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L’appello di Suu Kyi al mondo “Isolate il regime birmano”

Post n°55 pubblicato il 28 Settembre 2007 da dammiltuoaiuto
 

L’appello di Suu Kyi al mondo “Isolate il regime birmano”

La Repubblica, martedì 12 gennaio 1999 - Intervista con il premio Nobel per la pace e leader dell’opposizione ai militari, che ha incontrato il segretario dei DS Veltroni - Di Stefano Citati

Rangoon - Aung San Suu Kyi ha un viso di solare bellezza e i capelli tenuti insieme da fiori gialli. La sua tranquilla forza è di solito rinchiusa in una villa di Rangoon. Il Fiore della Birmania non viene custodito come un tesoro, ma come il peggior nemico del regime militare che domina un paese dolce e bellissimo. Ma il premio Nobel per la pace è uscito; il simbolo della libertà birmana si è sottoposto ai controlli di rito, ha atteso che le forze di sicurezza gli concedessero di oltrepassare i posti di blocco e - seguito da due macchine e due moto militari - è arrivato all'ambasciata d'Italia a incontrare Walter Veltroni.

Il segretario dei Democratici di sinistra tiene in modo particolare a inaugurare il suo ruolo di leader del maggiore partito italiano con una missione «difficile», che gli ha permesso di conoscere «la persona che meglio riassume il tema della negazione dei diritti umani nel mondo».

L'impressione che i generali che comandano a Yangon – così è stata ribattezzata la capitale dello Stato il cui nome coloniale è stato cambiato in Myanmar - abbiano in antipatia le libertà fondamentali appare netta quando, entrando nell'ambasciata, un nutrito gruppo di fotografi mal nascosti tra i cespugli e nelle auto attorno, inquadrano i giornalisti negli obiettivi. Da agosto a nessun rappresentante della stampa è stato concesso un visto giornalistico. Chi ha tentato di incontrare Suu Kyi è stato immediatamente espulso. Poca cosa ri-petto a quel che accade al popolo birmano e ai suoi rappresentanti, eletti nel '90 - 396 deputati su 485 seggi - e da allora impossibilitati a riunirsi in Parlamento. Aung San Suu Kyi unisce in sé la placida rab-ia e la ferma volontà di cambiare una condizione che dura da oltre 35 anni, ed è andata peggiorando col tempo.

Signora Aung San, lei ha vissuto per più dl cinque anni agli arresti domiciliari, dal '95 è "sorvegliata speciale" del regime. Non vede suo marito da tre anni. Quanto le pesa questa lunga sfida ai generali?

«Non faccio nessun sacrificio. Questo è il mio ruolo; mi è del tutto naturale. È il mio destino. A seguirlo mi aiuta la mia religione. Tra i valori fondamentali del buddismo c'è la compassione, la condivisione delle sofferenze altrui. Io devo resistere e il popolo deve resistere. Dobbiamo farlo insieme. Questo è un regime che spende oltre il 60 per cento del Prodotto interno lordo in spese militari (i dati non sono certo ufficiali, ndr) e il 5 per cento per la scuola e la sanità. Il salario medio è di 7 dollari al mese. In alcune zone, al nord, dove gruppi armati delle minoranze etniche combattono ancora, i lavori forzati assorbono il 100 per cento della popolazione. Gli esponenti dell’opposizione vengono arrestati, imprigionati, deportati».

La voce chiara di Aung San Suu Kyi non ha tentennamenti. Gli occhi accompagnano le parole con improvvisi lampi di stupore o di ironia. Sembra avere molto meno dei suoi 54 anni - età che rappresenta quasi l'aspettativa media di vita nel paese - in gran parte vissuti in Gran Bretagna, prima di arrivare a Rangoon nell'89, per non lasciarla più (il marito è inglese e vive a Londra con i due figli). Spesso si consulta in birmano con i due anziani leader del partito, che la seguono con sguardo protettivo, per poi riprendere il discorso in un inglese dall'accento tenue.

Cosa può fare l'Unione europea per aiutarvi?

«Continuare a fare pressioni. E mantenere puntato lo sguardo sui generali; il regime non deve rimanere impunito. Le ingiustizie e le crudeltà commesse vanno continuamente condannate. Questo potere agisce in maniera peggiore di quello coloniale britannico, combattuto da mio padre. Le condizioni di prigionia sono terribili. Nelle carceri non si sopravvive senza gli aiuti che i sostenitori del nostro partito - National league for democracy (Nld), ndr - offrono e riescono a far giungere segretamente ai rappresentanti dell’opposizione. Perciò i generali devono sapere che il mondo li guarda e non possono impunemente commettere nefandezze».

Non teme di essere espulsa, allontanata dai suoi sostenitori?

«Deve essere chiaro, io non me ne andrò. Io sono birmana, solo birmana, ho rinunciato alla cittadinanza britannica proprio per non offrire scuse al regime. Non ho paura. E questo mi dà forza. Ma il popolo ha fame, perciò ha paura e così diventa debole».

Ma le sanzioni che lei appoggia, non rischiano di affamare il paese?

«Le sanzioni colpiscono solo i generali, perché solo loro approfittano degli investimenti. Penso a quelli turistici - gli alberghi sono controllati dal regime. Molti turisti visitano la Birmania: tanti sono italiani («siamo in cima alla lista dei paesi europei come numero di presenze», precisa Veltroni); forse vengono qui perché non conoscono bene la situazione. Forse sarebbe meglio se non venissero».

Il segretario Ds spiega che la campagna che verrà lanciata domani in Italia mirerà a rivelare come vanno le cose, magari coinvol-endo «i Premi Nobel italiani», «lavorando per una mozione di tutti i partiti in Parlamento» e incontrando gli altri leader europei». Veltroni ha portato alla leader dell'opposizione una lettera di Pierre Mauroy, presidente dell'Internazionale socialista, alla quale l'Npd è affiliata.

Quali sono le vostre richieste per iniziare il dialogo?

«Non accetteremo nessuna iniziativa - si parla anche di elezioni indette dai generali - finché non verrà riunito il Parlamento eletto nel '90. E per ora i deputati continuano a essere arrestati».

Non pensa possibile un'insurrezione violenta, come nell'88?

«Dieci anni fagli studenti furono la spina dorsale della rivolta; e c'erano i ribelli delle minoranze etniche. Il regime è riuscito a trovare accordi con i gruppi armati al Nord (che controllano la produzione del-la droga, ndr) e da due anni le università sono chiuse, perciò è difficile. Ma noi appoggeremo sempre gli studenti. Importante è anche il ruolo dei monaci: molti ci aiutano, altri sono con il regime. Ma io spero che non si scordino mai che il loro primo dovere è quello di aiutare i deboli».

Se potesse farlo quale paese vorrebbe visitare?

«La Norvegia, da dove trasmette la radio Democratic Voice of Burma. Ci hanno sempre aiutato. Per noi è così difficile far conoscere le nostre idee. E il compito dei giornalisti è di difendere i deboli; così spero che presto non vi dovrete più occupare di noi. Sarà una buona notizia».

 
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Commenti al Post:
venere_891
venere_891 il 28/09/07 alle 10:47 via WEB
La protesta deve continuare... questo regime deve vedere la sua fine.
 
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