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Post n°104 pubblicato il 25 Luglio 2009 da corrieredellanotte1
Amata, odiata, costretta all’autocritica: la vita complicata della numero 1 cinese che sa solo vincereLa diva Guo, un tuffo oltre il destino«Prima di buttarti sei come un pittore, in acqua è tutto dolce e confortevole»
ROMA — «Il tuffo sono io». Così rispose a chi le chiedeva una definizione della sua disciplina. Un po’ come Luigi XIV, ma non è supponenza, quella di Guo Jingjing, semmai realismo: considerata (4 ori e 2 argenti olimpici, 8 ori mondiali in quattro edizioni dal 2001) la più grande tuffatrice di tutti i tempi, è soprannominata la Diving Queen o la Diva. Ma anche le regine tremano per il freddo e Guo scuote i suoi quattro orecchini: ha fretta di andarsi a rivestire. Ha appena dominato, in scioltezza, la semifinale dal trampolino da tre metri nella buca dei Mondiali, ma ha febbre e mal di gola. Tania Cagnotto accede alla finale col quarto posto, preceduta anche dalla canadese Jennifer Abel e dall’altra cinese, He Zi. «Voglio migliorare il mio livello»: Guo è laconica. La sua coach, Zhou Jihong, primo oro olimpico cinese di una lunga serie (Los Angeles 1984), fa spallucce: «Se sei un grande atleta puoi gareggiare in tutte le condizioni». La vita di Guo Jingjing è un lungo tentativo di tuffarsi lontano da un destino che invece la riafferra in continuazione. Aveva promesso di ritirarsi dopo Pechino, è stata sei mesi ferma, avvolta dal mistero che contraddistingue le dive, poi è tornata nella quinta tappa del Grand Prix a Fort Lauderdale in Florida a maggio: prima nel sincro da tre metri con Wu Minxia. E quindi rieccola, a 27 anni, con un nuovo limite: «Arriverò fino a 30 anni». Londra 2012? Sottile e bella come un giunco, tenera e ribelle, la vita di Guo è una specie di soap opera ancora senza fine, né tantomeno lieto fine per questa ragazza nata a Baoding, 140 km a sud di Pechino, e scoperta a sette anni da Lei Fang, la sua prima mentore, scomparsa tragicamente schiacciata da un palo del telefono. Il nuovo coach, Yu Fen, la portò alla scuola di tuffi e anche all’esordio all’Olimpiade di Atlanta, a 13 anni. Quinta. L’esperienza divenne una miniera con Zhou Jihong che la prese subito dopo i Giochi del 1996. Allenamenti, clausura, successo. Sydney 2000: due argenti. Poi venne Atene e la consacrazione. Brava e bella, è la testimonial ideale. McDonalds, Coca Cola, Budweiser, cosmetici e altro. Due milioni di euro l’anno di guadagni, l’estratto conto più alto mai toccato a un atleta cinese, Pechino invasa dai cartelloni con il suo faccino, jet set, il legame con Tian Liang, anche lui tuffatore, anche lui due ori olimpici al collo, anche lui bello e ricco. I due vengono sorpresi al Casino di Macao che se la spassano. Lui viene spedito in esilio, a meditare, a lei viene chiesto di abiurare pubblicamente certi comportamenti. Ma la verità è un’altra, ci sono di mezzo i soldi che Guo vuole tenere per sé e che lo stato, invece, vuole in gran parte nelle proprie casse, a risarcimento dell’investimento fatto su di lei. La storia con Tian si conclude, lui molla (o gli fanno mollare) i tuffi e sposa la vincitrice di X-factor made in China. Guo invece recita il suo mea culpa. «Non ho operato secondo le istruzioni dei leader». Riabilitata, si fidanza con Kenneth Fok, nipote di un potente tycoon di Hong Kong. Potente e generoso: aggiunge 45 mila euro di bonus al premio per gli ori cinesi a Pechino. Amore e affari: Kenneth e Jinjing aprono un centro commerciale a Hong Kong. I tabloid, però, sono in agguato: alla vigilia dell’Olimpiade scrivono che è incinta. Non risulta, arrivano altri due ori. Sembra la conclusione promessa della sua carriera sportiva. Invece torna. Segnata, ma torna. La descrivevano come una ragazza solare, ora risponde a monosillabi e non si fida più. A Pechino si era sciolta, ma alla domanda sulle sue avversarie si era trovata questa risposta scritta sui giornali: «E poi c’è la cicciona canadese». Il riferimento era a Blyte Hartle. Che l’avesse detto o no, nel mondo piccolo della «buca», venne fuori un tumulto. Forse è qua per disciplina, perché non c’è nessuno che possa ancora disturbarla e, soprattutto, sostituirla. Oppure perché le piace. «Il momento più bello del tuffo è all’inizio e alla fine. Prima è come essere un pittore che ferma il suo pennello e contempla il quadro, poi, quando sei sott’acqua tutto il tuo corpo capisce se hai fatto bene. Ogni cosa è dolce e confortevole». Fuori Guo Jinjing è ancora il tuffo. Ma dentro? Roberto Perrone |
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