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Creato da: sareva82 il 29/06/2009
commedia romantica in ospedale vista mare

 

 

cap. 87 - Ufficiale e gentiluomo -

Post n°90 pubblicato il 27 Agosto 2009 da sareva82

Col ritorno a casa ricomincia il tormentone del fidanzato. Ed ecco a voi siori e siore il nuovo pretendente fresco di stampa. Ma dove li prendono tutti questi scapoli? Li clonano o fanno parte di un’Anonima Sequestri di giovanotti?!? Comincio a credere che abbiano una doppia vita. Dietro una facciata di rispettabilità portano avanti un sinistro commercio di giovani uomini in età da moglie, gestiscono una sciagurata tratta dei bianchi al solo scopo di trovare un marito per le amiche più sfortunate.

“Non lo voglio conoscere”, dico quando smetto di formulare ipotesi suggestive.

“E’ ricchissimo”

“Me ne infischio. Non voglio passare nemmeno un secondo seduta ad un tavolo di un locale pubblico con uno dei vostri trogloditi”

“Non è un troglodita. E’ un ufficiale dell’esercito!”

“Di Accademia o di complemento?” chiedo giusto per scrupolo.

“Di Accademia, di Accademia”, mi rassicurano soddisfatte. Lo sguardo compiaciuto che si rivolgono mi preoccupa.

“Comunque sia non voglio conoscerlo”.

“E’ un bijou, credi”

“Ho già avuto la mia parte di bigiotteria, o avete dimenticato il Magnifico Gino?” abbaio brandendo il fonendoscopio.

Le Coccinelle fanno la facciuzza e io credo di aver vinto, se non la guerra, almeno una battaglia.

Rientro a casa mentre squilla il telefono. Merlino mi dice che è un numero nuovo e se fosse un mago vero e non il banale evidenziatore di chiamata che è mi suggerirebbe di stare alla larga dalla cornetta. Invece rispondo e appena possibile scazzo violentemente con le mie amiche che hanno dato il numero al colonnello nonostante il mio divieto.

Un quarto d’ora di conversazione scialba? No, che dico, perché offendere la scialberia? Un quarto d’ora di distillato di idiozia e perbenismo culminato con una accapponante dichiarazione del colonnello che senza mezzi termini mi comunica che vuole sposarsi.

“’Sti cazzi” mi verrebbe da dirgli, ma non lo faccio perché non sono più io. Questa terra mi ha irrimediabilmente trasformato.

 

 
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cap. 86 - L'aereo più pazzo del mondo -

Post n°89 pubblicato il 27 Agosto 2009 da sareva82

Partenza al cardiopalmo perché al check-in ci accorgiamo (e se ne accorge anche la ‘gioviale’ impiegata in verde – la compagnia di bandiera dovrebbe scegliere impiegati meno stizzosi - ) che l’agenzia aveva sbagliato il nome di Elisabetta trasformandola in Elettra.

“Porta sfiga” è il commento che mi sibila Francesca all’orecchio.

“No, quella è Cassandra” la tranquillizzo, rimanendo tuttavia rosa dal dubbio.

Dopo tremila telefonate finalmente otteniamo l’ok.

Sosta di due ore a Roma. Svuotiamo il duty free.

Saliamo sul volo per Londra sudate come porche perché ci siamo vestite tipo Totò e Peppino a Milano col risultato che il trucco è diventato brodo di Agar mentre le ascelle, il collo e la schiena fasciati di pile sono viscidi, appiccicosi e puzzolenti. Niente in confronto al fetore di pesce marcio che ci investe appena saliamo a bordo.

Non partiamo in orario perché i signori Sollievo dopo aver imbarcato i bagagli hanno omesso di imbarcarsi loro stessi e quindi dobbiamo sbarcare i bagagli che potrebbero contenere esplosivo.

Il fetore ormai è diventato insopportabile. Vado dalla hostess a chiedere spiegazioni e/o soluzione.

“E’ il pesce servito nel volo precedente” sorride lei con garbo asettico.

“Speriamo che non lo abbiano mangiato anche i piloti o almeno che lei sappia pilotare questo bestione” ribatto io scoppiando a ridere.

Non capisce.

“Come ne L’aereo più pazzo del mondo” le spiego.

“Non l’ho visto” risponde serissima.

E io m’imbenzino e m’incendio come nel film.

Torno dalle Coccinelle e riferisco. Ci pieghiamo in due dal ridere e poi Francesca nota che sono le dieci “Baccalà all’alba?!?”

Colazione da…Tiffany” conclude Betta sempre ridendo.

