioni. Il che è certamente vero, ma vista la realtà induce una domanda: il suffragio universale può anche generare mostri? La storia ci dice di sì: oltre agli esempi prima citati, non dimentichiamo che Hitler andò al potere vincendo le elezioni.

Ma queste sono questioni su cui si è sempre dibattuto, e portano spesso alla considerazione che in politica si tende a considerare informati e consapevoli gli elettori della propria parte, ignoranti e/o corrotti gli altri. Ricordo che quando Martelli fece il pieno di voti alle elezioni politiche a Palermo i professionisti dell'antimafia li classificarono senza indugio come “voti della mafia”. Quando poco dopo Orlando venne eletto sindaco più o meno con gli stessi voti , questi da voti mafiosi si trasformarono in voti “contro la mafia”.

Ma se il suffragio universale è l'unico e insostituibile generatore di democrazia, qualche riflessione è opportuno farla circa il modo, il percorso, le pressioni emozionali che nel contesto reale in cui vivono gli elettori condizionano l'esercizio di questo formidabile potere.

E' chiaro che il principio alla base del suffragio universale è la considerazione che ogni singolo elettore fa sintesi delle informazioni che riceve riguardo la situazione concreta in cui vive, i problemi, gli aspetti positivi, quanto ostacola i suoi interessi e quanto li favorisce, e alla fine fa le somme mettendo nel bilancio anche quanto lui percepisce come interesse generale, valutando quanto sia funzionale al suo proprio.

Questo presuppone, in una situazione ideale, un'informazione accettabilmente obiettiva e diffusa, una consapevolezza passabile della realtà. Che questo sia stato effettivamente nelle consultazioni elettorali del passato, ed in quale misura, non saprei. Però mi sembra che in questo momento il contesto vada in tutt'altra direzione. E non solo il Italia, ma in tutto l'Occidente.

Non voglio fermarmi sull'impresentabilità di candidati come Trump, ma sull'informazione e la comunicazione che li genera. Che sono fondamentalmente false, attingono a luoghi comuni legittimandoli (un maestro, Casaleggio, diceva che se una informazione diventa virale diventa vera…), fanno da megafono a idiozie e isterie che (come diceva Umberto Eco) un tempo erano proprie dell'idiota del villaggio, e come tali considerate, o delle chiacchiere del barbiere o del bar.

La disinformazione è stata protagonista nel referendum britannico sulla Brexit, con i tabloid che davano notizie inverosimili e il dibattito politico surreale, una gara a chi la sparava più grossa senza nessun riguardo per la realtà o almeno per la verosimiglianza. Le elezioni in Mecklenburgo-Pomerania sono state un referendum contro l'immigrazione, che in quel land non esiste. In Italia il linguaggio della politica è tra il grottesco e l'irresponsabile: al Governo si danno “avvisi di sfratto” (il che indica quale sia la visione che si ha delle istituzioni e del servizio allo Stato: arcaica e proprietaria); se al referendum vince il sì “tireremo fuori gli schioppi”; la riforma costituzionale è pensata per “instaurare un regime autoritario”; l'Italicum è finalizzato a produrre un Parlamento di nominati e non di eletti (ma a Bersani, Berlusconi, Calderoli, andavano bene quando c'era il Porcellum perché erano i loro nominati…).

Su qualunque questione manca totalmente la volontà di discutere nel merito: tutto è spiegato e se necessario inventato a vantaggio della propaganda.

Non che la credulità popolare, la diffusione ad arte di menzogne e le sue tragiche conseguenze siano una novità: basti pensare alla caccia alle streghe nel XVI e XVII secolo. Ma adesso, oltre al fatto che disinformazione, superstizione ( pensare al pregiudizio contro OGM, gas scisto, nucleare, e in genere a tutti gli interventi cui si oppone il nimby), credulità e ignoranza sono dilatate grazie ai media, c'è il fatto che tutto ciò incide direttamente sull'esercizio di quello che Mieli, come detto, considera il fonte battesimale della democrazia: il suffragio universale

Vi sono scelte che emergono dalle consultazioni popolari che vanno con ogni evidenza contro gli interessi reali dello stesso elettorato: vogliamo pensare a come migliorerà la vita del popolo americano quando, con Trump presidente, sarà isolato dal mondo da barriere doganali e politiche? E se i populisti dovessero vincere in Europa, ci immaginiamo lo spasso delle economie italiana, francese, tedesca, senza l'euro a fare i conti col mercato globale? O vogliamo farla finita con la globalizzazione? Forse sarà necessario spiegarlo a sudamericani e asiatici, che non han più tanta voglia di riconoscere privilegi all'Occidente.

Ma questi temi non sono visibili per la stragrande maggioranza di chi vota: son più gratificanti le sparate dei populisti. Non solo: prende piede un'ideologia dell'elogio dell'ignoranza e dell'insofferenza per la documentazione, la verifica dei fatti, il riconoscimento della complessità dei problemi (“il popolo britannico è stufo degli esperti” si è gridato durante la campagna sulla Brexit).

E allora mi faccio una domanda alla quale, peraltro, non so dare risposta: se il fonte battesimale della democrazia, il suffragio universale, è inquinato, la democrazia si prenderà qualche brutta malattia?

Temo di sì, ma non vedo alternative che non siano una sospensione o una limitazione della democrazia stessa: qualcuno spiegherà che in Cina e in generale nel Sud Est Asiatico c'è poca democrazia ma molta crescita economica… Ma in questo modo la democrazia cancella se stessa: chiudere il fonte battesimale inquinato vuol dire non fare più battesimi. Ma, fuor di metafora, disinquinare coscienze e mentalità e ben più difficile che disinquinare fonti!

I liberi cittadini elettori ammazzeranno la democrazia? E' un'ipotesi da non escludere. In fondo la democrazia come la conosciamo noi esiste da meno di duecento anni: credo che nel pianeta siano molti quelli che pensano che se ne può fare benissimo a meno...

 

 

 
 
 
 
 

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