Creato da maurizio.mgr il 15/09/2005
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Ipazia (greco Ὑπατία, latino Hypatia; Alessandria d'Egitto, circa 355 – marzo 415 o 416) è stata una matematica, astronoma e filosofa ellenista. Come per altri pensatori dell'antichità, di lei non ci è pervenuta nessuna opera, se non il titolo. Morì in tarda età, linciata da una gruppo di fanatici cristiani attorno al 415. La fama moderna e contemporanea di Ipazia, sembra essere dovuta in prevalenza sia alle circostanze della sua tragica morte, sia alla proiezione simbolica che la sua vicenda ha suscitato e suscita: essa è diventata un’icona degli ideali di tolleranza, di rispetto, di rifiuto di ogni ideologia pervasiva.
Occorre vigilanza e senso del discernimento perchè "L'Anticristo può nascere dalla stessa pietà, dall'eccessivo amor di Dio o della verità, come l'eretico nasce dal santo e l'indemoniato dal veggente" ("Il nome della rosa"). Per il regista Amenábar l'antidoto al fanatismo, vale a dire alla deriva etica assolutista che arriva alla distruzione della ragione, si può ottenere attraverso il lume della riflessione scientifica: "Voi non dubitate di quello in cui credete: non potete. Io devo", dice Ipazia nel film ai suoi discepoli cristiani che le chiedono di convertirsi. Nella sceneggiatura del film, si accenna inoltre ad un orizzonte esistenziale verso il quale la filosofa astronoma intende affidarsi: "Credo nella filosofia", afferma. Risulta interessante a questo punto citare la lezione metodologica di Sinesio di Cirene appartenente alla scuola di Ipazia (lezione contraddetta purtroppo nell'atteggiamento del Sinesio cinematografico), presente in una lettera indirizzata al fratello nel 410: «Non mi stancherò mai di ripetere che il saggio non deve forzare le opinioni degli altri, né lasciarsi forzare nelle proprie». Secondo il Prof. Umberto Eco, la pellicola Agora presenta, accanto a diversi meriti, anche "alcuni vistosi anacronismi" e lo studioso sembra essere d'accordo con l'opinione della Prof.ssa Silvia Ronchey, secondo la quale il profilo e il sacrificio di Ipazia, "nel film sono accattivanti ma troppo semplificati, fino ad essere tacciabili di quello stesso ideologismo [in questo caso, anticristiano] di cui la figura dell'antica filosofa dovrebbe essere la negazione". Il cristianesimo del IV secolo era una realtà molto intricata e fluida: c'erano per esempio notevoli conflitti e divisioni interne tra nestoriani, ariani e altre sette. Questo stato delle cose non è lontanamente paragonabile alla situazione della Chiesa uscita dalla Riforma o Controriforma Cattolica e al notevole rafforzamento organizzativo e pastorale, posto al servizio delle deliberazioni assunte dal Concilio di Trento. Ragion per cui rappresenta una forzatura astratta e semplificatoria, il tentativo di "incasellare" la figura di Ipazia, come se fosse una antesignana di Galileo Galilei in versione femminile. In altri termini, nel IV secolo ad Alessandria non ci troviamo di fronte una ecclesia che ha in dote un solido e unitario pensiero magisteriale. Inoltre occorre essere consapevoli che nell'antichità, l'astronomia era un campo inseparabile, per esempio, da quello dell'astrologia. Se poi aggiungiamo che la filosofia neoplatonica assumeva i connotati anche di una dottrina esoterica, è molto probabile che l'insegnamento di Ipazia, abbia avuto anche questa componente misterica e teurgica, riservata ai discepoli prediletti. Quindi ci troviamo lontani anni luce dal personaggio e dal contesto storico galileiano. E’ altresì artificioso mettere in tensione le scienze filosofiche con il pensiero della Chiesa alessandrina: quest’ultima, realtà plurale rappresentata prima da Teofilo e poi da Cirillo, dirigeva la sua azione pastorale