Il figlio di Saul

Post n°72 pubblicato il 07 Febbraio 2016 da Angycritica

  • DATA USCITA: 21 gennaio 2016
  • GENERE: Drammatico
  • ANNO 2015
  • REGIA: Laszo Nemes
  • ATTORI: Geza Rohrig, Levente Molnàr , Urs Rechn
  • SCENEGGIATURA: Laszo Nemes , Clara Roy
  • FOTOGRAFIA: Matyas Erdely
  • MONTAGGIO: Matthie Taponier
  • PRODUZIONE: Laokoon Filmgroup
  • DISTRIBUZIONE: Teodora Film
  • PAESE: Uruguay
  • DURATA: 107 Min

La Storia

1944. Campo di concentramento di Auschwitz

Saul Auslander ( Geza Rohrig) con altri prigionieri fa parte dell’unità speciale Sonderkommando, ed è costretto dai nazisti ad assisterli nel compiere gli efferati crimini che noi tutti conosciamo: derubare i prigionieri, ucciderli e bruciarne i corpi, quindi disperderne le ceneri.

Saul si rende conto di ciò che fa e un giorno trova un modo per sopravvivere e riscattarsi: salvare un ragazzo morto dalle fiamme, cercare un rabbino che celebri la funzione funebre e poi sotterrarlo come giusto che sia.

Saul fa di tutto: nasconde il corpo del ragazzo morto nelle baracche, perché manca il rabbino, volta le spalle ai propri compagni e smette di pensare ai piani di ribellioni e fuga. Saul per giustificare il suo comportamento con i compagni dice che quel ragazzo è suo figlio.

Bravissimo il regista che attraverso il viso di Saul sempre in primo piano ci trasmette angoscia, paura, disagio.

Un film che sentiamo più che vedere, i nazisti urlano, impartendo ordini atroci ai Kapo.

Non vi sono primi piani dei forni crematori, delle valigie, delle pile di abiti ammucchiati: tutto viene sentito. Le immagini sono sfocate tranne il viso di Saul. Il suo sguardo è perso nel nulla, gli occhi sbarrati privi di vita ci fanno capire la tragedia di questo uomo che è costretto ad essere un aguzzino per sopravvivere.

La cosa che ci colpisce è che troviamo gerarchie, scambi, e ruberie all’interno dell’unità speciale.

Il film, assoluta rivelazione all’ultimo Festival di Cannes, poi insignito del Gran Premio della Giuria, è un gran film nonché un capolavoro osannato dalla critica di tutto il mondo.

Non vi è colonna sonora, solo gride soffocate, urla strazianti che ci provocano disagio, angoscia, sofferenza e disgusto per i nazisti e per tutti coloro che non vedevano perché si giravano da un’altra parte.

 

ANGY

 
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Qualcosa di buono

Post n°71 pubblicato il 30 Ottobre 2015 da Angycritica

Qualcosa di buono

 

Regia: George C. Wolfe

Attori: Hilary Swank ( Kate) ; Emmy Rossum ( Bec); Josh Duhamel ( Evan) ...

Tratto da: romanzo omonimo di Michelle Widgen (ed. Vallardi).

 

La storia

Dagli USA arriva nelle sale cinematografiche il film “Qualcosa di buono”, che ci racconta di come una malattia devastante, la SLA, è in grado di stravolgere la vita perfetta della pianista Kate.

Possiamo fare un parallelismo con“Still Alice”, uscito nelle sale cinematografiche lo

scorso anno e che ha fatto guadagnare a Demi Moore l’Oscar per la migliore interpretazione femminile, dove veniva trattato il tema dell’ALZHEIMER.

 

La SLA, come l’ALZHEIMER, stravolge la vita di tutti coloro che ne vengono colpiti. La nostra protagonista Kate, pianista di successo di musica classica, è una donna perfetta, vive una vita perfetta con un marito perfetto e amici perfetti. La domanda che ci poniamo è: “esiste veramente tutta questa perfezione?”

