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Anche se in ritardo, desidero augurare a tutte le ragazze un BUON OTTO MARZO, soprattutto a quelle che vivono condizioni disagiate o disperate. Qui di seguito vorrei riportare alcune considerazioni sulla situazione della donna nei paesi mussulmani. Le considerazioni sono tratte dal sito www.asianews.it . Il neretto è mio. Non voglio nascondere le discriminazioni e le privazioni cui le ragazze sono vittime anche nel mondo occidentale. Voglio però evidenziare il livello - indiscutibilmente più basso - di comprensione e risoluzione del problema che si avverte nei paesi a cultura mussulmana. Senza cadere in razzismi ed aprioristiche semplificazioni, voglio solo dire che sarebbe bello per tutto il mondo - a partire da quella parte del mondo più "arretrata" - riconoscere la grandezza del genio femminile. BUON OTTO MARZO! Per la giornata mondiale delle donne, la Federazione delle donne turche (TKCF), appoggiata da alcune università e organizzazioni non governative ha indetto una grande manifestazione a Smirne, città sulla costa Egea, candidata ad Expo 2015, e patria del “kemalismo”, per chiedere uno Stato realmente laico - in contrapposizione alla legge che liberalizza l’uso del velo nelle università, ma che poi non tutela concretamente i diritti delle donne. Tema portante dell’evento sarà la commemorazione dell'opera di Mustafa Kemal Ataturk che fondò il moderno Stato turco e si fece promotore di numerose riforme per fare acquisire alle donne una maggiore parità. Malgrado gli sforzi delle autorità, infatti, è da riconoscere che la condizione femminile in Turchia è ancora lontana dagli standard occidentali. Mentre il quadro giuridico in materia di diritti delle donne è in generale soddisfacente, è l’attuazione concreta nel quotidiano che è imperfetta, ambigua e ancora piena di contraddizioni. Le donne in Turchia rappresentano circa il 50% della popolazione attiva ed occupano posti importanti nella società (come in borsa o a servizio delle nuove tecnologie), ma complessivamente il loro tasso di analfabetismo è tre volte maggiore di quello degli uomini e i loro diritti vengono continuamente messi in discussione. Hanno ottenuto il diritto di voto nel 1934, undici anni prima delle donne italiane, eppure i delitti sessuali non sono ancora considerati come attacchi alla persona umana ma piuttosto contro "la decenza pubblica e l'ordine familiare". Secondo recenti statistiche indette dalla suddetta Federazione l’87% delle donne subisce violenza all’interno della propria famiglia: nel 34% dei casi si tratta di violenza fisica e di queste per il 16.3% si tratta di violenza sessuale abituale, mentre per il 53% è verbale. Il 40% delle donne turche subiscono matrimoni combinati, mentre il 20% sono sposate irregolarmente e quindi senza alcun riconoscimento da parte dello Stato. Il 64% delle donne incinta non ha mai fatto un controllo prenatale. Il 20% delle donne non sa scrivere né leggere, su cento donne che hanno studiato, solo due hanno il diploma superiore e tra coloro che hanno frequentato il liceo, di età compresa tra i 15 e i 24 anni, il 39.6% sono disoccupate. Solo il 25% delle donne lavora (contro una media UE del 55%). Sottolineano inoltre con preoccupazione che la legge sulla protezione della famiglia viene applicata solo parzialmente dalle autorità civili. Come al solito, dunque, ancora prima delle promesse dei politici è la solidarietà tra donne a tener desta l’opinione pubblica e a cercare soluzioni concrete. E’ la quarantenne Arzuhan Yalçındağ, presidente della Condinfustria turca (TUSIAD), ad esempio, approfittando della sua posizione sociale, a farsi promotrice delle donne. Visitando varie città della Turchia, dal nord al sud, dall’est all’ovest, trova la forza di denunciare le discriminazioni, sostenendo che “il modo migliore per ovviare alla discriminazione nei confronti delle donne consiste nell'introdurre misure temporanee di discriminazione positiva, come per esempio favorire la partecipazione politica femminile in Turchia e sul mercato del lavoro, creando una nuova immagine della donna nella società”. Sostiene inoltre che uno dei problemi connessi alla partecipazione delle stesse alla forza lavoro, è la “mancanza di un sistema istituzionalizzato, generalizzato, accessibile e abbordabile di infrastrutture per la cura dell'infanzia, dei familiari anziani e disabili che obbliga le donne a sobbarcarsi questi bisogni nel privato della loro casa”. Non a caso Cemile Bitargil, donna energica, cristiana convinta, casalinga e madre di tre figli, è stata la prima a fondare nell’Hatay, regione