corvo rosso

Napoli deve diventare il braccio operativo della Nato, come sollecitato dal ministro


 Napoli deve diventare il braccio operativo della Nato, come sollecitato dal ministro degli Esteri Frattini, nella speranza di portare la democrazia dove per anni è mancata. La scelta annunciata nei giorni scorsi da Berlusconi in favore della città nominata spesso come “Porta del Mediterraneo”, rappresenta senza dubbio un'arma a doppio taglio perché le da lustro, ma la espone anche a notevoli rischi. Se questo, tuttavia, serve a militarizzare di più Napoli, bene. Se non hanno funzionato i piani per la sicurezza certo funzionerà con un conflitto, anzi con un'operazione di pace, visto che la nostra Costituzione “Ripudia la guerra”. In città sono state intensificate le misure passive a difesa dei cosiddetti obiettivi strategici, come i consolati Usa, britannico e francese, la base della americana di Capodichino e i comando Nato di Bagnoli e Nisida. Rinforzate anche le misure di controllo attivo ai potenziali obbiettivi di attentati terroristici, come le stazioni ferroviarie e l’aeroporto civile di Capodichino. Forse però, ancora una volta, l'Italia pecca di coraggio, visto che è salita su di una sorta d'Aventino. Forniamo appoggio logistico con le basi, ma non apriamo il fuoco contro gli obiettivi libici. Di certo pesano i rapporti d'amicizia che c'erano con il Colonnello Gheddafi fino a pochi mesi fa, ovvero prima che venissero spazzati via dalla pioggia di missili lanciati da Sarkozy, in primis e poi da Cameron e Obama che hanno dato la 'green light' all'intervento della coalizione. Del resto, lascia perplessi l'ipotesi di un coordinamento anglo-francese alle operazioni militari. Sarebbe certamente meglio mettersi sotto la bandiera dall'Alleanza Atlantica, con l'Italia pronta a fornire non solo la sua schiera di Topgun, ma anche l'ottimo personale di terra e mare che ha grande tradizione. Basti ricordare che nel 1911 il nostro Paese riuscì ad unire Cirenaica e Tripolitania: non lo dimentichiamo.Napoli, un secolo dopo, torna in trincea. O meglio coordina la trincea. È bene sottolineare, tuttavia, che la coalizione al momento è impegnata in soli raid aerei e missilistici in territorio libico e che agisce non come Nato, ma sotto l'egida dell'Onu. Con la conseguenza formale che, almeno per il momento, il comando congiunto di Bagnoli non ricopre alcun ruolo attivo nelle operazioni. La struttura partenopea, tuttavia, ricopre comunque una funzione di primissimo piano, poiché oltre ad essere direttamente dipendente dal comando alleato di Bagnoli, guidato dal comandante in campo delle operazioni, l'Ammiraglio Usa Locklear, ha il compito di monitorare 24 ore su 24 tutto lo specchio del Mediterraneo. La prima “ritorsione” dei libici si è fatta sentire sull'equipaggio di “Asso 22”, il rimorchiatore dell'Augusta Off Shore. società che fa capo all'armatore Mario Mattioli, con a bordo 8 italiani di cui 5 siciliani, 2 campani e un laziale, oltre che 2 indiani e un ucraino. Da due giorni sono in navigazione senza una meta precisa. Un segnale dai libici. Ostaggi presi nel bel mezzo di una crisi internazionale, in balia di delicati e precari equilibri. Speriamo nell'intervento dell'Italia. Al di là di chi coordinerà gli interventi e il ruolo che Napoli potrà svolgere, l'unico elemento determinante è la velocità. Prima si chiude e meglio è. La guerra, per quanto nascosta dietro la dicitura “Operazione di pace”, costa sangue. E questo non è mai un bene.