Quando Kate si ammala il marito diviene il suo badante, ma assume anche una vera badante che la segue quando lui va a lavorare. Kate soffre tanto e decide di licenziare la badante che la tratta come una malata terminale e la guarda non come una persona ma, appunto, come una malata da accudire e consolare.

Ecco che arriva Bec, giovane studentessa un po’ irresponsabile e piena di goliardica vitalità. Kate risponde al suo annuncio messo su internet, le chiede un colloquio e la sceglie perché vede in lei dei talenti, delle qualità nascoste che pian piano emergeranno.

Da coprotagonista, Bec diviene la protagonista di questa triste vicenda. La sua allegria, il suo parlare sboccato, il suo trattare Kate non come malata ma come una persona  normale farà si che a piccoli passi diverrà la sua amica e confidente.

Da qui il titolo del film “Qualcosa di buono”: la disgrazia di Kate diverrà la fortuna di Bec, che da ragazza sbandata si trasformerà in una persona responsabile senza perdere nulla delle qualità che tanto disturbano la famiglia, gli amici e la mamma perfetta di Kate, di cui quest’ultima non va nemmeno a trovare la figlia per non soffrire. La disgrazia di Kate consentirà a Bec di crescere, di far emergere i suoi talenti e fare della sua vita qualcosa di buono.

I piccoli e grandi egoismi emergono in situazioni drammatiche come questa. Chi assiste un malato terminale ad un certo punto, come ammette il marito, si sente mancare l’ossigeno e mancare, e allora cerca vie di fuga dalla quotidianità cosi soffocante.

La malattia diviene un carcere di massima sicurezza per chi ci ama o pensa di amarci.

Le amiche di Kate non sono in grado di affrontare la SLA sia perché non ne sono capaci sia perché non era contemplata nel loro mondo perfetto. Kate è sola, ma grazie a Bec conoscerà delle persone vere che la vedranno per quello che è ed inizierà a vivere nuovamente. 

Triste la frase che Kate dice: “Sono sempre stata la moglie che lui voleva e non sono mai stata ciò che ero.”

Hillary Swank è perfetta nel ruolo che interpreta, per questo l’Academy le ha assegnato il premio come miglior attrice. Perfetta e bravissima anche Emmy Rossum che, come dicevo prima, diviene la protagonista indiscussa del film.

 

 

N.B.

SLA è una malattia terribile che dà un’iniziale debolezza muscolare, con un’accentuazione nell’uso delle mani e delle braccia, fino a provocare difficoltà nella pronuncia delle parole.

La progressiva malattia dei muscoli ti impedisce di abbottonarti gli abiti, tenere gli oggetti in mano e camminare: dipendi in tutto e per tutto dagli altri.

Allo stato avanzato vengono compromessi i muscoli della deglutizione e della respirazione. Si può soffocare con un semplice colpo di tosse.

Le cause sono tuttora sconosciute.

Patologia: si sa che  il gruppo di cellule cerebrali (motoneuroni), che inviano il segnale della contrazione dei muscoli di tutto il corpo, vengono colpite e non inviano più i segnali al corpo quindi agli organi devoluti al corretto funzionamento della deglutizione, respirazione e, mano a mano, di tutto il resto.

 

                                                                                                               ANGY

 
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MIA MADRE

Post n°70 pubblicato il 20 Maggio 2015 da Angycritica

 

MIA MADRE

 

Durata            106 minuti

Genere           Drammatico

Regia              Nanni Moretti

 

Interpreti e personaggi principali

        Margherita Buy             : Margherita

        John Turturro                : Barry Huggins

        Giulia Lazzari                : Ada (madre)

        Beatrice Mancini            : Livia , figlia di Margherita

 

Storia

Margherita regista, madre, fa del suo meglio per assistere la sua di madre, Ada. In ospedale insieme al fratello Giovanni. Lui accudisce la mamma con amore e tenerezza, parla con i medici e si fa da interprete per la sorella, che non si rende conto di ciò che loro dicono.

