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Post N° 273

Post n°273 pubblicato il 27 Ottobre 2005 da dade_vagheggio

Il passaggio dalla vecchia mafia alla mafia imprenditrice non fu incruento. Come sempre i regolamenti di conti e i processi di rinnovamento vennero raggiunti con il sangue. All'inizio degli anni Ottanta scoppiò infatti la grande guerra di mafia che porterà al potere il gruppo tutt'ora egemone: i Corleonesi di Totò Riina, in principio rappresentati in Commissione dal "Papa" della Mafia, Michele Greco, della famiglia di Ciaculli, località alle porte di Palermo.

La guerra fu condotta con una violenza inaudita. In seguito si disse che questa era una novità, che la vecchia mafia usava metodi meno violenti, e che la nuova mafia aveva perso il vecchio "senso dell'onore". A smentire questa versione stanno però i resoconti storici che risalgono fino al secolo scorso, e che da sempre narrano l'estrema violenza nella soluzione dei rapporti di forza tra le cosche. Anzi, è tradizione immutata nella mafia che l'affermazione personale avvenga sempre attraverso la violenza direttamente esercitata.

L'idea che a volte si ha dei capi mafiosi come "menti" raffinate, che vivono ad un altro livello rispetto agli esecutori dei loro voleri è del tutto sbagliata (Falcone, Arlacchi). Anzi, caratteristica peculiare della mafia, rispetto ad altre forme di criminalità di alto livello, è proprio questa identità tra mandanti ed esecutori, così che si diventa capimafia solo passando attraverso i crimini più efferati, e spesso sono gli stessi capi che partecipano direttamente alle azioni più importanti.

Alla guerra di mafia si associò anche una serie di "delitti eccellenti" che non aveva pari con la precedente storia di Cosa Nostra. Cosa era successo? Fino alla fine degli anni Settanta lo Stato aveva convissuto con la mafia in maniera piuttosto pacifica. Vi erano dirette connessioni tra potere politico e mafia, come abbiamo visto, ma vi era anche una certa tolleranza da parte della magistratura, delle forze di polizia, e persino della classe imprenditoriale nei confronti di un'associazione che garantiva una certa pace sociale, il controllo delle altre forme di criminalità, ed alla quale venivano lasciati in cambio ampi spazi d'azione.

Per svariate ragioni difficili da riassumere in poche righe, la società siciliana, sul finire degli anni Settanta, cominciò a ribellarsi a questo stato di fatto, e nella magistratura, nella società civile, e persino nella politica cominciarono a esserci voci contrarie alla mafia.

La prima reazione delle cosche fu quella di eliminare chiunque si opponesse seriamente al loro strapotere, approfittando anche del fatto che spesso queste persone erano isolate e poco protette negli stessi ambienti in cui vivevano. Iniziò così la stagione dei delitti eccellenti. Si cominciò nel 1979 con il giudice Cesare Terranova, appena tornato alla magistratura attiva dopo essere stato deputato per il PCI e membro della Commissione antimafia. Seguirono, tra i magistrati, gli omicidi di Gaetano Costa (1980), appena nominato procuratore a Palermo, e Rocco Chinnici (1983), capo dell'Ufficio istruzione di Palermo e diretto superiore di Falcone, al quale per primo aveva dato lo spazio necessario per le indagini antimafia. Tra i politici, nel 1980, di particolare significato fu l'omicidio di Piersanti Mattarella, democristiano, da poco nominato presidente della Regione Sicilia confidando nel fatto che il padre, Bernardo, aveva avuto nel passato "pacifici" rapporti con la mafia. Il cambiamento culturale che stava avvenendo in Sicilia passava però anche all'interno delle famiglie, ed il giovane Piersanti si diede subito da fare per isolare i comitati d'affari politico mafiosi nella Regione, pagando con la vita questa scelta. Ancora tra i politici, fu ucciso Pio La Torre (1982), segretario regionale del PCI, da sempre attivo nella lotta antimafia.

Anche le forze dell'ordine pagarono caramente il nuovo clima di opposizione alla mafia. Furono uccisi il vicequestore di Palermo Boris Giuliano, gli ufficiali dei carabinieri Giuseppe Russo e Emanuele Basile, e i dirigenti di polizia Beppe Montana e Ninni Cassarà. Nel settembre 1982 fu ucciso il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa con la sua giovane moglie, da 100 giorni nominato prefetto di Palermo, ed ancora in attesa di quei poteri speciali che aveva richiesto per combattere più efficacemente la mafia, e che il governo aspettò troppo a lungo a concedergli.

 
 
 
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Un blog di: dade_vagheggio
Data di creazione: 06/08/2005
 

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