corvo rosso

“Anno zero veleno mortale per la sinistra riformista”


 Michele Santoro che fa gli auguri a Gaspare Spatuzza.  Si può essere contro Berlusconi, lo si può criticare, lo si può perfino detestare. Ma se la faziosità diventa odio personale al punto di augurare buon Natale ad un criminale stragista e pluriomicida per il solo fatto che ha accusato di mafiosità Berlusconi, allora siamo fuori dall’esercizio della libertà di parola, siamo alla apoteosi dell’odio, alla criminalizzazione forzata e infondata del “nemico”, siamo all’aberrazione che nasconde, ad esempio, che Spatuzza è stato smentito dal suo ex capo mafia Graviano e che il folle tentativo di coinvolgimento mafioso contro il Premier è fallito. E allora quando un Tartaglia ferisce il Capo del Governo viene naturale pensare al clima politico da guerra civile di questi anni, al terrorismo mediatico, alle offensive giudiziarie, all’odio che viene iniettato nel corpo del Paese via talk della Tv pubblica e stampa schierata. Ci sono mandanti morali dell’aggressione di piazza Duomo? Non lo so. Ci sono però i responsabili del clima di intolleranza ed odio che genera la violenza. C’è una faglia antropologica che separa il paese civile, di destra e di sinistra, dal brigatismo politico, mediatico, giudiziario, armato dall’ l’ossessione contro Berlusconi ed incattivito dalla impotenza a disfarsene per via democratica. Questo il dato innegabile della più recente anomalia italiana. La quale non si rimuove certo con l’ipocrisia degli appelli ad “abbassare i toni” o gli inviti a fare un “ passo indietro”, ma solo con una netta presa di distanze della sinistra riformista, se ne esiste una, dall’estremismo in tutte le sue forme. È una scelta politica e culturale. Politica perché segnerebbe finalmente l’abbandono della “scorciatoia giudiziaria” imboccata dalla sinistra ai tempi di mani pulite e mai definitivamente abbandonata. Culturale  perché depurerebbe dalla contaminazione giustizialista, la cui natura antipolitica ha alterato il dna della sinistra italiana con gravi danni identitari. Tutto questo è chiaro a gran parte del Pd che, a cominciare da D’Alema, ha preso atto degli errori commessi ma non riesce ad uscire dal binario morto, anche per le divisioni interne e le difficoltà elettorali. Per battere Berlusconi occorre giocare sul terreno riformista senza illusioni liquidatorie di tipo giudiziario. Le carte per vincere non sono quelle di un Travaglio che sputa qualunquismo velenoso, di un Santoro gran sacerdote dell’antiberlusconismo purissimo e durissimo (salvo la stagione ad Italia uno), della versione paesana e pulcinellesca del giustizialismo  dipietrista, delle fesserie di uno Spatuzza  smentito da un Graviano. Boomerang che intossicano il Paese, lo sputtanano nel mondo ed alla fine, sempre, rilanciano, giustamente ed alla grande, il Cavaliere. Bersani deve dimostrare la sua leadership riuscendo a fare un accordo con Berlusconi sulle riforme, sfidandolo, condizionandolo, correggendolo, opponendosi, sul tema della modernizzazione del paese, dei contenuti morali e materiali della “rivoluzione” contemporanea, sulle cose da fare per far crescere e migliorare il Paese. Per farlo deve avere la temerarietà di rischiare, il coraggio di rinnovarsi e di accettare una sfida difficile. Deve sconfiggere il serpente dipietrista dentro e fuori il partito, i mastini che lo mordono a sinistra ed aprire a tutti quelli che oggi non sono attratti da una sinistra sbiadita, disorientata, confusa, vecchia. Lo fece Bettino Craxi ai suoi tempi, trasformando il vecchio Psi in un grande partito riformista di ispirazione socialista. In fondo ancora oggi, quando si parla di riforme, si parla di Craxi, di  quello che lo statista socialista quasi trent’anni fà  propose, attaccato con violenza dall’opportunismo democristiano e dal conservatorismo comunista e cigiellino. Per Bersani sarebbe anche più facile. Ma sarà il leader Pd in grado di avviarsi per questa strada?