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Messaggi di Gennaio 2009
Con la Legge n. 211 del 20 luglio 2000 è stato istituito il “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. La Legge riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi si sono opposti al progetto di sterminio, ed al rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. Sia il popolo ebreo che le popolazioni Rom e Sinti erano considerati rappresentanti di razze geneticamente inferiori tanto da esservi per i nazisti anche una Zigeunerfrage (questione zingari) da risolvere con un’apposita legislazione discriminatoria che venne emanata nei confronti di quelle popolazioni e che alcune norme della stessa permasero in vigore in Germania fino alla fine degli anni settanta. Nei campi di sterminio furono uccisi tra 5,6 e 6,1 milioni di ebrei e tra 200.000 e 800.000 Rom e Sinti, corrispondenti all’80% di quelle popolazioni presenti nei territori occupati dai nazisti. La vicenda del Porrajmos (sterminio del popolo dei Rom/Sinti) non ha avuto un riconoscimento fino al 1994. Dal 1934 fu avviato il programma T4 con il quale fu sterilizzato il 5% della popolazione tedesca, un progetto avente come fine ultimo una selezione razziale tale da pervenire alla procreazione di soli individui “perfetti” esempi di una “razza superiore”, successivamente si praticò l’eutanasia di persone con disabilità fisiche o mentali. Il programma ufficialmente ebbe termine il 24 agosto 1941, dopo aver visto coinvolte almeno 150.000 persone, in realtà esso continuo con la sigla 14f13 con il quale si indicava l’eutanasia di persone inabili al lavoro nei campi di concentramento. Si calcola che siano morti tra i 200.000 ed i 300.000 disabili a causa delle persecuzioni naziste. Il paragraph 175 del codice penale tedesco puniva l’omosessualità (fu abrogato solo nel 1968 ad est e nel 1969 ad ovest).
Dal 1942 furono internati nei campi almeno 18.000 Testimoni di Geova, la gran parte di essi, nonostante bastasse abiurare la propria fede per uscire preferì non tradirla. Almeno 2000 morirono nelle camere a gas. Nei campi di sterminio trovarono altresì la morte tra i 3,5 ed i 6 milioni di slavi, tra i 2,5 ed i 4 milioni di prigionieri di guerra, tra 1 e 1,5 milioni di prigionieri politici. |
Primo Levi - Se questo è un uomo
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Nonostante le recenti dichiarazioni revisioniste e negazioniste sull’Olocausto fatte dal britannico Richard Williamson, un vescovo lefebvriano, Benedetto XVI ha ufficializzato la revoca della scomunica ai quattro vescovi ultratradizionalisti ordinati illegittimamente da Marcel Lefebvre il 30 giugno 1988. Il decreto di revoca di scomunica è stato firmato il 21 gennaio 2009 e secondo padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, è un «passo importante sulla via della piena comunione» tra Chiesa cattolica e ultratradizionalisti lefebvriani anche se c’è «una situazione da definire per quanto riguarda l’esercizio del ministero da parte dei lefebvriani». la decisione del papa è abbastanza grave. I lefebvriani contestano la validità del concilio vaticano II a causa della sua natura ecumenica in particolare per quanto riguarda l’apertura all’ebraismo. Non sorprende dunque che le contestazioni della comunità ebraica alla decisione di benedetto XVI siano state particolarmente forti nelle parole e nei toni. Infatti uno dei quattro riabilitati il britannico Richard Williamson ha negato l’esistenza delle camere a gas naziste. di Fausto Gasparroni CITTA’ DEL VATICANO - La decisione di Benedetto XVI di ritirare la scomunica ai quattro vescovi ultra-tradizionalisti ordinati nel 1988 da monsignor Marcel Lefebvre, tra i quali il ”negazionista” Richard Williamson, getta nuova benzina sul fuoco della scontro fra Santa Sede e mondo ebraico e allarga ulteriormente il fossato tra due fronti che da decenni non si trovavano su posizioni cosi’ distanti. Alti esponenti della religione ebraica hanno immediatamente contestato - e con toni di inedita durezza - il fatto che il ‘perdono’ pontificio non abbia tenuto conto delle dichiarazioni revisioniste e negazioniste sull’Olocausto fatte dal britannico Williamson. Quest’ ultimo, in un’intervista alla tv svedese, rilasciata nello scorso novembre ma mandata in onda tre giorni fa, ha affermato di non credere all’esistenza delle camere a gas naziste. Il superiore lefebvriano Fellay ha subito commentato che si tratta di affermazioni