corvo rosso

Ciò che di Napoli sorprende e preoccupa è che è una città ormai incapace di indignarsi.


Il caso di piazza Garibaldi ridotta a lurido suk di stracci ed a discarica umana del troppo pieno di una immigrazione disperata e incontrollata, sede di cantieri eterni e di opere “virtuali” che non vedremo mai,  è esemplare e non è l’unico.  A farne l’elenco, delle tante piazze Garibaldi, in centro ed in periferia, non si finirebbe più. Tra opere incompiute o annunciate e mai iniziate, tra il cimitero di Napoli est, il sogno svanito del water front, il tram veloce che non ripartirà, il metrò museo che non decolla, Bagnoli e Coroglio impantanate in inimmaginabili grovigli, gli anni e gli errori per un tratto breve della via Marina, le difficoltà per abbattere e figuriamoci per sostituire, le Vele a Scampia,  il degrado indicibile delle strade e delle periferie e l’abbandono del centro storico dove i “bassi”,  Montecalvario, i Quartieri Spagnoli e tantissimo altro, testimonianza indiscutibile di incapacità, imperizia, impotenza amministrativa (che altro se no?), tra traffico caotico e anarchia quotidiana, tra cortei quotidiani di disoccupati e immondizia non raccolta e sfregi piccoli e grandi alla vivibilità cittadina, com’è possibile che la città non abbia reagito non abbia protestato non si sia ribellata chiedendo nelle forme civili del dissenso e della militanza civica una svolta radicale? Perché i napoletani, che non si sollevarono neppure quando le montagne di immondizia arrivavano ai primi piani delle case,  lasciano che la loro città vada in malora?   C’è una Napoli incivile, del degrado fisico e umano, del disordine, della sporcizia, del menefreghismo, dell’incuria e del disprezzo per tutto ciò che è pubblico, cioè di tutti. C’è una Napoli acefala, sciatta, refrattaria alle regole, una città chiusa in se stessa, che si crogiola nei suoi difetti, ma aperta a tutte le peggiori abiezioni in tema di comportamenti pubblici, pronta a ribellarsi più allo Stato che alla camorra, più alla polizia che allo scippatore, più al vigile che al vù cumprà. Che tollera tutto, dalla maleducazione alla criminalità, perché si è ridotta a fare dell’a-legalità una risorsa, e dell’illegalità un fattore di crescita. È orami una isola in cui la diversità col resto del mondo, Italia, Europa, anche quando per lo sprovveduto osservatore si tinge di folklore, non riesce più a nascondere la sua miserrima realtà fatta di vizi diffusi, di infezioni purulente, di patologie endemiche. Un luogo non allineato con la modernità perché incapace di raggiungerla, di costruirne una adatta a se, e, nel contempo, incapace di essere una città all’antica, bonaria, generosa, accogliente,  magari valorizzando la sua storia, il suo patrimonio, la sua bellezza, la sua cultura. Esempio raro, la città con le sue classi dirigenti, di stupido, colpevole, miope, spreco delle risorse. E c’è, di conseguenza, una città povera,  che non cresce, che non produce, che anzi ristagna e s’adagia tra clan e sottosviluppo, con una èlite che si isola, va a Capri e si guarda l’ombelico ed una moltitudine che affolla  i suk del falso di Toledo e via Caracciolo. Una infelice proletarizzazione di massa. Riusciremo a venirne fuori?  La cosiddetta “società civile” o vola troppo alto o si mescola nel brago quotidiano. Sostanzialmente è parte dell’andazzo, salvo eccezioni. Gli intellettuali sentono il peso delle proprie responsabilità e menano il can per l’aia, non dicono e spesso neppure vedono la verità, sono sempre organici a qualche cosa, in genere poltrone e consulenze e, tranne eccezioni, sono schierati. Gli imprenditori pensano ai loro affari e comunque, fino a ieri almeno, sono stati saldamente seduti a tavola. I sindacati, quando non hanno fatto parte del coro, sono rimasti ai margini, silenti e acquiescenti,  salvo il recente coraggio di Cisl e Uil su Fiat- Pomigliano. I partiti hanno scelto l’opzione gestionale ed hanno rinunciato a quella politica. Se parliamo del centro sinistra c’è poco da aggiungere a quello che è sotto gli occhi di tutti. Per il centro destra è ancora presto per dare giudizi, ma in alcuni casi le premesse sono allarmanti.  Dunque questione sociale e questione civile si sovrappongono e si fondono rendendo ardua la risalita. Ammesso che qualcuno abbia la voglia di risalire e non si sia già sottomesso alla rassegnazione che così è, così deve andare e non c’è nulla da fare. Ma se così non è, sarebbe utile che si cominciasse a discutere sul come fare per uscire dall’abisso in cui la città è caduta. Come fare, con quali risorse e quali procedure. Magari cominciando proprio da piazza Garibaldi e dintorni, Non- luoghi di una città che sta perdendo se stessa.