PASSI...
PASSI NELLA NOTTEvolte leggo di dubbi, di riflessioni, di schiave che si pongono ogni
tanto la legittima domanda ma lo sono davvero?
Leggono di altre donne che si professano tali, ne sentono la loro
convinzione negli scritti e qualche volta invidiano la loro sicurezza,
Ho letto in un trhead qualcosa di molto giusto e razionale, lo riporto e me
ne scuserà l’autrice se mi permetto senza avere il tempo di chiederle il
permesso di riportarlo qui:
Io non sono mai stata tanto mielosa. Diciamo che le punizioni,
le umiliazioni, le richieste le ho esaudite si ma mai amate.
Però ammetto che ti cambiano a volte radicalmente, spesso ti
fanno guardare in faccia aspetti di te che non volevi vedere,
vuoi perchè facevi finta di non averli vuoi perchè contrari alla
pubblica morale, vuoi perchè cinici, perversi e tutte le definizioni
che ti vengono in mente. E sì quando vieni allontanata senti un vuoto.
Non hai più quella spinta, quella mano tesa per te oltre il vuoto che ti
dice non aver paura di saltare non aver paura di quello che sei. E
ritorni nel pensare comune e quello che sei stata quando appartieni
sembra così lontano.
Sono parole vere, reali che fanno comprendere quanto tutto questo
possa essere sentito e percepito in un determinato modo. In fondo
nelle nostre scelte, opinabili o meno, ricerchiamo la cosa che ogni
essere umano desidera: stare bene.
Stare bene non significa giocoforza doversi adattare a ciò che è
l’omogeneità della società e della morale del tempo in cui viviamo ma
vivere se stessi come più ci è confacente.
Spesso questo contrasto tra la nostra educazione e ciò che realmente
scopriamo di essere ci porta a stare male in una altalena di
tentennamenti sino al momento che, in un equilibro di consapevolezza,
riusciamo a vivere entrambi i nostri lati.
In fondo, nessuno è totalmente bianco o nero, dichiararsi tali significa
non solo ingannare gli altri ma principalmente ingannare se stessi
l’essere umano è di una molteplicità meravigliosa ed ognuno ha diritto
alle sue scelte. Siamo un caleidoscopio di colori.
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Capita che nel tanto interloquire ci si parli un po’ di come ognuno veda il bdsm,
di come lo percepisca attraverso la sua ottica che è a volte diversa. Molti dicono
nel parlare: il Mio bdsm Certo di base rimane un rapporto Dom/sub ma la
libertà di viverlo, come ad ognuno piace, è puramente soggettiva e non esiste,
se non in una ideologia schematica, un vero detentore di tale cosa.
Ma non è di questo che volevo disquisire, bensì di una considerazione che
lapalissiana mi è balzata alla mente.
Parlando con qualcuna, le persone con cui converso sono spesso molte,
mi faceva notare che alcune schiave per “sentire” proprio un Padrone ritengono
che le debba “prendere” mostrandosi loro, dal primo contatto, duri e decisi.
Confondono, la mancanza di educazione, con la Forza.
Trovo la cosa così ridicola perché non ritengo che una donna, finché non si
dichiari schiava di un Master possa iniziare un suo percorso.
Colei che ricerca questa prerogativa, rischia spesso di “incocciare” e di
scambiare per un bravo Padrone, semplicemente una persona che, intuendo
questa sua necessità ed erronea valutazione, la prende in questo modo
facendole abbassare il capo.
Un buon Padrone non va in giro a trattare con durezza tutte le donne che
incontra con l’idea di farne delle schiave ma cerca di comprenderle, di capirle e
lentamente, conversando del più e del meno entrare in loro, Egli cerca però
l’interessamento da parte della donna che diverrà la sua schiava, ben si
distingue, in questo, da colui che ne fa un tacchinamento.
Una cosa che noto è anche che spesso, coloro che desiderano questo rapporto,
partono dicendo IO voglio questo, il Mio padrone Deve darmi questo e così via,
sembra quasi che non siano loro le schiave ma semplicemente donne che
cercano il Principe Azzurro sotto forma di Master.
Nel momento che una “aspirante” schiava capirà davvero che deve smetterla
di porre il suo IO di fronte tutto allora avrà abbattuto una muraglia cinese.