nel sud della Turchia a confine con la Siria, la prima casa per disabili mentali, atta ad un loro inserimento nella società, quando ancora negli anni ottanta essi venivano considerati “maledizione di Dio” e quindi tenuti segregati e nascosti, ed a dare un appoggio umano e morale alle loro famiglie mediante traning appositamente studiati. E Nazire Kil, anch’essa greco ortodossa, dopo tanti anni vissuti in Germania come sarta, è rientrata in patria e ora da pensionata dà un grande sostegno economico e umano a diverse case di riposo per anziani che cominciano a prendere piede nel Paese. “Tutto ciò dimostra - dice con convinzione Nazire – che il problema non è questione di velo, usato, purtroppo, non solo per coprire il capo femminile, bensì tante ben più profonde discriminazioni sui diritti delle donne”. Donne che studiano, gestiscono i soldi della famiglia e lavorano, ma che subiscono matrimoni combinati, discriminazioni politiche e soprusi in campo sessuale. E’ la condizione femminile nei Paesi arabi, tutt’altro che omogenea, e all’emancipazione e al progresso si alternano abusi e violazioni. Oggi a New York si conclude la 52esima sessione del ciclo di incontri organizzati dalla Commissione ONU sullo stato delle donne. In molti Stati le donne vengono violate nei loro diritti e il panorama offerto dal Medio Oriente è piuttosto variegato. Secondo Haifa Fahoum al-Kaylani, fondatrice del Forum internazionale per le donne arabe, il mondo femminile nei Paesi arabi ha conquistato significativi traguardi: dalle sponde tunisine fino all’Iran il numero delle laureate in medicina, farmacia e legge è cresciuto esponenzialmente. Si calcola infatti che circa il 70% dei laureati nel mondo arabo siano donne. È di pochi giorni fa la notizia che in Egitto la carica di Ufficiale di stato civile addetto alle cause matrimoniali è stata assegnata proprio alla 32enne Amal Selim. È la prima donna a ricoprire tale carica in Egitto, dove nell’ultimo anno 30 donne sono state nominate giudici. È anche vero però che nelle sfere economiche e politiche la presenza delle donne è decisamente limitata e in alcuni Paesi la cultura patriarcale è causa di persistenti discriminazioni. Il Kuwait sembra essere uno dei Paesi con la più bassa rappresentanza di donne in parlamento e secondo Salwa Al Jassar, responsabile del Centro di emancipazione femminile, le donne in Kuwait pur essendo istruite e spesso molto ricche sono lontane dall’ottenere equità in politica, e né i poteri legislativi né gli esecutivi sembrano avere particolare interesse nel accelerare il processo. Simile panorama nello Yemen, dove giovedì 1 marzo durante il Forum delle Sorelle arabe per i diritti umani, le partecipanti hanno invitato la società civile e i media a mobilitarsi per fare luce e pressione sull’ingiusta condizione di inferiorità a cui il genere femminile è relegato. In risposta all’appello lanciato dalla Commissione ONU riunita a New York per garantire una maggiore attenzione e una promozione delle donne, il Qatar ha promesso di aprire la strada all’uguaglianza tra i sessi a tutti i livelli. In Arabia Saudita invece la risposta data alla Commissione ONU per l’eliminazione della discriminazione femminile dalle donne appartenenti ad una delegazione mista, sembra smentire la percezione che le donne del Regno saudita siano cittadine di seconda classe sottomesse ad una cultura ipocrita e patriarcale. Secondo alcune saudite infatti le donne stanno emancipandosi: “Possiamo viaggiare da sole”, dice Lubna Al-Ansari, che afferma di avere ottenuto il permesso dal marito. Un membro maschile della stessa delegazione, commentando la legge vigente sulla poligamia, ha detto che essa in realtà riduce a quattro il numero di donne che un uomo può sposare. Secondo il delegato inoltre, un uomo sceglierebbe di sposare più donne sia per soddisfare un forte desiderio sessuale (?), che per fare un’ “azione umanitaria”, dato che le donne sposate ottengono una sicurezza economica. Secondo la Commissione ONU, la folta delegazione saudita è un tentativo di mascherare l’effettiva discriminazione femminile che spesso si traduce in ingiuste punizione di donne abusate e innocenti. Hillel Neuer, direttore esecutivo della Commissione ONU ha commentato: “Molte delle risposte fornite da delegate e delegati parlano da sé. Invece di mandare delegazioni per convincere l’ONU che la piaga della discriminazione femminile in Arabia Saudita non esiste, il governo di Riyadh dovrebbe fare di tutto per riformare le leggi discriminatorie che hanno reso possibile condannare alla frusta una donna vittima di violenze sessuali”.