Giovanni, a differenza della sorella regista, si rende conto che ben presto la madre li lascerà. Pertanto si mette in aspettativa dal lavoro per stare accanto a lei durante i suoi ultimi giorni.

Tanti di noi, in seguito a un lutto o una grande perdita, mettiamo in discussione la nostra frenetica quotidianità e ci iniziamo a porre delle domande: perché facciamo tutto questo? che senso ha? Questo è proprio quello che accade anche a Giovanni.

Margherita vive la sua vita di donna lavoratrice cercando di essere contemporaneamente una regista impegnata, una madre presente che dialoga con la figlia adolescente e una figlia affettuosa.   Inizialmente non si rende conto della gravità della situazione. Va a trovare la madre dopo il lavoro, in ospedale, portandole la cena acquistata in drogheria, a differenza del fratello che la prepara a casa. Margherita nel film ci racconta attraverso i ricordi, i sogni, gli incubi, il dolore e il vuoto che ha provato Moretti quando ha perso la madre - non a caso questo è un film autobiografico.

 

I ricordi, non sempre belli, sono dei flash che arrivano all’improvviso. Ci riportano indietro nel passato, ci confondono perché ci fanno rendere conto di ciò che stiamo perdendo o ciò che abbiamo  perso. Iniziare a ricordare ci rende fragili perché in quell’esatto momento ci rendiamo conto che non si può più tornare indietro, non possiamo più scusarci e farci perdonare.

Margherita a causa della situazione che sta vivendo cresce, inizia a prendere coscienza dei suoi limiti e a porsi delle domande sulla sua vita, che sta andando a rotoli.

I sogni si mescolano con la realtà, la tristezza con la comicità delle situazioni parossitistiche. Significativa la scena della madre che vaga in camicia da notte fuori dall’ospedale. E quella dell’acqua che allaga la casa nel cuore della notte. Tutte metafore di come la vita stia prendendo pieghe imprevedibili e non auspicabili.

Il dolore accumulato dai nostri protagonisti si manifesta attraverso le lacrime di Livia, la nipote che nel cuore della notte viene informata della perdita della nonna, sua amica e maestra di latino. La nonna conosceva le crisi della nipote a differenza della madre-regista, che è in grado di analizzare la realtà che la circonda e trasporla nei film ma non è in grado di cogliere i patemi della figlia adolescente.

La scena del corridoio con i pacchi in fila e sparsi per la casa della madre ci riempie di dolore. La cosa peggiore è quella di metter via gli oggetti  che sono appartenuti a un tuo caro che adesso non vi è più. Basta un profumo, una cartolina, un libro per farci tornare a mente dei momenti che sembravano cancellati per sempre. Il messaggio che giunge allo spettatore è quello del vuoto incolmabile che alberga nei cuori di chiunque abbia perso un genitore. I genitori sono le nostre radici, e quando non ci sono più muore una parte dell’albero.

 

Il film è intimista, bello, commovente. Moretti co-protagonista è bravo e convincente. Brava anche la Buy. Bella la frase, molto alla Nanni Moretti, che dice nel film nel ruolo della regista Margherita, “Fai sentire l'attore, accanto al personaggio” lasciando interdetti i protagonisti del suo serissimo film. Complimenti anche a John Turturro (Barry Huggins), che interpreta un attore strampalato nel film che Margherita gira durante la malattia della madre.

Lo spettatore alla fine della proiezioni è commosso e si sente partecipe al dolore universale della perdita di un genitore. Il film è catartico.

 

Ricordiamo che Moretti vinse la Palma d’oro 14 anni fa con “La stanza del figlio”, facendo conoscere la giovanissima Jasmine Trinca e lanciandola nel mondo cinematografico.

