corvo rosso

Napoli, elezioni comunali, dieci candidati a sindaco, trentuno liste, delle quali dodici


 dell’aspirante primo cittadino del Pdl. 1488 candidati consiglieri, almeno 31mila firme di sottoscrittori. Senza parlare delle 10 Municipalità in ognuna delle quali dovranno essere eletti 30 consiglieri con quasi 10mila candidati; dei quali, il trenta per cento, donne. Una folla agguerrita di aspiranti per 1 sindaco, 48 seggi a Palazzo San Giacomo, 10 presidenti di Municipalità, 300 mini consiglieri. C’è qualcosa, forse molto di troppo. Troppi candidati, troppi livelli partecipativi, troppa frammentazione, troppa gente in campo. Un elettorato già falcidiato dall’astensione, per disgusto, disaffezione e protesta, sceglierà in gran parte non per capacità, perizia, programmi, ma per appartenenze, comparaggi, convenienze, favori, scambi. E la selezione che ne deriverà sarà viziata dagli “impegni”, non di operare a favore della collettività, ma nei confronti di singoli o di gruppi. Con molti casi di voto di scambio, più o meno legale, per le preferenze, oltre che per i voti di lista. Naturalmente, ci sono le eccezioni, ma anche in questo caso confermano la regola. Il contesto è spaventosamente sgretolato, i partiti sono comitati elettorali, la politica è chiacchiera, lo scontro è duro ma è sul potere, raramente sui contenuti. Pensare che da tutto questo possa scaturire qualcosa di buono per la città è un atto di fede. Che comunque ha la sua importanza perché qualche volta i miracoli avvengono. Siamo obbligati a nutrire l’ottimismo della speranza e a disfarci del pessimismo della ragione. Una classe dirigente degna di questo nome, tuttavia, non può fare finta di niente. E dinanzi a questa deriva dovrebbe fermarsi a riflettere e a trovare rimedi. Ne sarà in grado? Ai posteri l’ardua sentenza.