Nel 2007 sono aumentate in Pakistan le violenze gravi contro le donne: secondo il rapporto del Madadgar Research and Database Centre, ci sono stati 7.870 casi di violenza sessuale con omicidio, suicidi e applicazione delle “ordinanze Hudood” (per le quali la donna vittima di violenza carnale può essere accusata di “sesso extraconiugale” e arrestata), contro i 7.564 del 2006. Firdous Chaudhry, coordinatore dell’Organizzazione delle donne cattoliche pakistane (Pcwo), dice che anche per questo hanno previsto per oggi, Giornata mondiale della donna, oltre a mostre e feste, anche un dibattito sulle discriminazioni subite dalle donne pakistane. Sotto accusa anzitutto le autorità pubbliche, che non fanno abbastanza. “Le donne cristiane – spiega – sono discriminate tre volte: perché fanno parte di una minoranza religiosa, di una società poco sviluppata e in quanto donne”. Per questo la Pcwo opera per rendere le donne più consapevoli dei loro diritti e per fornire un aiuto legale e sociale alle vittime di violenze. E’ pure critica Shazia Naz, avvocatessa cristiana, che conferma come “le donne sono ancora discriminate sul lavoro e uccise in nome del cosiddetto onore”. Dice che gli emendamenti delle leggi Hudood sono stati soltanto “cosmetici” e anche la legge del 2006 per la Protezione delle donne non ha portato effettivi miglioramenti. Nei tribunali penali la testimonianza di una donna è ancora considerata valere la metà di quella di un uomo. Dal marzo 2007 ad oggi, sono aumentate del 40% le violenze fisiche denunciate contro le donne in Afghanistan, secondo fonti delle Nazioni Unite.Tra le cause, la Commissione indipendente afgana per i diritti umani (Aihrc) dice che in larghe parti del Paese è diminuita la sicurezza mentre cresce una convinzione di impunità, le istituzioni pubbliche sono spesso deboli e c’è molta povertà. Ma sono anche cause culturali, come la costrizione a sposarsi contro la propria volontà. Allarmanti i dati di Womankind Worldwide, gruppo caritatevole britannico, secondo il quale l’80% delle donne afgane subisce violenze domestiche, oltre il 60% dei matrimoni sono forzosi e metà delle donne si sposa prima dei 16 anni. Suraya Subhrang, membro di Aihrc, commenta che “nonostante 6 anni di retorica internazionale sull’emancipazione delle donne afgane, nessun effettivo cambiamento ha interessato la vita di milioni di donne”. Il gruppo ha riscontrato 626 tentativi di suicidio di donne nel 2007, con 130 morti, molti collegati a violenze fisiche e morali. Ancora peggiore è la situazione sanitaria, con 1.600-1.900 donne su 100mila che muoiono di parto, percentuale seconda solo alla Sierra Leone. Secondo dati ufficiali Onu, ogni anno nel Paese muoiono almeno 24mila donne per parto e infezioni collegate e si stima che l’87% dei decessi potrebbe essere evitato. Oltre il 70% delle donne non ricevono assistenza medica durante la gravidanza, il 40% non ha accesso a cure ostetriche d’emergenza e il 48% soffre per carenza di ferro. |
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