                                                                                                                                    ANGY

 

 
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La famiglia Bélier

Post n°69 pubblicato il 01 Maggio 2015 da Angycritica

 

La famiglia Bélier

  • Data di uscita: 26 marzo 2015
  • Genere: Commedia
  • Regia: Eric  Lartigau
  • Sceneggiatura: Stanislas Carrè De Malberg
  • Attori: Karin Viard (Gigi Bélier), Francois Damiens (Rodolphe Bélier), Louane Emera (Paula Bélier), Eric Elmosnino (Prof. Thomasson),  Roxane Duran (Mathilde), Ilian Bergala (Gabriel), Mar Sodupe (Quentin Bélier)
  • Musiche: Evgueni Galperine, Sacha Galperine
  • Paese: Francia
  • Durata: 106 Min

La Storia

Nella famiglia Bélier sono tutti sordi. Tutti tranne la figlia 16enne, Paula.

I Bélier, agricoltori della Normandia, grazie alla figlia riescono a relazionare con gli altri: al mercato per vendere i formaggi prodotti dalla loro azienda, col veterinario, col medico di famiglia, il sindaco, i clienti...

Paula fa da ponte tra il mondo privo di suoni della famiglia e il mondo esterno. È felice della vita che conduce. Ma come tutti gli adolescenti talvolta si irrita con questa famiglia tenera, esuberante e chiassosa. I motivi? Per esempio quando i suoi cari la vanno a prendere a scuola, per farsi sentire e riconoscere da lei, mettono la radio al massimo volume. Così però le creano imbarazzo e suscitano l’ilarità dei suoi compagni, che per questo la prendono in giro.

Paula è divisa tra famiglia e liceo. A scuola si iscrive ad un corso di canto, dove viene selezionata per lo spettacolo di fine anno e prescelta per un duo con Gabriel, del quale si è invaghita. Scopre così di avere un talento naturale, una voce da soprano che può portarla lontano. Incoraggiata dal prof. Thomasson decide di partecipare quindi ad un concorso canoro indetto da Radio France a Parigi, presentando la canzone di Sardou “Je vole”.

La canzone del popolare Sardou dice chiaramente ciò che desidera Paula "non fugge, lei vola" per potersi preparare al suo futuro.

Seppur vivano una vita diversa, I Bélier non si sentono emarginati. Anzi: il padre, Rodolphe, appoggiato dalla moglie e dallo figlio minore, decide  di scendere in politica. Vuole preservare il suo bucolico paesino che il sindaco, avversario politico, ha intenzione di modernizzare aprendo centri commerciali e altro ancora. Paula non è d’accordo con la discesa in politica del padre perché le condizioni di lui possono comportargli una serie difficoltà non marginali. Tuttavia Paula si convince quando sul trattore il padre le fa notare che, pur essendo di colore, Obama è riuscito a divenire presidente degli Stati Uniti d’America. Quindi lui perché non può diventare un semplice sindaco? In fondo la sua vita non è poi così diversa da quella degli altri...

La famiglia entra in crisi quando Paula è costretta a parlare loro del suo sogno. La madre si dispera. Ha paura di lasciare andare la figlia sola a Parigi. Allo stesso tempo si pone varie domande. Chi li aiuterà a comunicare con il mondo? La figlia vuole fuggire perché non è stata una buona madre? La realtà è che non comprende per davvero il talento della figlia, non potendone udire la voce.

Il nostro regista ci presenta una famiglia che si reputa normale. Ma che in realtà deve fare i conti sia con le proprie limitazioni, sia con la volontà dei figli di abbandonare il nido e volare via.

Paula spiega alla madre che è stata una mamma fantastica ed è divenuta la donna che è grazie a lei e a suo padre. Per non abbandonare la famiglia rinuncia di partecipare al concorso Radio France ma non allo spettacolo di fine anno. In quell’occasione duetta con Gabriel e dimostra a tutti il proprio talento. Gli spettatori si emozionano e applaudono a scena aperta. Alla fine dello spettacolo i suoi genitori capiscono davvero il talento, nonché dono, della figlia.

Bellissima e commovente l’interpretazione di Paula quando canta “Je vole”. Perché mentre lo fa, con  il linguaggio dei segni, fa capire ai genitori il contenuto della canzone. La scena si può interpretare come una sua dichiarazione d’amore per i suoi cari e fa comprendere a tutti loro che andarsene a Parigi non significa fuggire via da loro e da ciò che sono, ma semplicemente realizzare il proprio sogno.