Proprio quando gli omini addetti ai bagagli sono sul punto di cominciare le operazioni di sbarco delle valigie dei signori Sollievo, i medesimi si materializzano sulla scaletta: due trucidi. Lui è un armadio quattro stagioni con lunghissimi capelli sale e pepe raccolti in un codino, lei è la classica bora della suburra con stivali a pungiglione, capello capitonnè e cappotto di cavallino. All’odio per il ritardo aggiungo quello per il cappotto. Sono vegetariana e animalista e odio TUTTE le cretine che si sentono fiche se indossano la pelliccia e non pensano a quanto sangue e sofferenza c’è dietro alla loro frivolezza idiota.

 

Arriviamo ad Heathrow e ci mettiamo in fila per i biglietti dell’autobus. La travel card prosciuga i nostri guadagni di dieci anni, però ne vale la pena, perché Londra è sontuosa, bellissima, sontuosamente bellissima. Voglio trasferirmi lassù, sposare un inglese e vivere per tutta la vita a Notting Hill in un appartamento con grandi vetrate e finestre a bovindo al primo piano di una palazzina bianca con la scalinata esterna. Per un attimo mi torna in mente Luca perché lui sarebbe perfetto per questa scenografia. Ma è solo un attimo. Abbiamo litigato, ci siamo lasciati e per di più ora io sono reduce da innamoramento per il Signor Stupendo nonchè sempre perdutamente innamorata di Fassino.

 

Abbiamo camminato, preso quasi tutte le linee di tube, preso gli autobus con la pedana e provato sia il piano di sotto che il piano di sopra e tornando dal Tower Bridge ne abbiamo beccato uno vuotissimo e ci siamo scatafottute sopra per accaparrarci i posti in prima fila in modo da godere il panorama e in particolare l’abbazia di Saint Paul e mentre ci abbandonavamo felici ed esauste sui sedili è arrivato un tedesco che ha cominciato a ordinarci - in tedesco – di spostarci per lasciare a lui e al suo amico il posto avanti. Figuriamoci!!! A noi, italiane e per giunta del sud, voleva togliere con la prepotenza il posto in prima fila che ci eravamo guadagnate al prezzo di uno spasmo coronarico per l’ardore e la velocità profusi nella battaglia! Abbiamo ingaggiato una breve lotta e alla fine abbiamo vinto: praticamente ci siamo avvitate i culi ai sedili.

Il crucco ha tentato di fregarci con un’ultima botta di astuzia dicendoci in un italiano migliore del nostro:”Alla prozima fermata a deztra c’è pellizzima pazzeggiata con pellizzimo panorama se zignorine fogliono scentere a fetere”.

Ma noi non ci siamo cascate. E mo’ le freghi tre italiane e per giunta del sud. Tsè, pfui!

 

Londra oltre ad essere sontuosa è carissima. Per mangiare devi accendere un mutuo (e pure un cero alla Madonna perché se vai nei posti più abbordabili è il cibo che cammina verso di te: basta fargli un fischio). E non è che siamo state nei ristoranti chic, anzi! Una volta dal tailandese da Harrod’s, una volta dal turco a Notting Hill, una volta in un quasiveropub inglese (che per un panino, un caffè e una fetta di torta mi ha succhiato circa ventidue euro) e una volta in una tavola calda a Piccadilly dove ci ha servito un cameriere italiano che di fronte al nostro entusiasmo anglofilo c’è mancato poco che ci schiacciasse la faccia dentro i nostri piatti speciali a base di verdure fosforescenti, uova terra di siena e salse indecifrabili che però avevano un buon profumo.

 

Ho comprato una borsa di Cartier bordeaux in un negozio dell’usato vicino all’albergo. Costo dell’operazione: cinquanta sterline. Beneficio: illimitato. Trattasi di oggetto che nella vita di una donna normale difficilmente compare a causa del suo prezzo esagerato.

L’ho fatta viaggiare dentro una teca a prova di proiettile e la terrò come una reliquia. Sto pensando anche ad una cassetta di sicurezza ma potrei anche interessare l'Ansaldo e farmi fare un progettino per una cripta con basamento antisismico come quello dei Bronzi.

Come sarà stata la donna che ha buttato via una Cartier praticamente nuova?

 A Londra ho ho stretto la mano alla frustrazione. Quella vera. Fino a quel momento avevo conosciuto i suoi parenti blandi.