non contro l'insegnamento filosofico pagano, ma nei riguardi delle eresie cristiane da un lato e del paganesimo popolare rituale dall'altro. Se poi si aggiunge che l'imperatore Costantino aveva a suo tempo introdotto l'istituto dell'episcopalis audientia, in forza del quale i vescovi cominciarono ad avere un peculiare ruolo giuridico nell'ambito delle controversie sociali, il quadro comincia a completarsi. Da qui la complessità dell’azione di Cirillo: la lotta contro gli eretici come i novazianisti o katharoi, la distruzione degli idoli nei templi pagani, il confronto-scontro con i Giudei, il rapporto con la Polis e il potere politico in un'epoca di conflittuale transizione, il ruolo dei parabalani. Quest'ultimi, oltre a svolgere opere di assistenza, è diffusa opinione tra gli studiosi che costituissero una sorta di servizio d'ordine del vescovo. La descrizione della causa scatenante l'omicidio nella fonte tardiva di Damascio, vale a dire l'invidia che prova il vescovo Cirillo quando si imbatte casualmente nella folla dei seguaci di Ipazia, appare una rappresentazione ed esemplificazione aneddotica con tratti leggendari: improbabile che il vescovo della città non fosse già a conoscenza della fama e del seguito che aveva la filosofa e scienziata. Damascio a questo proposito afferma che "la città la amava e la venerava (prosekynei) grandemente" (Suda, "Hypatia", Y 166,8 Adler); mentre Socrate Scolastico parla di lei in questi termini: "tutti la rispettavano profondamente e ne erano impressionati" ( Hist. Eccl. VII,15,10). Ma, allora, come mai Ipazia è stata uccisa ingiustamente e in modo così crudele? Per definire il contesto di questo atto di terrorismo, gli storici hanno spesso parlato di «dramma»: questo termine sta ad indicare un genere letterario tipico dell’antica drammaturgia classica, che aveva dei compiti ben assegnati con dei personaggi fissi: un genere perciò solo apparentemente neutrale, oggettivo e cronachistico. In questo "dramma" Cirillo (potere ecclesiastico), Oreste (potere statale) e i Giudei (il coro) hanno dei ruoli schematicamente determinati. Come è noto, i cittadini greci partecipavano alle rappresentazioni del genere letterario del "dramma", in modo tale che essi potessero essere debitamente coinvolti, così da raggiungere una adeguata presa di coscienza purificatrice della realtà, che era chiamata da Aristotele Catarsi. In quest'ambito va valutato ciò che afferma lo storico romano d'Oriente Socrate Scolastico, il quale rende manifesto il punto di vista catartico delle Chiese cristiane non monofisite: “Questa vicenda portò non poco sdegno contro Cirillo e contro la Chiesa di Alessandria: infatti nulla può essere più estraneo ai seguaci degli (insegnamenti) di Cristo che uccisioni, lotte e cose del genere.” Conclusione In una fase di transizione storica ricca di incognite, conflitti e gelosie, molto probabilmente Ipazia divenne capro espiatorio di una male ispirata e poco acculturata frangia estremista, come il gruppo dei parabalani. Non fu estranea in questa vicenda anche il rilevante ruolo pubblico che ella ricopriva, compresa quella di sacerdotessa della Sophia. Ipazia «...si presentava in modo saggio davanti ai capi della città e non si vergognava di stare in mezzo agli uomini perché a causa della sua straordinaria sapienza tutti la rispettavano profondamente...» (Socrate Scolastico). Questa sua proiezione nell'agorà, questa sua libera esposizione politica e comunicativa, costituiva una sorprendente discontinuità con le antiche leggi scritte e non scritte che riguardavano il ruolo della donna nelle sedi pubbliche. Ipazia non fu uccisa per le sue idee, ma per il suo ruolo che di fatto ricopriva nella polis: il cristianesimo non avversava infatti il neoplatonismo. Contatti tra la filosofia pagana e il cristianesimo erano frequenti e Plotino era uno degli autori con i quali la filosofia cristiana dialogava di più. Maurizio Maugeri |