La nostra protagonista viene dai talenti “The Voice” e dimostra la sua bravura anche quando canta in duetto con Gabriel, in chiusura del concerto scolastico.

Il film è divertente, ad alcuni potrà sembrare zuccheroso ma non può non piacere.

Bravissimi gli attori che interpretano i genitori, anche il resto del cast non è da meno.

 

ANGY

 

 
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PREMI OSCAR 2015

Post n°68 pubblicato il 07 Marzo 2015 da Angycritica

PREMI OSCAR 2015

 

Il 15 gennaio 2015, a differenza degli anni precedenti, sono state annunciate in pompa magna le nomination agli Oscar. E il 22 febbraio, con l’avvicinarsi della notte americana, tutti hanno atteso con grande trepidazione una delle cerimonie più seguite al mondo: quella delle premiazioni. Gli Oscar 2015.

Ecco a voi i risultati.

 

Birdman

Miglior Film, Migliore Regia, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Fotografia. Tutto firmato Alejandro G. Iñárritu. Un uomo, un regista, uno sceneggiatore, un produttore cinematografico, un compositore e un montatore. Iñárritu è tutto questo e tanto altro. Nato a Città del Messico il 15 agosto 1963, ha iniziato a riscuotere enorme successo già nel 2000 con “Amores Perros”, e ha continuato la sua costante ascesa con: 21 grammi (2003), Babel (2006) e Biutiful(2010). Acclamate dalla critica di tutto il mondo, le sue opere hanno ricevuto complessivamente ventuno nomination agli Oscar. Un risultato davvero degno di nota.

 

Ho visto e vi consiglio:

  • 21 grammi. Come ci dice il protagonista, è questo il peso dell’anima. Attori principali: Benicio del Toro, Naomi Watts e Sean Penn. Tutti è tre estremamente bravi nelle loro interpretazioni.
  • Babel. Racconta quattro storie ambientate in Marocco, Messico, Stati Uniti e Giappone. Tutte e quattro le storie sono bellissime, commoventi e strazianti.  Lo spettatore si rende  conto che il regista è già ora estremamente talentuoso, nonostante la giovane età. Attori: Brad Pitt e Cate Blancette, accompagnati dagli esordienti Adrtiana Barraza e Rinko Kikuchi. Presentato a Cannes, Iñárritu riceve il premio per la miglior regia e agli Oscar riceve sette nomination, tra cui Miglior Film e Miglior  Regista. A vincere però è soltanto Gustavo Santaolalla, per la Miglior Colonna Sonora Originale. Il 15 gennaio 2007 ai Golden Globe Awards, Babel riceve il premio come Miglior Film drammatico.
  • Biutiful. Protagonista Javier Bardem, narra la storia di un uomo che vive con i suoi due figli in uno stato di estrema povertà. Il protagonista Uxbal sa che ha solo due mesi di vita e cercherà di sistemare i figli al meglio. Vediamo una Barcellona sporca e degradata, ben diversa da quella del film “Vicky Cristina Barcelona” di Woody Allen. Il film ha la potenza di un pugno allo stomaco: lo spettatore viene travolto da un mare in piena che porta dolore, sofferenza, degrado, immoralità. L’immondizia delle strade di Barcellona si accosta alla sporcizia dell’anima di coloro che toccano il fondo e non riescono più a risalire. Bardem, insuperabile nella sua splendida interpretazione, viene premiato come Migliore Attore a Cannes nel 2010, a pari merito del nostro grande Elio Germano per il film “La Nostra Vita”. Biutiful viene insignito di più premi e, fino all’arrivo di Birdman, era considerato uno dei migliori risultati di Iñárritu.

 

Consiglio a tutti di vedere questi film, sono dei veri capolavori. Come nel neorealismo, vedendoli entriamo in un mondo a noi inimmaginabile. Tutta questa tragicità può travolgerci a tal punto da costringerci a riflettere sulla drammaticità stessa della nostra esistenza. Quindi viene da chiedersi: cos’è  meglio, vederli o no? A voi la scelta.