Una sera ho puntato i piedi per arrivare fino ad Abbey Road. Vogliamo chiamarlo omaggio oppure pellegrinaggio, non importa. Certo è che non potevo ripartire senza respirare per un attimo nello stesso posto in cui hanno respirato i Beatles. Abbey Road tra l’altro è il più stupefacente fra i loro album oltre ad essere l’ultimo.

Prendiamo il 52 a Piccadilly e dopo un numero considerevole di fermate scendiamo e ci avviamo a piedi. Sentiamo delle grida inglesi, cioè molto composte e alzando gli occhi vediamo lingue di fuoco uscire dal balcone al primo piano di un palazzo. Betta si impunta come il cavallo di miss Rossella nella fuga da Atlanta: non vuole andare oltre perché teme un’esplosione. Maledicendo noi, lei, l’incendio e il destino cinico e baro la accontentiamo e ci avviamo dalla parte opposta (quella più distante dalla meta). Prima però scatto un foto ricordo.

Dieci di sera, quartiere residenziale, non un’anima in giro e se ci becca Jack lo squartatore non ci troverà più nessuno perché chi cazzo può pensare che tre italiane del sud l’8 marzo sono in giro a piedi in cerca delle strisce pedonali su cui sono stati fotografati i Beatles per la copertina del loro ultimo Lp? Camminiamo uno sproposito e ad un tratto, tipo miraggio, ecco la mitica targa: Abbey Road. Niente strisce per terra, in compenso c’è un drugstore aperto (si chiama Iman e dentro c’è il controllore indiano dell’autobus che ci aveva controllato la week-end travel card a ogni fermata facendoci per un attimo sperare in una botta di fascino irresistibile e invece poi abbiamo capito che i controllori inglesi o controllano a martello oppure non ti cagano) e c’è una ragazza che sa tutto sulle “Beatles zebras”. “Cinque minuti di strada da qui, vicino al numero nove. Prima ci sono gli Studios e poi le strisce” dice in inglese slow per farsi capire da noi.

…cinque minuti se c’hai i pattini turbo!…’na camminata da vesciche perpetue alle piante dei piedi e dopo miriametri di strada senza passaggi pedonali contraddistinti da strisce, ecco finalmente le prime zebre. Le Coccinelle sono esauste.

“Basta, sei arrivata”, ruggiscono.

“Non sono convinta. Non è lo stesso sfondo e poi non c’è una targa, no, non può essere qua”, dico storcendo la bocca.

Le lascio e proseguo e ad un certo punto, ecco gli studi (aperti anche di notte che uno potrebbe pure entrare se non avesse due piattole invece che due coccinelle per amiche) ed ecco tante piccole scritte sui muri ed ecco qualcosa di familiare alla vista.

“Eccole!!! Sono loro!!!” grido alle Coccinelle che arrancano stremate.

“Le strisce dei Beatles!, le strisce dei Beatles!” starnazzo saltellando indecisa se versare una lacrimuccia o respirare a pieni polmoni un respiro di John Paul George e Ringo (poveretto pure lui destinato ad essere per l’eternità:...e Ringo: l’ultimo, l’insignificante).

“Presto,” faccio rivolta a nessuna in particolare. ”Una foto, voglio una foto mentre attraverso”. Mi metto in posa proprio come loro ma a differenza di loro rischio di essere spalmata per terra perché la strada in quel punto è stretta e le macchine che vanno a velocità da autodromo sbucano da due parti quasi contemporaneamente, e aspetto…E aspetterò per sempre quel clic che non arriverà mai perché l’ultima foto della giornata l’ho fatta all’incendio.

“VOGLIO MORI’. Datemi una morte lenta e dolorosa chè io soffrendo possa ripensare a quell’ultima merdosa fotografia del merdoso incendio inglese e anche alla digitale che mi ostino a dimenticare a casa”.

Le Coccinelle che di fronte alla tragedia si sono risvegliate dalla catalessi, si dimostrano umane. “Dai, su…consolati, puoi mettere una firma sul muro…giusto per dire che ci sei stata”

Accetto perché meglio di niente è, però mi sento una schifezza. Con la biro scrivo Adriana, disegno un cuoricino e inscrivo una J di John non di Jacopo come pensa Betta. Firmano pure le Coccinelle e poi torniamo indietro col 328 che ci lascia a quindici passi dall’albergo. Ad averlo saputo prima…

 A Notting Hill oltre ai ricordi del film, oltre al mercato di Portobello, oltre al negozio di roba usata, c’è la casa in cui ha vissuto per un certo periodo George Orwell.

