Nome di donna

Post n°77 pubblicato il 18 Marzo 2018 da Angycritica

Regia: Marco Tullio Giordana
Attori: Cristiana Capotondi , Valerio Binasco, Stefano Scandaletti, Bebo Storti
Soggetto: Cristiana Mainardi

LA STORIA
Nina (Cristiana Capotondi) si trasferisce da Milano in un piccolo paese poco distante da Milano. Dopo un anno di disoccupazione, grazie a un sacerdote suo amico, viene assunta per una breve supplenza come inserviente in una casa residenziale per anziani. Il dirigente della struttura Marco Maria Torri (Valerio Binasco), supportato dall’omertà dal sacerdote suo vice (Bebo Storti), elargisce favori alle inservienti in cambio di prestazioni sessuali.


Nina è una ragazza madre, il suo compagno non è il padre della figlia.Questo viene più volte sottolineato sia da Torri sia dal suo vice, entrambi personaggi abusanti, che approfittano della fragilità delle do nne per poterle dominare psicologicamente dapprima e poi sessualmente. Marco Torri, uomo raffinato, elegante non è altro che un uomo malato di sesso. Questa raffinatezza apparente nasconde un segreto che tutti conoscono.  Nina non cede, decide di affermare il suo diritto al lavoro denunciando Marco Torri.


Ciò che dà fastidio allo spettatore è il comportamento delle colleghe che sanno, per esperienza diretta, e si scagliano contro Nina, che coraggiosamente decide di andare avanti con l’azione legale e contemporaneamente continuare a lavorare.
Nina è una donna coraggiosa e come tutte le madri lotta anche per sua figlia, che un giorno diverrà donna e come tutte le donne potrebbe divenire oggetto di molestie sessuali. Tutti sanno, tutti tacciono sino a insabbiare lo scandalo della dirigenza ecclesiale dopo la denuncia di Nina.


Molto brava la protagonista e così pure Valerio Binasco e Bebo Storti. Alla fine del film non si può non sorridere, l’ultima scena è davvero una chicca, il regista ci sottolinea ciò che tutti sappiamo: “il lupo perde il pelo ma non il vizio”. Come diceva la Capotondi in un’intervista lo scandalo scoppiato in America ha fatto prendere coscienza di un fenomeno diffuso nel mondo, da parte di uomini di potere e non, di come gli abusi sia sessuali sia psicologici siano più diffusi di quello che si immagini.


Buona visione a tutti,


Angy

 
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THE FOUNDER

Post n°76 pubblicato il 26 Febbraio 2017 da Angycritica

THE FOUNDER

REGIA: John Lee Hancock

ATTORI: Michael Keaton (Ray Kroc ), Nick Offerman ( Dick McDonald ), John Carroll Lynch ( Mac McDonald ), Laura Dem ( Ethel Kroc )...

SCENEGGIATURA: Robert D. Siegel

GENERE: BIOGRAFICO

DURATA: 115’

LA STORIA

Il film narra la storia di Ray Kroc, venditore dell’Illinois, che all’età di 50 anni riuscirà a cambiare la sua vita grazie a un casuale incontro, a S. Bernardino, con i fratelli Mac e Dick Mc Donald.

I due fratelli avevano avviato un’attività di vendita di hamburger,  in un piccolo chiosco, con patatine fritte, frullato  e gelato.

Ciò che impressionò Kroc fu il sistema inventato dai 2 fratelli che in pochi minuti erano in grado di preparare panino con hamburger e patatine fritte, ma la cosa geniale era che il tutto non necessitava dell’uso di posate e piatti.

Kroc intuì subito il potenziale per un franchising a livello nazionale.

La sua intuizione fu geniale.

Nel 2017 ogni giorno circa 100 milioni di persone mangiano nei Mc Donald’s sparsi in tutto il mondo.

I fratelli Mc Donald che fine hanno fatto?

Kroc è riuscito legalmente sia ad estrometterli dalle operazioni di franchising sia ad impossessarsi  del loro logo e del loro cognome.

Non sono stati derubati solo i fratelli Mc Donald ma anche i clienti che nel 2017 mangiano panini sempre meno genuini dagli iniziali panini. E non dimentichiamoci i frullati e i gelati che di certo sono ben diversi dai frullati e dai gelati originari.

