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l'insostituibile dimensione interpersonale ed emozionale del fare terapia

Post n°2 pubblicato il 14 Gennaio 2006 da corrys1975
 

La frenesia del mondo d’oggi da maggiore risonanza alla solitudine interiore, con lo svilupparsi di rapporti transitori ci si rende consapevoli della solitudine. Quando invece l’unica preoccupazione era procurarsi il prossimo pasto, non c’era tempo per riflettere sul grado di alienazione dagli altri. La nostra assoluta unicità ci separa dagli altri ovviamente, ma la solitudine che si sperimenta quando la persona sente di non aver contatto con le altre persone è ben altro. Questa percezione di alienazione dipende da molti fattori: la natura impersonale generalizzata della nostra cultura, il suo carattere transitorio, anonimo, la paura del contatto con l’altro. La causa più profonda di solitudine si sperimenta quando una persona lascia cadere un po’ del suo guscio esterno, della sua facciata quella che si presentava al mondo. Molto presto nella vita ogni persona impara che per essere accettati bisogna aderire a determinati canoni approvati dagli altri . Così ci si crea un guscio di comportamenti esterni tramite i quali entra in contatto col mondo. Questo guscio può essere sottile, quando la persona è consapevole di recitare una parte, è ampio invece quando si identifica con il guscio difensivo, la persona diventa più vulnerabile alla solitudine, resta esposto il suo sé che ha alcune ed adeguatezze, impulsi creativi e distruttivi. La persona crede che nessuno possa accettare il suo sé nascosto che cerca di celare con tanta fatica. Ciò porta ad un profondo senso di alienazione dall’altro, la sensazione che nessuno possa amare ciò che ha dentro. Di questa  solitudine si ha consapevolezza. Gli specialisti sono concordi nel pensare che ci stiamo rapidamente indirizzando verso un tipo di società caratterizzata particolarmente da due apetti essenziali: un aumento irreversibile del tempo libero, un accresciuto sviluppo degli svaghi nonché un suddividersi della società in un continuo, crescente e variabile numero di gruppi ristretti. L’accrescimento prodigioso dei passatempi commercializzati e l’influenza sempre più invadente dei mass-media, comportano un grande rischio, la formazione di una società consumistica, i cui menbri passivi e quasi ipnotizzati. Nell’esperienza della relazione terapeutica l’individuo trova un supporto alla mancanza di rapporto con gli altri. Ovviamente non si può suerare la solitudine individuale se la persona non si assume il rischio di essere di più il vero sé per gli altri. Solo allora può instaurare un contatto con gli altri. La convinzione di non poter essere amato nel setting svanisce perché si riesce più facilmente a preoccuparsi del vero sé. Quindi questa esperienza è un mezzo per far fronte al senso d’irrealtà, avvengono dei cambiamenti nella capacità di controllare i sentimenti, nella direzionalità della motivazione, negli atteggiamenti verso il sé, verso gli altri. La sensibilità implica maggiore consapevolezza dei propri sentimenti e delle percezioni altrui. Gli atteggiamenti verso il sé comprendono lìautoaccettazione, l’autoaccettazione, l’autostima, la padronanza dei propri sentimenti e la coerenza tra sentimenti e comportamento. L’attività di cura implica strategie complesse, che devono essere fra loro integrate. Curare è un gioco complesso e contraddittorio nel quale intervengono conoscenze tecniche e stati d’animo, emozioni e sensibilità, capacità di immedesimazione e capacità di introspezione. La dimensione interpersonale della cura, la sua fondazione intersoggettiva, condiziona la stessa efficacia terapeutica. Questo significa che solo nel contesto di una reciprocità di esperienze emozionali e di partecipazione affettiva sia in cura sia in chi è curato si sostituiscono le strutture portanti di ogni rigorosa articolazione terapeutica. La sfera dei sentimenti, delle emozioni e degli stati d’animo, da una parte, e i diversi modelli di cura dall’altra non possono non essere in una continuità epistemologica, e questo, certo, in antitesi ai modelli oggi dominanti che tendono a svuotare di senso gli eventi ella vita e a trionfalizzare gli elementi tecnici del discorso terapeutico: senza tenere presente l’insostituibile dimensione interpersonale ed emozionale del fare-terapia. La premessa a ogni presenza umana che si occupi dell’altro, dell’altro che soffra in particolare, è rappresentata dalla capacità di fare-attenzione. Senza vivere in noi, senza ri-vivere in noi, questa crescita è difficile, a volte impossibile, di un’attenzione rivolta a cogliere cosa si muova in noi, nella nostra vita emozionale, per cercare di intravedere cosa ci sia, cosa si agiti, nella vita emozionale dell’altro da noi. Senza attitudini, che si educano, ma che sono anche innate, a entrare in relazione con chiunque si avvicinoi in un contesto di angoscia e di sofferenza, non si riesce ad essere di aiuto: non si riesce a curare( a fare terapia) e non si riesce ad ascoltare l’indicibile, e l’invisibile, she sono l’altra parte della vita. Nella condizione umana è radicata l’esigenza, intesa a sentire la sofferenza, e a rivivere la speranza e la disperazione, dell’altro come nostre possibili speranze e la nostra possibile disperazione. Non si inizia nemmeno un gesto terapeutico se prima non i compie quel gesto preliminare che si esprime nell’entrare in relazione con l’altro sulla linea di una emozionalità condivisa, di una immedesimazione emozionale, che prescinda da ogni rigida articolazione tecnica. Non c’è cura se non si sa cogliere cosa ci sia in un volto, in uno sguardo, in uma semplice stretta di mano. La linea segreta di ogni psicologia è questa disperata attenzione a cogliere i significati che non si vedono nelle realtà umane

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salvatore.ravas
salvatore.ravas il 23/03/08 alle 18:13 via WEB
Fevidi Auguri di una Buona e Felice Pasqua. SalvatoreR
(Rispondi)
volandfarm
volandfarm il 25/03/09 alle 06:30 via WEB
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