personali, usate strumentalmente per screditare la ”Fraternita’ di San Pio X”. E anche oggi il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha avuto un bel dire nell’affermare che la Santa Sede non condivide in nessun modo le dichiarazioni revisioniste di Williamson sulla Shoah: secondo Lombardi, la ”revoca della scomunica non c’entra assolutamente nulla” e non significa ‘’sposare le sue idee e le sue dichiarazioni, che vanno giudicate in se”’. Cio’ non e’ bastato. Se dapprima, infatti, il portavoce del ministero degli esteri israeliano Yigal Palmor, si e’ trincerato dietro un ‘no comment’, affermando che la riammissione dei lefebvriani in seno alla Chiesa ”non e’ una questione che riguarda i rapporti tra i due Stati”, il rabbino David Rosen, personalita’ attivamente coinvolta nel dialogo tra ebrei e cattolici, ha voluto definire la revoca della scomunica a Williamson come ”un passo che contamina l’intera Chiesa”, se quest’ultima non esige dal vescovo la ritrattazione di cio’ che ha detto sulla Shoah. Secondo Rosen, nella decisione pontificia ”c’e’ stata una superficialita”’ che mostra ”gravi lacune nel funzionamento interno del Vaticano”. E ”accettare una persona chiaramente antisemita”, ha aggiunto, ”e’ farsi gioco di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II e di tutti i Papi” che hanno operato per il dialogo tra le religioni. Per il rabbino, inoltre, non basta che il Vaticano si proclami fedele alla dichiarazione conciliare Nostra Aetate (che 40 anni fa segno’ una svolta decisiva nei rapporti col mondo ebraico): ”non conta cio’ che il Vaticano dice, conta cio’ che fa”, ha ammonito. E fino a quando non esige ”una ritrattazione” delle dichiarazioni revisioniste di Williamson ”e’ l’intera Chiesa che resta contaminata”. Parole dure come macigni, anche rispetto alle possibilita’ di riallacciare il dialogo, specialmente dopo le precedenti tappe di un allontanamento segnato dalle polemiche sulla ”preghiera per gli Ebrei” del Venerdi’ Santo e sulla causa di beatificazione di Pio XII, fino alla decisione dei rappresentanti ebraici italiani di non partecipare all’annuale Giornata del Dialogo promossa dalla Cei. Che ci sia imbarazzo nelle stanze vaticane traspare anche dalla scelta odierna della Radio Vaticana di diffondere un ampio servizio sulla ”forte attenzione” sempre riservata da Benedetto XVI all’ebraismo e alla memoria della Shoah. Anche qui viene ripetuto che le dichiarazioni negazioniste di Williamson rappresentano solo ”posizioni personali, totalmente non condivisibili, e che tanto meno riguardano il magistero pontificio e le posizioni della Chiesa cattolica”. (fonte: ansa) |
Non sono d’accordo con l’installazione di una base militare americana sul territorio della Repubblica Ceca, all’interno del progetto statunitense NMD – sistema missilistico nazionale. La realizzazione di questo progetto aumenta le tensioni internazionali, sta generando una nuova corsa agli armamenti ed è il primo passo verso la militarizzazione ed il controllo dello spazio. Poiché il 70% della popolazione ceca è contro questo progetto credo sia giusto che i cechi abbiano il diritto di decidere su una questione cosi importante tramite un referendum nazionale.” Dichiarazione Il progetto degli Stati Uniti NMD – sistema missilistico nazionale, è un progetto molto complesso che prevede la produzione di nuove armi e l’installazione di basi militari americane in diversi punti del pianeta. In particolare in Europa il primo passo è l’installazione di un radar in Repubblica Ceca e di una base con missili intercettori in Polonia. Questo piano ha diviso l’Europa, che al momento attuale non è in grado di dare una risposta unita, coerente e nonviolenta alla politica aggressiva degli Stati Uniti. Le reazioni della Russia e della Cina hanno creato un’atmosfera da “guerra fredda”. Aumentano le tensioni internazionali, è ripresa una folle corsa agli armamenti (convenzionali e nucleari) e soprattutto si pongono le basi per la militarizzazione ed il controllo dello spazio. Il 70% della popolazione ceca è contraria all’installazione di una base militare degli Stati Uniti sul proprio territorio. Nonostante questo il governo ceco e quello americano continuano le trattative che ormai stanno volgendo al termine. Il popolo ceco dichiara che qualsiasi contratto il governo ceco stipulerà con quello americano sul progetto dell'installazione di basi militari USA sul territorio della Repubblica Ceca, non avrà nessun valore