È vero che Kroc liquidò i due fratelli con una cifra che neppure in dieci vite avrebbero realizzato ma di fatto lì derubò delle loro idee: sia da un punto di vista innovativo, con un sistema in grado di fare in pochi minuti dei deliziosi panini, sia del loro simbolo, gli archi che da sempre rappresentano la catena Mc Donald’s.

Penso che in pochissimi sappiano che il logo era stato inventato da uno dei fratelli Mc Donald.

Kroc, uomo geniale, ha creato un impero dal nulla calpestando tutti senza esclusione di colpi.

Film sul capitalismo apprezzato da alcuni spettatori che hanno ammirato il genio di Kroc, arrivando perfino a giustificarlo. È vero, i due fratelli sono stati super liquidati, ma cosa potevano fare di diverso se non accettare?

Altri spettatori sono rimasti sconcertati, hanno guardato al di là degli interessi finanziari e hanno visto ciò che Kroc in realtà è: un genio del male, uomo malvagio e arrivista. 

Si può giustificare tutto per il dio denaro?

Magistrale la recitazione di Michael Keaton che con lo sguardo ci fa comprendere di volta in volta le intenzioni del nostro genio del male, Kroc.

Dopo aver visto questo sconcertante film con attori bravi e convincenti nel ruolo interpretato da ciascuno di loro, vi consiglio di vedere il documentario “Supersize Me” del giornalista Morgan Spurlock, premio Oscar come miglior documentario nel 2005.

Spurlock decide di mangiare 3 pasti al giorno nei Mc Donald’s, assaggiare almeno ogni opzione dei menù Mc Donald’s e accettare di prendere il Super Size se invitato a farlo.

In 30 giorni i 3 medici che lo seguivano durante tutto l’esperimento rimangono scioccati dal deterioramento dello stato di salute del protagonista.

Se vedrete “Supersize Me” vi passerà la voglia di mangiare al Mc Donald’s.

ANGY

 
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Io, Daniel Blake

Post n°75 pubblicato il 01 Novembre 2016 da Angycritica

 

IO, DANIEL BLAKE

Regia:  Ken Loach

Attori:  Dave Johns (  Daniel Blake), Hayley Squires ( Katie ), Dylan McKierman ( Dylan ), Brianna Shann ( Daisy ) ….

Durata: 100’

Genere: Drammatico

Note: Palma D’Oro e Menzione Speciale della giuria Ecumenica al 69 . Festival di Cannes ( 2016 ).

 

La Storia :

Il 59enne Daniel Blake, falegname a Newcastle per la maggior parte della sua vita, a causa di una grave malattia cardiaca deve smettere di lavorare e per la prima volta ha bisogno di aiuto da parte dello Stato.

Per l’anziano falegname inizia una vera e propria odissea per avere ciò che gli spetta: l’invalidità. Come attestano le carte ospedaliere, Daniel “non può più lavorare”.

L’invalidità deve essere confermata da ottusi impiegati che non si rendono conto delle difficoltà che una persona può incontrare nel compilare questionari online nei tempi richiesti e usare un computer per scrivere delle lettere.

 La stupidità, l’arroganza e l’indifferenza regna sovrana in questi uffici dove Daniel si reca per avere ciò che gli spetta.

Il destino di Daniel si incrocia con quello di Kate, mamma single, e i suoi bambini Daisy e Dylan.

Kate si trasferisce a 500 Km da Londra perché finalmente le è stato assegnato, dallo Stato, un fatiscente appartamento che la nostra Kate ha subito accettato. Questo perché prima, a Londra, viveva con i figli nella squallida monocamera di un ostello.

Daniel diviene amico di Kate. Daniel è generoso e buono di animo, cerca di aiutare Kate in tutti modi: sia eseguendo lavori di miglioramento nella inospitale casa sia divenendo una sorte di nonno per i piccoli.

Sia Daniel sia Kate incontrano difficoltà nel far valere i propri diritti con conseguenze drastiche su entrambi.

La complicata burocrazia delle politiche del welfare e l’ottusità degli impiegati rendono la vita difficile a tutti i Daniel e tutte le Kate del mondo e che hanno bisogno di aiuto. Burocrazia e impiegati sono privi di umanità.