“Passione laica e profezia” nel campo della famiglia, della politica e della fede. Se ne parla alla Cittadella di Assisi, dove si svolge in questi giorni il 68° Corso di Studi Cristiani organizzato dalla Pro Civitate Christiana con la comunità di Bose e l’editrice Queriniana. Gabriele Salari |
Nell'articolo Beppe Del Colle prende di mira il presidente del Consiglio e le sue recenti esternazioni sui "formalismi costituzionali". ''Berlusconi ha detto chiaro e tondo che nel cammino verso le elezioni anticipate - qualora il piano dei cinque punti non riceva rapidamente la fiducia del Parlamento - non si farà incantare da nessuno, tantomeno dai 'formalismi costituzionali'". Un'affermazione che, prosegue il settimanale dei paolini, contraddice il dettato della Carta. "Così lo sappiamo dalla sua viva voce: in Italia comanda solo lui, grazie alla 'sovranità popolare' che finora lo ha votato. La Costituzione in realtà dice: 'La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione'. Berlusconi si ferma a metà della frase, il resto non gli interessa, è puro 'formalismo'''. La regola del berlusconismo sembra avere una regola: "se promette alla Chiesa di appassionarsi (soprattutto con i suoi atei-devoti) all’embrione e a tutto il resto, con la vita quotidiana degli altri non ha esitazioni: "il metodo Boffo" (chi dissente va distrutto) è fatto apposta. |
Il «neo-populismo mediatico» è una forma di demagogia che fa un uso massiccio dei media. L'uso del dossieraggio e i risarcimenti dovuti alle cause giudiziarie perse per le querele di parte, vengono talora considerate "un investimento" ben riposto. Questo perchè, a fronte di un vantaggio politico-mediatico immediato, i tempi processuali italiani sono molto elevati rispetto alla media dei paesi più sviluppati |
La crisi della politica in Italia è una crisi di modello, di distacco dai processi sociali e di rifugio in formule di organizzazione «liquida» che sviliscono i fenomeni di partecipazione democratica e in cui si annidano nuove e sempre più comuni forme di malaffare. Giuseppe de Rita, sociologo e Presidente del CENSIS, ci illustra le ragioni di questa involuzione, e le sue drammatiche conseguenze per il tessuto democratico del nostro Paese. Professor De Rita, perché a suo avviso, e contrariamente alla conventional wisdom, la crisi dell’economia è speculare alla crisi della politica? Perché la crisi obbliga la società a fare i conti con le miopie della politica. Le faccio un esempio. Stiamo assistendo alla graduale risistemazione dei rigonfiamenti, delle inefficienze, della scarsa competitività del terziario del nostro Paese. Una situazione determinata in gran parte dagli sforzi spesi in passato dalla politica per risolvere il problema della disoccupazione industriale e intellettuale. Senonché le soluzioni congiunturali hanno dato luogo a problemi strutturali, cui l’attuale processo di ristrutturazione sta lentamente ponendo rimedio in maniera invisibile, spontanea, molecolare. E non è soltanto un problema dimensionale: si è resa necessaria una ristrutturazione in senso qualitativo. Pensiamo alle banche che due anni fa, in piena gloria, procedevano comunque a ridimensionare i loro organici. Si potrebbe pensare che, ove la crisi avesse innescato una ristrutturazione del terziario, gli esuberi sarebbero dovuti aumentare. Eppure, ai tagli si è sostituita una conversione qualitativa che ha riportato le banche sul territorio. È bene quindi che la politica stia il più possibile a largo da questi fenomeni, limitandosi ad accompagnarli. E quali sono gli sbocchi di una politica che non fa, o non può fare? Ripiega