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Quando senti il desiderio che ti prende, ti attorciglia le viscere sino a
star male, e la mente pregna dei pensieri, come spugna imbevuta che
più non può contenere e gocce cadono sparse.
Quando senti la tua natura, gridare silente in un deserto vorresti
scavare, con le nude mani in una terra infertile sino a sanguinare le dita
e poi guardarle incredulo. Ti domandi il perché delle cose e quella
morsa ti stringe lo stomaco, si fa beffe di te perché sa che non ne puoi
fare a meno. Essere nell’essere in questa duplicità in cui la mente si fa
corpo ed il corpo mente ed entrambi assaporano, entrambi hanno fame.
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Ali di farfalla sul mare, girano colorate, volteggiano e si
avvicinano, ora diafane ora corpose volano eleganti, sfrecciano,
si innalzano ed il mare, complice il vento, dona loro forza,
le sorreggono, le guidano.
Che sarebbero senza di loro?
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Mi piace parlare con la gente, comprendere i loro pensieri, ho sempre
ritenuto che lo scambio di idee, anche se differenti, possa portare a
vedere le cose da una altra prospettiva che magari non si considerava.
Con questo non dico di accettare ogni cosa che mi si dica e farla mia, ma di
certo ampliare le mie conoscenze ed eventualmente modificare i miei punti
di vista o prendere atto di altre realtà. Credo che sia una delle cose basilari
in quello che è il cammino di ogni essere umano salvo non voglia poi
schematizzarsi in una rigidità che è l’archetipo di un rudere, monumento
immemore delle proprie paure.
In una delle varie conversazione avute mi ha colpito la frase detta, direi a
bruciapelo, da una amica:
-Davide ma secondo te una schiava prova piacere a sentire dolore?
Sono rimasto perplesso, devo dire che da altre conversazioni con altri
interlocutori avevo iniziato a dare per scontata la cosa ed allora ho
cominciato a riflettere sulla varietà della cosa.
Non voglio coinvolgere in questo i casi di vero e profondo sado-maso in cui
il dolore sostituisce completamente l’impulso sessuale avulso da ogni forma,
diciamo, “tradizionale” ma davo per scontato, erroneamente, evidentemente,
che il dolore potesse essere recepito SEMPRE dalla controparte come una
forma di coinvolgimento ed amplificazione del piacere dalla schiava.
La risposta in quella occasione è stata invece:
-Io non amo il dolore ma ne faccio dono al Mio Padrone perché so che a Lui
piace.
Questa indubbiamente è una cosa bellissima, è usare e donare non solo la
propria mente ma il proprio corpo a colui che si è scelti Appartenere ma,
brutta cosa i ma, mi domando: Se io provo piacere non solo nella
sottomissione ma anche nel causare una certa forma di dolore nella mia
schiava lo faccio perchè come in un circolo autoalimentante di un moto
perpetuo lei provi piacere. Ossia, amo farlo ma per riscontro amo ricevere la
sua eccitazione di ritorno in questo. E’ godere di insegnarle a scoprire in
tale situazione un qualcosa che le piaccia aprendole nuove porte a lei
sconosciute. Nel momento in cui percepisco che lei non sia in grado di far
suo il dolore come forma di eccitazione, decade in me il senso della cosa in
quanto posso sentirne il desiderio ma non provarne a mia volta godimento
per cui me ne astengo.
A questo punto potrebbe intervenire in lei un senso di colpa in cui, cosciente
di non riuscirmi a dare ciò che desidero, volendo donarmi tutta se stessa,
arriva ad accettare qualcosa che non voglio perché forzata da altre
motivazioni.
Viceversa, vi sono schiave che di quel dolore ne fanno amplificazione fisica
e mentale della propria eccitazione, lo amano nei modi e nelle gradualità
differenti o lentamente spostano i propri paletti, scoprendone non solo il
senso di donarsi ma vedere tutto questo come una fusione tra il piacere
fisico e l’Appartenenza ed allora si innesca un perfetto equilibrio delle parti
in cui ognuno recepisce l’altro in un incastro perfetto.
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Inviato da: comando101
il 04/08/2013 alle 19:55
Inviato da: Bons petits plats
il 04/08/2013 alle 10:42
Inviato da: comando101
il 22/10/2010 alle 21:18
Inviato da: que.bella.luna
il 22/10/2010 alle 18:12
Inviato da: comando101
il 16/12/2009 alle 22:44