 

Grand Budapest Hotel

Ha vinto quattro Oscar: Miglior Scenografia, Migliori Costumi, Miglior Trucco e Acconciature e Miglior Colonna Sonora.

La notte degli Oscar per noi Italiani è stata motivo di orgoglio: Milena Canonero vince, per la quarta volta nella sua lunga e gloriosa carriera, l’Oscar per i Migliori Costumi. Ricordo che Milena Canonero ebbe il primo incarico di costumista per il film, molto discusso e inquietante, “Arancia Meccanica”. Chi come me non più tanto giovane ricorda senza dubbia sia il trucco che i costumi che hanno contribuito a rendere ancor più drammatico quel film. Milena però vince il primo Oscar con il film “Barry Lyndon”, il secondo con “Momenti di Gloria” e il terzo con lo splendido film “Marie Antoniette”. Inoltre la nostra Milena ha ricevuto in passato cinque nomination agli Oscar con “La mia Africa”, “Dick Tracy”, “Tucker”, “Un uomo e il suo sogno”, “Titus”, “L’intrigo della collana”. Insomma, è bravissima oltre che una persona timida (come lei afferma).

 

Eddie Redmayme & Juliane Moore

Vincono i premi di Miglior Attore Protagonista per il film “La teoria del tutto” (Redmayne) e, come da me pronosticato, quello di Miglior Attrice Protagonista per il filmStill Alice” (Moore).

 

J.K Simmons & Patricia Arquette

Miglior Attore Non Protagonista per “Whiplash” (Simmons) e Miglior Attrice Non Protagonista per “Boyhood” (Arquette). Da segnalare la crescita interpretativa di Patricia Arquette, in passato nota per essere la protagonista nella serie televisiva “Medium”. Nel film è stata brava nel recitare il ruolo di madre femminista, attivista e docente un po’ fuori dalle righe, che per i suoi figli fa delle scelte non sempre tra le migliori.

 

Ida

Miglior Film Straniero (Polonia). Devo ammettere di essere stata colta un po’ di sorpresa, avendo visto il film nel marzo 2014, quand’è uscito nelle sale cinematografiche italiane. Il film, presentato in anteprima il 7 settembre 2013 nella sezione Special Presentation del Toronto International Film Festival, ha vinto il premio  FIPRESCI.

La storia prende atto in Polonia, nel 1962. Anna (Agata Trzebuchowska), giovane orfana intenzionata a prendere i voti, viene informata dalla madre superiora  di avere una zia, Wanda (Agata Kulesza), sorella della madre. La madre superiora suggerisce ad Anna di conoscere la zia e vivere un periodo fuori dal convento prima di prendere i voti definitivamente. L’incontro tra le due donne cambierà la vita di Anna. La zia, molto diversa da lei, conduce infatti una vita libertina e fa conoscere ad Anna sia la sua vera identità sia la storia della sua famiglia. Il suo vero nome è Ida ed è di origine ebraica. Il convento l’ha salvata dall’Olocausto. La zia così induce Ida a riflettere sulla sua scelta di vita e le dice: “Se ancora non sei stata con un uomo, non puoi sapere a che cosa rinunci”. Ida alla fine deve fare una scelta tra la vita religiosa o di donna libera.

Film in bianco e nero molto bello e ben interpretato.

 

The Imitation Game

Miglior Sceneggiatura Non Originale.

 

Interstellar

Migliori Effetti Speciali

 

Big Hero 6

Miglior Film d'Animazione

 

Whiplash

Miglior Montaggio

 

American Sniper

Miglior Montaggio Sonoro

 

Selma

Miglior Canzone

 

Citizenfour

Miglior Documentario

 

Crisis hotline: Veterans press1

Miglior Corto Documentario

 

The Phone Call

Miglior Cortometraggio

 

Feast

Miglior Cortometraggio d’Animazione

 

 

Buona visione a tutti!

                                                                                                         ANGY

 
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