Le persone non sono numeri di un elenco ma sono esseri umani, bisogna aiutarli nel momento della necessità facendo sì che possano mantenere il rispetto per loro stessi.

“Il mio nome è Daniel Blake. Sono un essere umano, un cittadino. Tutto quello che chiedo è di essere trattato con dignità. Niente di più, niente di meno.”

Il film ci ammutolisce per le umiliazioni che subiscono migliaia di persone che vengono quotidianamente maltrattate da un iniquo e disumano sistema previdenziale britannico.

Loach è un grande regista, sempre dalla parte degli ultimi, e cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi derivanti dal disagio sociale delle classi meno abbienti, e con Daniel Blake ci riesce perfettamente.

Il film è un capolavoro della cinematografia.

Bravissimi gli attori.

La domanda che dobbiamo porci è: riuscirà “Io, Daniel Blake” a farci andare oltre la commozione del momento, riuscirà a sensibilizzare coloro che con le loro leggi riescono a rendere la vita di migliaia di cittadini un inferno?

ANGY

 

 
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The Danish Girl

Post n°74 pubblicato il 22 Maggio 2016 da Angycritica

THE DANISH GIRL

Regia: Tom Hopper

Attori:  Eddie Redmayne ( Einar Wegener/ Lili Elbe); Alicia Vikander ( Gerda Wegener); Amber Heard (Ulla) ; Matthias Schoenaerts (Hans Axgil).

 

La Storia

Ispirato alla vera storia del pittore danese Wegener  (Vejle, 28 dicembre 1882Dresda, 13 settembre 1931)e di sua moglie Gerda( nasce nel 1889 la data non è confermata da   una famiglia francese emigrata in Danimarca nel 18° secolo).

Entrambi pittori, Einar paesaggista e Gerda ritrattista .

Wegener pittore paesaggista molto apprezzato dai suoi contemporanei scopre la sua omosessualità per caso. Un pomeriggio la moglie chiede al suo innamoratissimo marito di aiutarla, deve fare il modello indossando calze e scarpe da donna, affinchè possa completare il ritratto commissionato.

Mentre è in posa arriva l’amica Ulla che scherzosamente le dà il nome di Lili .

In occasione di un ballo di artisti la moglie per gioco gli suggerisce di travestirsi da donna cosi potrà accompagnarla. Ili riscuote successo tra i partecipanti uomini per la sua bellezza e la sua raffinatezza.

Quello che inizialmente era un gioco diviene una realtà: Einar si identifica sempre di più in Lili. Einar come ci dice il   protagonista è una donna nel corpo di un uomo, lui è Lili.

Inizia una insolita storia d’amore tra Einar e Gerda .

Gerda fa di Lili la sua musa, ne ossessionata dipinge solo lei. I suoi quadri colpiscono chi li guarda, ti stregano.

Una prestigiosa galleria parigina decide di esporre i quadri di Gerda che riscuotono un enorme successo di pubblico. Einar va a Parigi con Gerda.

 Gerda a Parigi contatta Hans, amico di infanzia di Einar e gli chiede aiuto per risolvere i problemi esistenziali del marito.

 Ma Einar ormai è Lili.

Gerda continua ad amare Einar/Lili e per amor suo accetta tutto anche il cambio di sesso . Einar è stato nel 1930 il primo uomo che si è sottoposto al cambio di sesso.

Einar è stato coraggioso a sottoporsi a un simile intervento, noi avremmo fatto questo intervento?  Pensiamo alle sale operatorie dell’epoca, alla mancanza di antibiotici e trasfusioni di sangue  .

Einar ci ha lasciato i suoi diari dove racconta sé stesso con le sue paure , i suoi desideri e i suoi tormenti. Pensiamo alla sua sofferenza siamo agli inizi del ‘900.

L’unica fortuna aver trovato Gerda e degli amici.

Eddie Redmayne  ci regala una magistrale interpretazione, riesce a farci vivere le sofferenze del “primo transgender della storia” ancora esempio per molti di loro.

E’ stata la prima persona nella storia a sottoporsi a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale e a essere identificata come “transessuale”.

