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L'ENI in Toscana - parte prima

Post n°668 pubblicato il 31 Agosto 2009 da dammiltuoaiuto
 

L'ENI in Toscana - parte prima

Le "colline metallifere" sono una zona della Toscana, a cavallo fra le provincie di Livorno, Pisa, Siena e soprattutto Grosseto, ricche di metalli ferrosi e di rame. Fino al 1980 queste colline erano le maggiori produttrici di pirite d'Europa.

La pirite e' il cosiddetto oro degli sciocchi, di formula chimica FeS2, da cui inizialmente si ricavava ferro. Il processo di lavorazione pero' e' molto complesso a causa delle numerose impurita' ed e' difficile ottenere una buona qualita' del prodotto finale. Cosi, in tempi piu' vicini a noi, la pirite venne usata soprattutto per ricavarci acido solforico (H2SO4). La piu' grandi ditta produttrice di questo acido, in Toscana e in Italia, era la "Nuova Solmine" del gruppo ENI.

L'H2SO4 e' usato in vari processi industriali, fra cui la creazione del vetriolo, di fertilizzanti e per metterlo dentro le batterie delle macchine. Gli scarti ferrosi che provengono dalla lavorazione di questo acido - dette ceneri di pirite - sono spesso contaminate da metalli pesanti e tossici, fra cui arsenico, mercurio, piombo e rame. Gli stessi che impediscono di ottenere ferro di buona qualita'.

La logica vorrebbe che queste ceneri tossiche fossero smaltite per bene.

Una delle miniere piu' grandi era la Miniera di Campiano, nel comune di Boccheggiano, in provincia di Grosseto, gestita dalla Campiano Mineraria, al 100% anche lei controllata dall'ENI.

Uno dei problemi piu' grandi per l'ENI, era lo smaltimento di queste ceneri di pirite. Avevano gia' chiesto alla regione Toscana di depositarle nella vicina Scarlino, accanto ad una falda acquifera di circa tre chilometri quadrati. Li vicino c'erano campi di cereali, orti e allevamenti di animali.

La regione disse si.

Ma lo spazio di Scarlino non basta, ce n'e' troppa di cenere. E allora cosa fare?

L'ENI decide di definire questi scarti tossici materiali "sterili e riutilizzabili" e nel 1986 convincono la regione ad usarli per inertizzare le discariche, per asfalti nelle strade e per riempirci cave e miniere.

A partire dai primi anni '90 ci riempiono pure la miniera semi-abbandonata di Campiano, 800 metri sottoterra, 35 chilometri di lunghezza, immersa fra boschi, lontana dalle persone, un segreto fra i sentieri. E chi mai andra' a controllare?

La USL lancia un timido allarme che queste ceneri fanno male, ma l'ENI continua imperterrita a fare cio' che vuole. La regione e' latitante. Per anni l'ENI stocca rifiuti con tutti i veleni incorporati nelle viscere della Maremma.

Ben 67,000 metri cubi di monnezza tossica. Tutto smaltito illegalmente, in silenzio, avendo cura di dare del matto o del catastrofista ai pochi che vedevano, capivano, denunciavano.

Gli scarichi continuano per anni. I rifiuti sono talmente corrosivi che i camionisti sono costretti tutte le sere a lavare le cisterne dei camion a causa della possibile corrosione delle lamiere.

Ora, in quella miniera c'erano delle pompe che servivano a drenare l'acqua che naturalmente andava a confluirci dentro. E' bene drenare quell'acqua perche' altrimenti finisce per allagare la miniera e tutti quegli scarti tossici, e con le reazioni chimiche chissa' che mostro poteva essere partorito.

E infatti per vari anni il drenaggio venne compiuto. Nel 1996 pero' l'ENI decide di chiudere la Miniera di Campiano definitivamente. Non viene fatta nessuna bonifica.
Chiudono e basta. Tutta la monnezza che c'era, resta li, in balia degli eventi.

Cessano pure le operazioni di pompaggio dell'acqua del sottosuolo. Gli ex-minatori che di quella miniera sanno tutto, scongiurano di non farlo, ma l'ENI non vuole sentire ragioni.