 Non abbiamo fatto in tempo ad andare al British Museum né alla National Gallery dove io volevo vedere Ofelia per capire se Zeffirelli si è ispirato al quadro, ma siamo andate nei musei del superfluo: Harrod’s e Fortnum&Mason.

Da Harrod’s ci sono cose costosissime per il genere umano e cose lussuose per gli animali. C’erano delle tovagliette di plastica da mettere sotto la ciotola dei quadrupedi così carine che stavamo per comprane due ciascuna da usare come servizio all’americana. Non l’abbiamo fatto solo perché essendo la prima tappa shopping non volevamo sputtanarci tutto il capitale. Vicino alla sala egizia c’è un  cenotafio per Lady D. e Dodi con fiori bianchi, colombe dorate, foto di loro in ovali d’oro e teca contenente un bicchiere con tracce di vino trovato nella stanza da letto del Ritz e l’anello che lui le ha regalato prima di morire. Nella sua tristezza è quasi bello. E’ raccapricciante per certi versi e per certi altri commuove. La mia emotività latina ha letto in quella struttura il tentativo da parte del padre di lui di mantenere in vita il figlio. Il lavoro del lutto prevede il feticismo: lasciare appeso l’accappatoio dove l’ha lasciato il defunto è un modo per invitarlo a tornare oppure non farlo mai andare via del tutto.

Le Coccinelle hanno letto solo bieco business: la gente, attratta dal cenotafio, entra nel magazzino. Non ci credo. La gente scopre che esiste il cenotafio solo dopo che è entrata nel magazzino.

Il cenotafio è l’unico punto del magazzino in cui si possono scattare fotografie.

Fortnum&Mason è un campo di concentramento di luxury. Non semplicemente lusso, ma qualcosa di più, perché luxury vuol dire anche piacere e a noi per assonanza fa venire in mente la lussuria.

Abbiamo boccheggiato al primo piano in mezzo a decine di cappelli di tutte le possibili tonalità di colore. Sembrava di essere immerse in una scatola di matite Giotto di quelle grandi con tutti i colori in fila ordinati in una scala cromatica da orgasmo visivo.

Siamo andate nella Powder room. C’è una donnetta con una pezzuola bianca in mano che ti apre la porta del bagno e poi quando esci passa ad asciugare eventuali goccette che ti sono sfuggite sulla tavoletta. E c’è la lacca per i capelli, saponi profumati e bottiglie di profumo. Abbiamo cominciato a spruzzarci là dentro e abbiamo continuato a spruzzare su di noi (nell’euforia ci siamo asperse con un profumo per ambienti ma sapeva di fiori ed era buono lo stesso) e sui rettangolini di carta assorbente tutto il possibile e l’immaginabile. Dalle delicate e penetranti essenze floreali di Annick Goutal a tutta la gamma Creed da uomo passando per Guerlain fino ai banali Tesori d’Oriente. Ossesse dell’eau de toilette, forzate dell’eau de parfum abbiamo giocato a nebulizzare, vaporizzare e irrorare come in Italia non avremmo mai osato, come non abbiamo mai fatto nemmeno da bambine. Fragranti come il bouquet di una sposa siamo uscite dal tempio e siamo andate ad ascoltare un concerto della Corinthian Orchestra.

 

Siamo andate da Floris. Ho speso un patrimonio per comprare a mia sorella lo stesso identico profumo alla zinnia che compra a Roma ad un terzo di quanto l’ho pagato io nella Casa Madre, però mi hanno regalato un mucchio di campioncini soprattutto di profumi per la casa che terrò per le grandi occasioni: vedi Principe Azzurro in visita ufficiale.

All’uscita abbiamo firmato il registro dei visitatori. Mi è sembrata una cosa deliziosa. L’idea del registro, non la nostra firma.

 Siamo tornate esauste ma felici. Abbiamo portato souvenirs solo ai figli. Veramente Betta avrebbe voluto comprare un regalo a Biondo ma le abbiamo amputato le manine cucciole giusto in tempo per non farle fare ‘sta cazzata.

“Non si spende per un uomo se prima l’uomo non ha speso dieci volte tanto per te”, abbiamo declamato porgendole delle fitostimoline.

Coi moncherini sanguinanti si è comprata uno scialle di cachemire ricamato a mano. Che è meeglio!

