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NEONATI ABBANDONATI IN ITALIA 3000 BEBE'

Post n°981 pubblicato il 22 Febbraio 2012 da dammiltuoaiuto
 

NEONATI ABBANDONATI

 

ROMA - In Italia sono circa 3mila all’anno i neonati abbandonati e ritrovati (soprattutto vivi, ma anche morti): il 73% è figlio di italiane, il 27% di immigrate, prevalentemente tra i 20 e 40 anni; le minorenni risultano solo il 6%. Lo riferisce la vicepresidente della Commissione pari opportunità tra uomini e donne del Ministero pari opportunità, Lucia Borgia, annunciando il successo della campagna informativa contro l’abbandono dei piccoli e dicendo un secco “no” al ripristino della “ruota”: “Sarebbe una delega del problema da parte dello Stato, un ritornare indietro. L’alternativa? Campagne informative e potenziamento dei servizi, ospedali più informati sul parto in anonimato, aiuti alla gravidanza e assistenza alla donna in difficoltà, una rete di solidarietà”.
Un rifiuto del buonismo, dunque?
“Occorre assistenza prima che il fatto (l’infanticidio) accada; ci vogliono pietà, comprensione ma anche solidarietà. Non è questione di tolleranza, ma un dovere sociale. Puntare il dito contro le mamme che abbandonano i loro figli mi fa ribrezzo. Non si è mai vista una mamma che abbandoni il figlio battendo le mani. Non è una questione non di buonismo ma di realismo”.
 
Purtroppo in queste settimane si moltiplicano i casi di abbandono e di presunto infanticidio: è di ieri la notizia del cadavere di un bimbo ritrovato in un armadio. La giovane madre romena, badante, forse temeva di perdere il lavoro, oppure il bimbo è nato morto, ma il cadavere è stato nascosto per occultare il parto... Secondo lei questi fatti tragici sono in aumento con la crescita delle immigrate?
“Abbiamo assistito a 5-6 casi del genere negli ultimi giorni: ma non si tratta di un fenomeno del nostro tempo. A Venezia esiste tuttora quello che un tempo era chiamato ‘Ospedale della pietà’, e che dal 1335 ha ospitato decine di migliaia di bambini abbandonati; tra il 1754 e il 1899, quando fu abolita la ruota, vennero raccolti 32mila carte e segnali lasciati nelle fasce dalle madri (medagliette spezzate, santini, indumenti, ecc.) per ritrovare successivamente i figli, ora conservati in un grande armadio. D’altra parte, non bisogna pensare che oggi il fenomeno sia in aumento con la presenza crescente delle immigrate: lo dicono i dati da noi raccolti attraverso le associazioni e il monitoraggio sui territori. L’abbandono dei minori riguarda tutti i ceti sociali; l’unica costante è la solitudine della donna, anche dove c’è informazioni e cultura, insieme alla paura del giudizio in casa, in famiglia, ancora più forte nei piccoli paesi. Molte italiane – oltre alle straniere - non sanno che ci sono diversi modi per partorire in anonimato, che si possono ricevere assegni di maternità dai Comuni; per le straniere scatta il divieto di espulsione nei primi 6 mesi del nascituro, poi si può chiedere un permesso di soggiorno per motivi di salute. Il parto in anonimato si dà troppo per scontato: a volte è un percorso difficile, sia perché gli ospedali non sono informati, sia perché la donna si ritrova sola a dover affrontare questo momento, abbandonata dai familiari e dalla comunità di origine; la non conoscenza della lingua italiana, la povertà, lo scarso inserimento sociale rappresentano ulteriori ostacoli”.
 
Come sta procedendo la campagna di sensibilizzazione contro l’abbandono dei neonati da voi lanciata alcuni mesi fa?
“La campagna informativa in 5 lingue (italiano, inglese, francese, spagnolo, arabo) promossa dalla nostra Commissione, presieduta dal ministro Prestigiacomo, sta andando avanti. Non è rivolta solo alle mamme e alle gestanti, ma a medici, infermieri, gente comune. Bisogna aiutare le donne in difficoltà a non commettere un crimine; se si lascia una persona sola, si diventa conniventi. Non incitiamo le mamme ad abbandonare i figli: sarebbe una battaglia di retroguardia e di sconfitta; vogliamo tutelare la madre e il bambino. Si tratta una campagna attesa, arrivata fin troppo tardi; oltre al convegno del 13 luglio scorso a Roma, ne abbiamo programmati altri due a Milano (a fine novembre) e a Siracusa il 5 dicembre. Siamo interpellate come Commissione dagli Enti locali, che organizzano incontri su questo tema. Inoltre sono state già spedite a firma del ministro Prestigiacomo centinaia di lettere a sostegno della campagna ad assessori regionali, Asl, aziende ospedaliere, Caritas diocesane, consultori materno-infantili, associazioni femminili, assessori comunali alle politiche sociali. Infine gli opuscoli informativi, già diffusi su tutto il territorio nazionale in circa 400mila, sono stati inviati anche (altre 500mila copie) ai centri di ascolto presso le parrocchie e le associazioni che hanno il compito di tutelare le gestanti in difficoltà, che spesso si rivolgono a loro per paura delle istituzioni”.
Quando si concluderà la campagna?
“Non pensiamo di chiuderla; non è esaustiva, vuole essere un inizio. Abbiamo ricevuto riscontri positivi da parte di enti locali e Asl, una certa attenzione e risalto; intendiamo insistere per anni con questa buona pratica. Ben vengano altre iniziative di questo genere, sia ecclesiali che laiche”.
A livello di assistenza, cosa può fare lo Stato per queste donne in difficoltà?
“Abbiamo il welfare e il sistema sociale, ma molto sofisticato e complicato, anche se moderno. Le leggi ci sono ma non si conoscono e le straniere non sanno usufruirne, ma anche le italiane; da alcune la gravidanza indesiderata viene vista come la fine della vita non solo della mamma, ma anche del resto della famiglia. I contraccettivi ancora oggi sono talvolta criminalizzati; invece bisogna diffondere una cultura della procreazione responsabile, mettere la persona in grado di usare l’organizzazione sociale e di pretendere di essere assistita. Per quanto riguarda gli assegni di maternità, la donna ha diritto a 1.747 euro l’anno erogati dall’Inps entro 6 mesi dalla nascita del bambino; i Comuni riconoscono assegni di maternità per madri italiane e straniere con 283.82 euro mensili per 5 mesi. Chi non è residente in Italia può iscriversi al Servizio sanitario nazionale e ottenere la residenza. Si può chiedere consiglio ai centri di ascolto presso associazioni religiose, femminili, i Comuni. Certo, ci vorranno anni per diffondere questo tipo di cultura. Il nostro vuole essere solo un inizio”. (lab)

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