legale, per cui il popolo ceco non si sentirà in alcun modo vincolato a nessun tipo di impegno. Non basta un rispetto formale della legge raggiungendo in Parlamento una maggioranza relativa per parlare di vera democrazia. Quando un Governo prende una decisione che va chiaramente contro la volontà della maggioranza dei cittadini non rispetta la democrazia nel suo spirito e nella sua essenza più profonda. Il governo USA deve comprendere chiaramente che sta dialogando non con il popolo ceco ma con una minoranza che non rappresenta la volontà della maggioranza dei cittadini, per cui qualsiasi accordo non avrà nessun valore legale. Gli amici americani devono anche comprendere chiaramente che la loro politica sta generando un sentimento diffuso di “antiamericanismo” che prima non era presente nella cultura ceca. La loro politica aggressiva si rivolgerà contro loro stessi. Sappiamo che è già cominciata una azione nonviolenta di boicottaggio dei prodotti americani e questo fenomeno potrà diffondersi enormemente anche oltre i confini del territorio ceco. La maggioranza dei cechi non vuole basi militari straniere sul proprio territorio. La maggioranza dei cechi vuole decidere su questi problemi tramite un referendum, strumento fondamentale di qualsiasi democrazia. Jan Tamáš Movimento nonviolento contro le basi in repubblica ceca Dana Feminová Europa per la pace www.nonviolence.cz FIRMA QUI http://petice.nenasili.cz/?lang=it |
CGIL CISL UIL
La gravissima situazione a Gaza, la decisione del Governo israeliano di attuare l’attacco di terra, dopo oltre una settimana di bombardamenti, quale rappresaglia contro l’irresponsabile lancio di razzi kassam da parte di Hamas, sta determinando una vera e propria catastrofe umanitaria. PRESIDIO A BOLOGNA in Piazza Nettuno GIOVEDI’ 8 GENNAIO 2009 alle ore 18.00 Hanno sinora aderito: ARCI , ACLI, ANPI ,GVC, Emergency Bologna,
La gravissima situazione a Gaza, la decisione del Governo israeliano di attuare l’attacco di terra, dopo oltre una settimana di bombardamenti, quale rappresaglia contro l’irresponsabile lancio di razzi kassam da parte di Hamas, sta determinando una vera e propria catastrofe umanitaria. PRESIDIO A BOLOGNA in Piazza Nettuno GIOVEDI’ 8 GENNAIO 2009 alle ore 18.00 Hanno aderito: ARCI , ACLI, ANPI ,GVC, Emergency Bologna, AUSER BOLOGNA,RETE LILLIPUT, NEXUS E.R. |
FUORI LA MAFIA DA FACE BOOK ISCRIVETEVI http://www.facebook.com/topic.php?topic=6488&uid=47298096891#/group.php?gid=47298096891 |
BIRMANIA LA TRAGEDIA SENZA VOCE
La leader dell'opposizione democratica Nilar Thein è stata arrestata il 10 settembre 2008. Attualmente si trova nel centro di detenzione di Aung Tha Pyay a Yangon, è a rischio di tortura e maltrattamenti. Il giorno dopo l'arresto dei 13 attivisti della "Generazione 88", Nilar Thein organizzò una manifestazione di 500 persone a Yangon per chiederne il rilascio e per protestare contro l'aumento del costo del carburante stabilito dalle autorità il 15 agosto 2007. Nilar Thein fuggì appena ebbe inizio la caccia ai leader delle proteste da parte della giunta. Consapevole dei rischi cui andava incontro in clandestinità, lasciò la figlia appena nata alle cure della famiglia. A tre settimane dall'arresto del marito cominciarono a circolare voci su una sua presunta morte durante la custodia cautelare. Le voci risultarono in seguito false e si pensa che siano state diffuse appositamente dalla giunta per spingere Nilar Thein a uscire allo scoperto. Durante la latitanza, Nilar Thein ha continuato ad appellarsi alla comunità internazionale per migliorare la situazione dei diritti umani e per porre fine agli abusi che il regime militare di Myanmar infligge quotidianamente alle donne. Senior General Than Shwe Nyan Win Egregio Generale, |
FIRMA LA PETIZIONE http://www.avaaz.org/en/gaza_time_for_peace/ Luisa Morgantini |
Malata e indigente chiede l'eutanasia OAS_RICH('Left');