Ricordiamo che il nostro attore è il bravissimo protagonista “la Teoria del tutto”, Di Caprio ha rischiato di perder l’Oscar anche quest’anno.

Bravissima l’attrice che interpreta Gerda cosi pure  l’attore che interpreta Hans.

Matthias Schoenaerts ( Hans) è il bravo  protagonista maschile del bel film “Suite Francese”.

                                                               

       Foto d’epoca “Lili Elbe”          e               Gerda Gottlieb

                                                                         

 

 

La vera storia di questi due singolari personaggi

Einar e Gerda viaggiarono in tutta Europa, dall'Italia alla Francia, stabilendosi a Parigi nel 1912. Nella capitale francese, Einar ebbe modo di vivere apertamente come una donna, vestendosi come tale. Divenne modella e musa per i dipinti di Gerda indossando abiti femminili assumendo il nome di Lili Elbe.

Tra gli anni venti e trenta Wegener si presentava regolarmente come una donna a tutte le feste e gli eventi pubblici utilizzando questo nome. Solo Gerda e pochi amici fidati erano al corrente della transessualità di Lili, che veniva presentata come la cugina di Einar.

Nel 1930 Lili Elbe andò in Germania per sottoporsi all'intervento chirurgico di riassegnazione sessuale, all'epoca ancora sperimentale. Si sottopose a cinque operazioni in un periodo di due anni. Il primo intervento fu la rimozione dei testicoli (orchiectomia) sotto la supervisione del sessuologo berlinese Magnus Hirschfeld.[5] La seconda operazione consistette nella rimozione del pene e nel trapianto delle ovaie, rimosse in un secondo momento con altri due interventi occorsi a causa di un rigetto e di altre gravi complicazioni. La quinta operazione fu il trapianto dell'utero, per poter consentire a Lili, allora quasi cinquantenne, di diventare madre.[6]

La sua storia sul cambio di sesso suscitò la curiosità della stampa in Danimarca e in Germania, tanto che l'allora re di Danimarca, Cristiano X, invalidò il suo matrimonio con Gerda nell'ottobre del 1930. Nello stesso anno riuscì a ottenere il riconoscimento legale del suo nuovo sesso e il cambio di nome, ricevendo il passaporto come Lili Elbe. Dopo il cambio di sesso smise di dipingere, sostenendo che fosse un qualcosa che apparteneva solo a Einar.

                                                                                                      Angy

 
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Fuocoammare

Post n°73 pubblicato il 06 Marzo 2016 da Angycritica

 

FUOCOAMMARE

 

Regia: Gianfranco Rosi

Attori: Samuele Pucillo, Mattias Cucina, Samuele Caruana Pietro Bortolo, Giuseppe Fragapane.

Soggetto: Carla Cattani (idea), Gianfranco Rosi

 

La storia

Gianfranco Rosi per più di un anno si è trasferito a Lampedusa ed ha vissuto con gli abitanti dell’isola, attori del documentario, documentandone la loro vita. La vita dei lampedusani è diversa dagli altri italiani. Da anni Lampedusa è al centro del clamore mediatico di tutto il mondo perché nell’isola continuano a sbarcare migranti. Il numero dei profughi è altissimo, povera gente che cerca una vita migliore e fugge dalla guerra.

Il documentario ritrae la quotidianità dei lampedusani.

Rosi entra nelle loro case.

I lampedusani, gente non ricca, amano la loro casa. Ce ne rendiamo conto dai particolari: il centrino, la tovaglia con i fiori stampati, la cura messa nel rifare il letto, i baci devoti alle statuine di Padre Pio e della Madonna, da come preparano la cena a base di pesce. Tutto con un bellissimo sottofondo, le canzoni siciliane, che su richiesta mette con dedica sulla radio il deejay dell’isola.

Il titolo del documentario è il titolo di un’antica canzone siciliana, “Fuocoammare”, che una donna dedica all’anziano marito.

 Che dolcezza vedere i due anziani che nella loro ordinata cucina bevono il caffè. Una vita trascorsa insieme e in quella dedica traspare l’amore che lega la moglie all’anziano marito.

I lampedusani ci fanno tenerezza e un po’ li amiamo per questa loro semplicità, gente di cuore che da decenni vive col fenomeno della migrazione senza mai lamentarsi.