Fedele alla promessa non l’ho quasi mai nominato. Quasi mai perché non ho certo potuto fare a meno di chiedere a voce alta se pensavano che avrei affascinato LUI o Fassino con uno di quei fantasmagorici cappelli sulla testa. Loro mi hanno ficcato la testa dentro un delizioso cesto da picnic affermando che se nominerò ancora una volta, una soltanto quella testa di cazzo o quel mostro comunista sfregeranno la Cartier. Inorridita e gemente ho giurato che me li toglierò dalla testa. Ma avevo le dita dei piedi incrociate perchè almeno uno dei due - il compagno - non è abbandonabile. E' troooooooooopppoooooooooooo ficooooooooooooooo! Che se deve fa’ pe’ campa’!

 

 
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cap. 85 - Scappo dalla città -

Post n°88 pubblicato il 27 Agosto 2009 da sareva82

Abbiamo deciso di iniziare la mia nuova vita andando a Londra. Viene pure Francesca. Incredibile ma vero, abbandona il ruolo di moglie e madre esemplare per passare un week-end con le amiche. Non vogliamo sapere a cosa dobbiamo il miracolo perché siamo troppo contente. Partiremo il 7 marzo. La scelta è legata agli obblighi di lavoro non alla festa della donna. Volo con la compagnia di bandiera, albergo a Notting Hill. Delirio da Hugh Grant. Incontrerò se non lui almeno uno che gli somiglia? L’ottimismo che mi caratterizza mi fa pensare positivo. Sono felice e non vedo l’ora di comunicare la decisione a mio figlio.

“A Londraaa?!?” ulula lui.

Col videotelefono mentale in dotazione a noi mamme lo vedo scuotere la testa.

“Probabilmente Bush attaccherà l’Irak proprio in quei giorni. Non mi sembra una buona idea” aggiunge col  tono paziente che in genere si riserva agli infermi.

“Non succederà niente, ne sono sicura”

“Potevate scegliere un’altra destinazione”

“No! M’ha preso il trip di Londra e devo andarci. E poi uno di una cosa sola deve mori’. Se è scritto che devo morire di attentato…” e mentre lo dico mi torna in mente la battuta di Insonnia d’amore. Oggesù, altro che libraio fico, alla nostra età corriamo veramente il rischio di imbatterci in un talebano invasato che in nome di vattelappesca cosa ci fa passare dallo stato solido a quello gassoso.

Inutile tormentarsi: ormai abbiamo pagato e quindi si parte.

 

 
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cap. 84 - Amici, complici, amanti -

Post n°87 pubblicato il 27 Agosto 2009 da sareva82

Estratto di ragionamento quasi positivista inglese. Insomma tipico ragionamento femminile post-traumatico.

a)     non è possibile che LUI sia uscito con me se non gli piaccio (a meno che non sia un masochista);

b)     “Nessun uomo può essere amico di una donna che trova attraente. Vuole sempre portarsela a letto” “Allora stai dicendo che un uomo riesce ad essere amico solo di una donna che non è attraente?” “No, di norma vuole farsi anche quella” ;

Se prendiamo per buono il ragionamento che fa Billy Cristal a Meg Ryan LUI avrebbe dovuto sentire l’esigenza, il bisogno, l’impulso, lo stimolo, l’urgenza di portarmi a letto. Se non lo ha fatto, ma anzi è fuggito da me, le spiegazioni sono due: 1) o mi puzzava il fiato (e francamente non lo ritengo possibile); 2) o è impotente (e per me non sarebbe la prima volta perchè li attiro come la calamita attira la limatura di ferro).

 

“O è gay” suggerisce Luciano che tuttavia tende sempre ad interpretare i fatti a modo suo.

Oppure aveva fatto un voto, biascico al telefono ad Elisabetta. E lei, l’infame, come Franti ride, anzi sghignazza. Al termine di una chilometrica telefonata decidiamo che non ne voglio più sapere. E’ irrimediabilmente stronzo e neanche tanto puttaniere visto che non mi ha mai dato neppure un bacio. Pertanto non so che farmene.

 

 
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cap. 83 - Amore e guerra -

Post n°86 pubblicato il 27 Agosto 2009 da sareva82

“Senza un perché” dico il mattino dopo alle Coccinelle che aspettavano al bar la cronaca di una notte di fuoco e fiamme.

“Le fiamme dell’incendio di Atlanta” concludo e non ho la forza di aggiungere altro perché ho il cuore al ragù e gli occhi alla parmigiana sia per quanto ho pianto che per tutto il prosecchino che ho bevuto per non sentire la sua assenza.

Le Coccinelle tacciono e io temo che entro mezzogiorno andranno a mangiargli il cuore e mi dispiace ma nello stesso tempo vorrei che me ne lasciassero una porzione perché quello che ha fatto è veramente esagerato.

 

 
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