![]() Un malato in rianimazione CASTEL DI SANGRO (L'AQUILA) - Indigente e malata di cancro. Per questo Angela S., 58 anni, pensionata, vuole morire e chiede l'eutanasia. "Non auguro a nessuno di vivere in queste condizioni", ripete dal giorno di Natale, quando per mettere assieme il pasto ha dovuto chiedere aiuto ai vicini. Ora il disperato appello è diventato un caso. La sua vita, già piena di difficoltà, da quando ha scoperto di essere gravemente malata è scivolata in un baratro. Ma il tumore ai polmoni e l'indigenza non sono i suoi unici nemici: c'è anche la burocrazia che acuisce il dolore. Già, perché Angela vive con 250 euro al mese di pensione (ottenute per una invalidità) in un paese arroccato sulle montagne abruzzesi. Appena scoperta la malattia, ha chiesto alla Asl una semplice indennità di accompagnamento. Un modo per ottenere un aiuto nei lunghi viaggi (250 chilometri circa tra andata e ritorno) per sottoporsi alla chemioterapia che deve necessariamente svolgere a Pescara. Ma la sanità abruzzese - già sconquassata e priva di fondi, anche a causa degli scandali legati alle tangenti nella pubblica amministrazione - è stata irremovibile. La donna non può avere l'indennità. Al massimo può percepire un rimborso spese per i viaggi dovuti alle cure. La commissione di medicina legale - assicurano dalla direzione della Asl - l'ha più volte visitata ed ha constatato la "mancanza dei requisiti di legge". Il "no" da parte dell'ente ha spinto la donna a chiedere pubblicamente una "morte dignitosa piuttosto che una vita di stenti, dolore e umiliazione". Non sa come mantenersi, figurarsi come potersi curare. Angela non può nemmeno sostenere le spese per presentare ricorso contro la decisione della Asl. Ma almeno per questo aspetto è intervenuto il Comune di Castel di Sangro, che ha annunciato la copertura delle spese legali. Intanto lei continua a rivendicare i suoi diritti: "Non voglio essere di peso a nessuno, chiedo solo aiuto allo Stato. Me la sono sempre cavata da sola, con poco. Adesso però il male mi ha attaccato i polmoni e non mi consente di procacciarmi il necessario per vivere. Purtroppo non rientro in nessuna forma di ammortizzatore sociale". L'unico apporto concreto lo ha ricevuto da Comune e Comunità Montana che hanno messo a disposizione una vettura per consentirle di recarsi a Pescara e sottoporsi alle cure. Tutto per un importo massimo di 1800 euro frutto di un contratto di solidarietà, ormai esaurito. "Ora non so proprio come farò a continuare con i cicli antitumorali...". L'assessore comunale Andrea Liberatore, uno dei primi ad occuparsi della vicenda, giudica la decisione della Asl "iniqua verso una persona che non riesce a sopravvivere. È il risultato di una sanità poco accorta. In passato sono stati concessi benefici a tutti, ora invece si negano quelli essenziali a chi ne ha bisogno". Per il vescovo della diocesi di Sulmona, Angelo Spina, si tratta di "un grido di dolore, un grido di una persona sola che reclama il diritto alla vita e non alla morte". Ma anche la chiesa non è stata d'aiuto. La donna infatti si è rivolta anche al parroco del paese per cercare sostegno, senza ottenere risultati. Intanto in paese è scattata una raccolta fondi. (3 gennaio 2009) |
Feste di Capodanno, stupri e violenze
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Questa volta non è colpa dei comunisti
La crisi economica e i conflitti in corso nel mondo chiamano gli Stati Uniti a maggiori responsabilità MIKHAIL GORBACIOV Il 2008 è stato segnato indelebilmente dalla crisi finanziaria globale. Nessuno ne aveva previsto l’arrivo né le proporzioni; credo che nessuno sappia come e quando possa finire. È anche chiaro che le iniziali dichiarazioni di rassicurazione erano irresponsabili. Nei prossimi mesi la politica mondiale sarà sottoposta a un test severo. Cercare strade per uscire dalla crisi sarà un compito difficile. Non tutti gli sforzi iniziali si sono rivelati efficaci. In base a quel che leggo adesso sui resoconti del summit G-8 di luglio in Giappone, è sbalorditivo constatare che appena un paio di mesi prima che la crisi esplodesse i leader mondiali apparivano inconsapevoli delle scosse premonitrici. Il vertice fu di routine. La sua stessa formula - la maniera in cui è stato preparato e condotto - è sembrata superata. Abbiamo bisogno di una nuova visione delle leadership politica globale. Invece i leader arrancano dietro agli eventi. Prendiamo la crisi del Caucaso al principio di agosto. Qualunque guerra, per quanto breve, rappresenta un fallimento della politica. La disavventura militare della leadership georgiana è sfociata in un disastro per migliaia di osseti, georgiani e russi e ha evidenziato la mancanza di un effettivo sistema di sicurezza europeo per prevenire e risolvere i conflitti. I problemi affliggono svariati continenti. Le guerre civili in Congo, Sudan e altre parti dell’Africa sono costate migliaia di vite. L’attacco di Mumbai è stato più che un tragico monito dei pericoli del terrorismo: ha sollevato la questione