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Birmania, 27mila morti e 41mila dispersi
Rangoon, 6 maggio 2008 Il ciclone Nargis, che ha devastato la Birmania sabato scorso, ha provocato oltre 22mila morti e 41 mila morti, secondo un bilancio ufficiale. Per ActionAid, una organizzazione umanitaria che opera sul posto, le vittime sarebbero 27mila. Le Nazioni Unite parlano di centinaia di migliaia di senzatetto, ma potrebbero ben presto risultare milioni, almeno tre, secondo un'altra organizzazione umanitaria, Save the Children, che fa una previsione ancora piu' disastrosa sul numero dei morti, potrebbero arrivare a 50 mila. Rinviato al 24 maggio il referendum sulla Costituzione Il portavoce della Lega, Soe Aung, ha accusato a Bangkok le autorità birmane di non aver allertato per tempo la popolazione sui rischi legati all'arrivo del ciclone, proprio perché "completamente dedite alla preparazione del referendum". "Il referendum è molto importante per loro, perché pretendono di servirsene per consolidare il loro potere per sempre. Semplicemente non hanno prestato alcuna attenzione al ciclone", ha aggiunto. La Cina, tradizionale alleato della giunta birmana, ha annunciato di aver già inviato aiuti per un milione di dollari. Squadre di esperti dell'Onu intanto hanno iniziato a fare sopralluoghi delle zone colpite, ma un portavoce delle Nazioni Unite a Bangkok, Richard Orsey, ha avvertito che far arrivare gli aiuti, soprattutto nella zona del delta dell'Irrawaddy, rappresenta una "grande sfida". Occorrono subito ripari di emergenza e soprattutto acqua potabile per diminuire il pericolo di epidemie, ha detto. La World Vision, una Ong australiana già presente in Birmania con uno staff di circa 500 persone, ha detto che altri 25 suoi specialisti stanno per recarsi nel Paese. Un responsabile della Ong, Kiy Minn, ha detto che "le conseguenze della catastrofe potrebbero essere peggiori dello tsunami" che il 26 dicembre 2004 provocò 230.000 morti e oltre 40.000 dispersi in vari Paesi dell'Asia meridionale. 15 italiani rientrano sani e salvi da Myanmar Libertà dal terrore e dalla paura L’appello lanciato recentemente dall’Ex Presidente della Repubblica Ceca Vaclav Havel e dal Premio Nobel della Pace Desmond Tutu con la pubblicazione del rapporto sulla gravissima violazione dei diritti umani fondamentali in Birmania, non può essere ignorato. La Birmania è un paese martoriato da decenni di violenta dittatura che ha imposto l’arbitrio come legge e come modalità di governo. Un paese che ha raggiunto il triste primato di essere il primo produttore di metanfetamine al mondo, il secondo per produzione di oppio, il primo per bambini soldato e numero di persone costrette al lavoro forzato. Un paese in cui la più autorevole leader politica e Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi è sottoposta dal 1989, tranne alcune interruzioni, agli arresti domiciliari. Da troppo tempo si chiede inutilmente la liberazione della Premio Nobel della Pace Aung San Suu Kyi e degli altri leader politici, sindacali e religiosi, la cancellazione del lavoro forzato e degli altre violazioni dei diritti umani fondamentali e l’avvio di un serio dialogo tripartito con il coinvolgimento di tutte le parti interessate, procedure e scadenze condivise. Gli effetti nefasti di questa dittatura non colpiscono solo la intera popolazione del paese, ma hanno pesanti ripercussioni politiche, sociali, e per di più anche di sicurezza, in tutta la regione e sul piano internazionale. L’Assemblea Generale ONU ha approvato ben 14 risoluzioni consecutive sulla Birmania. La Commissione ONU per i diritti umani ha approvato 13 risoluzioni consecutive. Tali risoluzioni chiedono l’avvio di negoziati tra la giunta militare al potere e il movimento democratico guidato dall’unico Premio Nobel per la pace in carcere: Aung San Suu Kyi e dai rappresentanti delle minoranze etniche, per la riconciliazione nazionale pacifica e la democrazia. Sia al rappresentante speciale di Kofi Annan: Ismail Razali, che al Prof. Pinheiro, Relatore Speciale della Commissione per i diritti Umani è stato vietato l’ingresso in Birmania, mentre al rappresentante OIL in quel paese viene limitato al minimo lo spazio di azione e movimento volto a sostenere la eliminazione del lavoro forzato. Chiediamo pertanto con urgenza, al parlamento italiano, al governo, ai rappresentanti italiani presso il Parlamento Europeo e presso le altre istituzioni internazionali, di far si, come richiesto dall’ex Presidente Ceco Vaclav Havel e da Mons. Desmond Tutu, che: “ il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite esamini con urgenza la situazione birmana. La salvaguardia della pace, della sicurezza e della stabilità in questa regione e nel mondo ed il conseguimento della riconciliazione nazionale in Birmania non meritano nulla di meno”. Chiediamo pertanto che Il Consiglio di Sicurezza ONU approvi una risoluzione sulla Birmania, che obblighi il regime militare a lavorare con il Segretariato Generale dell’ONU per la messa a punto di un piano nazionale di riconciliazione; che vi sia un resoconto periodico al Consiglio di Sicurezza; che gli aiuti umanitari possano liberamente e senza condizioni raggiungere le persone più bisognose e che si ottenga la liberazione immediata della Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi. Inoltre, così come richiesto dall’ NLD, il partito di cui è leader la Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, ci appelliamo ai paesi membri del Consiglio di Sicurezza ONU, affinché non esercitino il loro potere di veto, contro l’ inserimento di questo punto all’ordine del giorno, sostenendo, viceversa, le proposte avanzate nel Rapporto stesso. Hanno già firmato: Savino Pezzotta Walter Veltroni Paolo Pobbiati presidente Amnesty International Italia Fulco Pratesi FIRMA ANCHE TU L'APPELLO |
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