corvo rosso

Napoli: "Una madre, il grido di dolore di una città


 Ci si potrebbe girare un film partendo dall’immagine di una madre disperata al capezzale del figlio in coma. Il ragazzo ha diciasette anni. Era entrato in una tabaccheria di via Cirillo per fare una rapina. Un proiettile lo ha colpito alla testa. A sparare, dopo avergli intimato l’alt, un poliziotto che voleva comprare un pacchetto di sigarette. Antony, questo il nome del ragazzo, è in condizioni disperate, la madre sta li a vegliarlo sperando in un miracolo. Dodici anni fa, il 5 gennaio del 1999, un carabiniere le aveva ucciso il marito mentre tentava di rapinare un ufficio postale di Secondigliano. Ed il 24 aprile di due anni fa, il figlio maggiore era stato ammazzato da un killer di camorra perché aveva rifiutato di affiliarsi al clan di Ettore Bosti, figlio del boss Patrizio. Non voleva sottostare ai diktat della cosca. Voleva essere un “cane sciolto”, rapinare e vivere illegalmente senza chiedere il permesso al clan. E il clan ne aveva ordinato la morte. Un destino comune, spietato, tragico. Padre e due figli, colpevoli e vittime. La legge dello Stato che si difende, quella della camorra che si impone.Il volto di Stefania, la madre, la sua vicenda umana, sono il grido di dolore di una città senza speranza. E potrebbero essere la trama di un film verità, l’altra faccia di Gomorra o di Passione, fuori dai luoghi comuni, dalle celebrazioni e denigrazioni retoriche, di una città sporca fuori e sudicia dentro, di un degrado umano e sociale incapace ormai di sperare nel proprio riscatto. Un film non sulla città che sta morendo, non sui rifiuti e sulla camorra, ma sulla povertà materiale e morale come condizione immodificabile, sulla mancanza di possibilità, di alternative, di costruirsi un destino diverso, di cambiare il senso della propria vita. Nel film Una Vita Tranquilla è il figlio a riportare il padre Toni Servillo nel baratro criminale da cui era uscito. Nella tragedia di Antony è forse avvenuto il contrario, il padre ha segnato il destino dei figli. Ma il tema è lo stesso: la ineluttabilità della propria condizione individuale senza il supporto di una società che cresce, si evolve, offre opportunità a cominciare dal lavoro. È questo il punto fondamentale del discorso da fare oggi su Napoli. Il lavoro, lo sviluppo, la produzione di ricchezza da redistribuire, la responsabilità come valore individuale e collettivo. Che è esattamente il contrario del “posto”, dell’assistenzialismo, della raccomandazione, dei soprusi e dei privilegi, piccoli e grandi. E, ovviamente la legalità, non come esercitazione astratta ma, insieme, causa ed effetto dello sviluppo. Chi delinque sbaglia e paga a volte con la vita. Questo è pressocchè inevitabile. Ma dinanzi ad una madre disperata, che non si arrende, abbiamo tuttavia il dovere di interrogarci: il “contesto” sociale, economico, la città nel suo insieme, hanno offerto ad Antony, ed al fratello, una diversa possibilità di vita? E ad assumercene la responsabilità.