corvo rosso

I media ed il disastro di Napoli


A riflettere sulle condizioni attuali della città viene da chiedersi come sia stato possibile ridurre Napoli così com’è oggi.  Sono passati diciassette anni da mani pulite, la “grande rivoluzione”, il radicale repulisti della vecchia e corrotta partitocrazia, tre lustri e più dai baccanali giustizialisti, dalle truculente celebrazioni manettare, con tanto di riserve e comparse travestite da guardie rosse e promesse e proclami di fare, rifare, cambiare, rinnovare, far crescere e sviluppare. Diciassette anni, poco meno di un ventennio. Il “nuovo” che in quegli anni “avanzava”, altero e vendicatore, ne ha fatta di strada. Oggi è al capolinea. E cosa ci lascia? Macerie. Eppure le condizioni per agire erano ottimali. Un intero mondo era crollato lasciando una quantità enorme di cose da fare, già discusse, sceverate, progettate, le condizioni per farle, ottimali. Mai nessun sindaco, nella storia della città, si è trovato in condizioni di maggior favore di Bassolino e della Iervolino. Hanno goduto, Bassolino di più, ma anche Rosetta, di consensi e appoggi altissimi, politici, mediatici, giudiziari, sindacali. Hanno  governato  senza opposizione. Hanno ricevuto un fiume di danaro, poteri straordinari, sostegni governativi. E sono partiti sul vento del rinnovamento, avvolti in un’aurea di “nuovo”, loro, tra le comparse più stagionate della prima repubblica, protagonisti rifatti nella seconda, veri miracoli del lifting mediatico. Insomma chi più di loro, chi meglio di loro. E invece . . . abbiamo perso tempo, prezioso. Dando uno sguardo a come siamo ridotti vengono i brividi. Bagnoli, la zona industriale, la camorra, la  legalità, la pubblica moralità, l’economia, il lavoro, i disoccupati organizzati, il degrado, la sporcizia, i vicoli, i bassi, le periferie, il traffico, la sanità, i servizi comunali, le opere pubbliche, i grandi progetti, le infrastrutture, la metropolitana, tutto come prima o peggio, al palo o in ritardi epocali. Oltre alle responsabilità politiche della sinistra, a quelle della classe dirigente, della borghesia, ecc., sulle quali è ormai superfluo soffermarsi, ci si chiede se in questo disastro c’è anche una responsabilità mediatica e di quali proporzioni.  E la risposta è affermativa. Le responsabilità del circuito della comunicazione nella tragedia napoletana sono enormi. Un decennio almeno di servilismo mediatico, di acquiescenza e condiscendenza, di contiguità, collusione e complicità, non si giustificano né con l’appartenenza partitica né con le simpatie ideologiche e/o culturali. Ma, ripeto, almeno per un decennio, poi via via decrescendo, questo è avvenuto. E, tralasciando i casi più gravi e considerando altresì le dovute (ed eroiche) eccezioni,  sarebbe bello se oggi il gran carro di tespi della moderna comunicazione  aprisse un dibattito e facesse il mea culpa per aver contribuito a diffondere demagogia e propaganda ed a nascondere la verità, a “rappresentare” piuttosto che ad “informare”,  a farsi guidare dal pregiudizio piuttosto che dal dubbio, a  farsi coinvolgere piuttosto che ad esercitare senso critico. E se, dalla lezione napoletana, non fosse il caso di trarre insegnamento per evitare di ricadere nell’errore, magari a parti contrapposte.Il rinnovamento della città comincia anche da quello dell’informazione.