della responsabilità degli Stati sul cui territorio gli attentati vengono pianificati. La situazione dell’Afghanistan è scoraggiante. Il Medio Oriente continua ad essere una polveriera. Come se non bastasse, è tornata la pirateria, direttamente dai secoli bui. I flussi di immigrati, il dissesto sociale in parecchi Paesi (inclusi alcuni che non sono affatto poveri), i recenti problemi con forniture di alimenti contaminati, le estese violazioni dei diritti umani: la lista dei problemi che il mondo deve affrontare potrebbe essere ancora più lunga. C’è una sensazione crescente che il mondo stia sprofondando in un disordine che viene ulteriormente aggravato dalla crisi economica globale. Parlando con persone di diversi Paesi, mi sento porre ripetutamente queste domande: che cosa sta succedendo? Che cosa succederà? Perché i leader politici mondiali non sono riusciti ad affrontare con successo né le vecchie né le nuove minacce? Sono domande legittime. Per rispondere, dobbiamo guardare alle cause sottostanti ai recenti eventi. Sono convinto che la radice profonda dell’attuale e diffuso scompiglio stia nell’incapacità o nella mancanza di volontà dei leader politici di valutare correttamente la situazione dopo la fine della guerra fredda e di instradare concordemente il mondo su una nuova via. Il «complesso del vincitore», la fanfara trionfale suonata dall’Occidente dopo che l’Unione sovietica è scomparsa dall’arena internazionale - ha oscurato il fatto che la fine della guerra fredda non è stata la vittoria di una parte o di un’ideologia. È stata invece un risultato comune e l’avvio di una comune sfida, la chiamata a un grande cambiamento. Ma perché cambiare, hanno pensato i politici occidentali, se tutto va bene così com’è? Avrebbero continuato a governare il mondo con la loro infallibile dottrina del libero mercato e con alleanze tipo la Nato, che era pronta ad assumere la responsabilità della pace in Europa e altrove. Lo scotto è arrivato nel 2008. È probabile che continueremo per un bel pezzo, negli anni futuri, a pagare il prezzo di queste strategie mal concepite, a meno che non abbiamo il coraggio di guardare alle cose onestamente e di ripensare il nostro approccio agli affari mondiali. In tutto il mondo si avverte l’ansia di voltare pagina. Il desiderio si è manifestato con evidenza in novembre, in un evento che può essere preso a simbolo della volontà di cambiare e che può fare da catalizzatore al cambiamento stesso. Dato il ruolo speciale che gli Stati Uniti continuano a esercitare nel mondo, l’elezione a presidente di Barack Obama può avere conseguenze ben al di là del suo Paese. Il popolo americano ha avuto l’opportunità di dire la sua; adesso tutto dipende da come il nuovo presidente e la sua squadra risponderanno alla sfida. Le elezioni politiche americane hanno già sortito una prima conseguenza: il summit G-20 a Washington ha lanciato la formula di una nuova leadership mondiale, raccogliendo tutti i Paesi responsabili del futuro dell’economia globale. E in gioco c’è anche più dell’economia. Di per sé, il fatto che ai Paesi del G-8 si siano aggregati su un piano di parità la Cina, l’India e il Brasile e altri nove Paesi ha rappresentato il riconoscimento (benché forse riluttante) che gli equilibri politici ed economici del mondo sono cambiati. Adesso è un fatto accettato che una singola potenza centrale, in qualunque modo concepita, non è più possibile. La sfida dello tsunami finanziario ed economico globale può essere affrontata solo lavorando insieme. Sta emergendo l’idea di un nuovo modo di affrontare la crisi a livello nazionale e internazionale. I passi ora contemplati sembrano più confacenti ai bisogni del mondo globalizzato rispetti al precedente approccio, fondato sulla speranza che il mercato avrebbe preso cura di se stesso. Se le idee attuali di riforma delle istituzioni finanziarie ed economiche saranno realizzate con coerenza, vorrà dire che ci saremo finalmente resi conto dell’importanza della «governance» globale. Una governance che renda l’economia più razionale e più umana. La sfida è gigantesca, non solo per l’economia mondiale. Tuttavia può essere vinta. Dobbiamo incoraggiare un dialogo equo, democratizzare le relazioni fra le nazioni e respingere le tendenze militaristiche nella politica e nel modo di pensare. È questa la nuova agenda della politica internazionale. Copyright The New York Times Syndicate |
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