sull’apparire. La società italiana di oggi vive di eventi e di opinioni, che si alimentano a vicenda. E molto spesso l’opinione diventa autonoma dall’evento stesso, succedanea o addirittura preparatoria. Pensiamo alla manifestazione preelettorale del PDL: l’evento ha innescato una raffica di opinioni, ma è stato al contempo l’epilogo di una deriva opinionistica incentrata sulla figura di Berlusconi. Tutto questo è profondamente deleterio, perché opinioni ed eventi sono effimeri e alla politica non resta che il fumo, la nebbia, l’indistinto. E in questo processo è senza dubbio centrale il ruolo dei mezzi di intermediazione, come la televisione, attraverso cui si crea l’illusione di una relazione che invece è mero flusso. Per ora, l’unico antagonista di questa dinamica è il «tam tam»: parlando col vicino o con il collega d’ufficio si esprime qualcosa e si crea relazione, altrimenti il rapporto evento-opinione finisce per cannibalizzare la politica e la società. Dunque l’affermazione del modello di leadership carismatica in Italia parte da queste dinamiche. Certamente. Il leader carismatico nasce in assenza di dimensioni intermedie, di livelli di riflessione collettiva che non siano la piazza, e quindi l’evento. Non nasce nel partito organizzato di massa. Nel PCI e nella DC i leader c’erano eccome, ma al vertice di partiti-organizzazione che godevano di un’articolazione capillare nella società, con cui vi era un rapporto dialettico e a cui erano tenuti a rispondere. Con la fine dei partiti tradizionali si parte alla ricerca disperata di una personalizzazione del potere perché viene meno questa struttura, a cui si sostituisce l’opinione pubblica e la sua esaltazione. Ma il partito d’opinione porta frutti avvelenati, non realtà moderne. Secondo lei i nuovi media possono fornire uno spazio di fuga da questa deriva? Il vero problema è che evento e opinione hanno spazzato via tutta la parte intermedia della formazione dell’opinione e degli interessi. Evento ed opinione insieme hanno reso desueti il Parlamento, i gruppi parlamentari, i sindacati, perché tra un evento e l’altro, tra una campagna d’opinione e l’altra, non c’è tempo per far maturare dei corpi intermedi che rappresentino interessi veri e identità precise. Non sono un esperto di social network e di blog, ma la mia tentazione sarebbe quella di valutare quanto siano in grado di costruire, appunto, tessuto intermedio. Ma se dai nuovi media emerge un rapporto di comunicazione pura, senza sostenere una evoluzione strutturale e organizzativa di corpi intermedi, allora non credo che possano cambiare sostanzialmente il quadro. Al mutamento della politica è seguita anche l’evoluzione strutturale del malaffare. In una recente intervista a «La Stampa», lei ha detto che «siamo passati dalla maxi-tangente Enimont al piccolo appalto». Perché? Anzitutto perché la maggior parte dei grandi interessi sono fuori dall’Italia. Giocano su altri fronti. Cosa resta allora? Che i veri interessi sono quelli della spesa pubblica: delle regioni, della Protezione Civile, dei vari ministeri. E siccome sull’osso c’è poca carne, si scatena un vortice competitivo che porta al dilagare di fenomeni di corruzione come quelli che emergono dalle ultime inchieste della magistratura. Mi ha colpito, ad esempio, il linguaggio dei personaggi coinvolti nell’inchiesta sugli appalti della Protezione Civile. Sono fiorentini, calabresi, campani, molisani: ma dalla lettura delle intercettazioni ci si accorge che parlano tutti un romanesco molto stretto. Sembra che abbiano mutuato il modello del cosiddetto «generone»: una cultura di affari che si basa quasi esclusivamente sulla costruzione di un sistema di relazioni. Soltanto che al di fuori dell’Italia questo sistema serve a ben poco. |