L'acqua inizia a salire, la miniera si allaga. Il contatto dell'acqua con i rifiuti inquina le falde idriche sotterranee. Italia Nostra fa fare delle analisi private, alcuni professori universitari sollevano domande e persino una perizia alla pretura di Grosseto.

Tutto viene liquidato con superficialita'. Va tutto bene. Non ci sono problemi. La vita e' bella.

E sarebbe tutto rimasto cosi' se non fosse che nel 2001, improvvisamente il fiume Merse che scorreva li vicino, a 600 metri d'altezza, diventa rosso fuoco, si riscalda a 37-38 gradi. Uno scenario apocalittico, mai visto prima.

La miniera iniziava a sputare veleni fangosi al ritmo vertiginoso di 18 litri al secondo di robaccia direttamente nel fiume. Tutto esplode, sui giornali, fra l'indignazione della gente e degli amministratori. Molte persone andavano li a farsi il bagno e a pescare regolarmente.

Ecco qui come appariva l'acqua del Merse



Rosso e veloce come il sangue, in mezzo al verde dei boschi

Infili la mano e quasi ti scotti. Una melma colore ruggine, densa. Il fondo del fiume, in parecchi punti, non si vede piu'. In altri, piano piano, si sta sedimentando l'orrenda fanghiglia. Uno scenario da racconto di fantascienza, da pianeta rosso, da Marte e da avventure in altri mondi.

Sara' difficile, sempre piu' difficile, pescare trote, cavedani o barbi da queste parti. Difficile perche' chissa' che fine faranno questi pesci.

Subito, un odore fortissimo di ferro ti arriva alle narici. E l'acqua... Acqua? Ma quale acqua. C'e' solo una fanghiglia colore ruggine, che chissa' quali veleni contiene. E poi avanzi di macchianri adoperati in miniera. Imergiamo una mano nella fanghiglia. E' caldissima.


Nel 2001 la Regione Toscana (e dunque i cittadini) stanzia 200 milioni di lire al mese per installare un depuratore d'emergenza.

Nel 2002 una tesi di laurea denuncia la presenza abnorme di arsenico e mercurio nei pesci. Analisi sucessive confermano che a Scarlino trovano quantita' arsenico nei molluschi al di fuori da ogni limite.

Si calcola che l'ENI ne abbia riversato circa 5,300 tonnellate nel corso degli anni.

L'arsenico e' cancerogeno.

Con molto ritardo, l'Agenzia regionale per l'ambiente e il territorio della Toscana, Arpat, afferma che le falde idriche sono sono inquinate.

Alcuni pozzi di acqua potabile sono stati chiusi per la forte presenza di mercurio.

La gente continua a pescare, a farsi il bagno, ignara di tutto.

Il responsabile di tutto questo e' l'ENI.

Nel corso degli anni hanno cercato di scaricare tutte le loro responsabilita', ed il pagamento di eventuali bonifiche, alla collettivita'.

Nessuno dell'ENI e' mai andato a processo per questo (ed altri) schifi in Maremma. Infatti, i misfatti non finiscono qui. Ne parliamo nelle prossime puntate.

Di tutta questa storia, il professor Roberto Barocci ha fatto un ottimo libro "Maremma Avvelenata."

La regione Toscana e' colpevole di leggerezza, di superficialita', di poca cultura preventiva, di poca curiosita', di poca attenzione a cio' che i pochi ma coraggiosi cittadini denunciavano.

Intanto in Abruzzo abbiamo dei veri campioni per l'ambiente. L'assessore regionale, Daniela Stati, impiegata, e' muta sul petrolio ed ha scarsissima preparazione sul tema. Quello provinciale, Eugenio Caporrella, geometra, e' preoccupato di non far perdere affari all'ENI. Il presidente di regione, Gianni Chiodi, ci ignora, quello regionale di Chieti, Enrico di Giuseppantonio prende esempio da Ponzio Pilato e non si pronuncia.

Andiamo avanti cosi. Pensiamo che in Abruzzo sara' diverso che in Maremma e l'ENI sara' una santa?

Fonti: Roberto Barocci.it, Corriere della Sera, Roberto Barocci.it 2, Indymedia Toscana

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