Rosi racconta Lampedusa attraverso la storia di Samuele, dodicenne che va a scuola, ama la sua fionda e con essa va  a caccia, dopo aver fatto i compiti. Samuele è un bimbo libero che preferisce giocare sulla terraferma ed insegna al suo amico i segreti di come costruire una buona fionda, il trucco è nel costruirla con il legno giusto.

Carino Samuele quando afferma “ci vuole passione” nel parlare di come si costruisce la fionda.   

Samuele scopre di avere un occhio sinistro pigro, dal quale vede pochissimo, per tal motivo deve bendare l’occhio destro. In questo frangente dimostra la sua determinazione, si esercita con la fionda usando solo l’occhio pigro per colpire gli oggetti. Inizialmente non riesce a colpire il bersaglio ma pian pianino migliora perché il suo occhio recupera diottrie. Samuele ama vagare per la terraferma anche se il mare lo circonda, sostentamento degli isolani che vivono di pesca.

Il mare non regala agli isolani solo pesce ma tanti migranti.

Negli ultimi 20 anni sono arrivati migliaia di profughi. Molti di essi sono sotterrati nel cimitero e ti viene tristezza nel vedere le croci senza nome.

Il medico lampedusano, responsabile della prima assistenza, che ha accompagnato Rosi a Berlino, ci racconta che non puoi abituarti alla morte. Le autopsie eseguite sui piccoli, le donne incinte ti lacerano il cuore.

La bravura di Rosi è nell’essere riuscito a realizzare un documentario dove la quotidianità degli abitanti che ascoltano la radio e gli sbarchi di questa povera gente diventano un’unica realtà.

Nei barconi o carrette di mare vi è la 1^ classe, la 2^ classe e infine nella stiva la 3^ classe.  In base a quanto puoi permetterti di pagare vai in una delle tre classi. Vi è una differenza di classe là dove non può esservene e là dove non esiste alcuna classe.

Molti muoiono, il viaggio è lungo e pieno di insidie:  disidratazione, ustioni da nafta (quando viene versata nel motore e fuoriesce, i migranti sdraiati o seduti a terra si ustionano), poco cibo e talvolta stupri da parte degli scafisti.

Un’immagine che ci colpisce è la stiva con i corpi di chi non ce l’ha fatta. Inizialmente ho fatto fatica a comprendere: abiti, tanta sporcizia, corpi riversi a terra privi di vita.

Che differenza vi è tra questa immagine e quella del campo di sterminio mostrata nel superbo film “Il figlio di Saul”?

Ci fa sorridere il torneo di calcio “Coppa d’Africa” tra le varie nazioni, che i sopravvissuti organizzano al centro di prima accoglienza. Ci fa intristire il canto rap di un nigeriano che, in inglese, racconta il suo viaggio dalla partenza sino all’arrivo a Lampedusa.,

Rosi è stato premiato a Berlino, ho esultato.

Che bello vedere sul palco il dottore, Samuele col suo elegante vestito e gli altri che insieme a Rosi hanno ritirato l’oscar.

Il documentario non ha nulla da invidiare ai capolavori del realismo italiano, bello, commovente rende merito ai lampedusani che, come tutti gli isolani, raccolgono ciò che il mare loro regala.

Come ci dice il medico lampedusano nel 1990, nel primo sbarco, arrivarono tre africani. Nel 2016 arrivano a centinaia, anzi a migliaia.

L’Europa deve prendere coscienza sia della grandezza dei lampedusani, che da anni accolgono i migranti, sia della grandezza del fenomeno migratorio.

Tutti dovrebbero vedere questo documentario, soprattutto il pubblico straniero che ben poco sa di ciò che succede nei nostri mari e dell’enormità del fenomeno, per comprendere la vita di questi poveri migranti e di ciò che affrontano per cercare di dare una vita migliore ai propri cari. I migranti, come tutti noi, sono genitori o figli di qualcuno.

Nessuno è felice di lasciare la propria terra, i propri cari e andare a vivere da povero in nazioni dove sei visto come un estraneo che ruba il lavoro e anche peggio.

Speriamo che questo documentario faccia cambiare la situazione nel tempo e non sia solo un momento di fugace commozione.

ANGY

 

 
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