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Campagna: Non finanziate i cacciabombardieri F35

Post n°766 pubblicato il 28 Novembre 2010 da dammiltuoaiuto
 

cacciabombardieri F35

 

ADERITE all'APPELLO affinché i parlamentari non votino il finanziamento del cacciabombardiere F35, che costerà all' Irìtalia la somma di niente poco di meno di 15 miliardi di euro. Un'enorme spreco! In tempi di crisi come quello che stiamo vivendo ci sembra proprio una presa in giro ai danni di quanti oggi si ritrovano a fare i conti con una vita che non torna.
Campagna: Non finanziate i cacciabombardieri F35


Promossa da: DisarmiAmoLaPace (Varese). Segnalato dall'amico Stefano Ferrario referente di DisarmiAmoLaPace (Varese) e giornalista di Peacereporter.

Appello affinché i parlamentari non votino il finanziamento del cacciabombardiere F35

Il Governo italiano sta procedendo nella continuazione del programma per la realizzazione di 131 cacciabombardieri F35 Joint Strike Fighter che impegneranno il nostro paese fino al 2026 con una spesa, destinata ad aumentare, di oltre 15 miliardi di euro. Il Parlamento approvando la prossima "Legge Finanziaria" stanzierà per sua la produzione circa 472 milioni di euro per il 2011, cifra che dovrà più che raddoppiare negli anni successivi per tenere il passo con quanto deciso. Si tratterebbe di una decisione irresponsabile sia per la politica di riarmo che tale scelta rappresenta, sia per le risorse che vengono destinante ad un programma sovradimensionato nei costi, sia per la sua incoerenza con la Costituzione Italiana che "Ripudia la Guerra": l'F35 infatti è un aereo di attacco che può trasportare anche ordigni nucleari. In un momento di grave crisi economica in cui non si riescono a trovare risorse per gli ammortizzatori sociali per i disoccupati e vengono tagliati i finanziamenti pubblici alla scuola, all'università e alle politiche sociali, destinare 15 miliardi di euro alla costruzione di 131 cacciabombardieri è una scelta sbagliata e incompatibile con la situazione sociale del paese. Chiediamo ai parlamentari che facciano tutto ciò che è in loro potere per non finanziare questi strumenti di morte e così fermare il programma, destinando le risorse risparmiate a programmi alternativi: una parte a iniziative di riconversione civile dell'industria bellica e agli interventi di cooperazione internazionale, che la scorsa manovra finanziaria ha più che dimezzato, e l'altra parte alla scuola, all'università, alla ricerca, alla cultura, alla sanità pubblica e alle energie rinnovabili. La sottoscrizione di questo appello prevede l'invio, in automatico, di una e-mail da parte di ciascun sottoscrittore a ciascuno dei deputati e dei senatori della Repubblica italiana, che si accingono in questi giorni a votare il "Programma di stabilità" per il prossimo anno.

Campagna: Non finanziate i cacciabombardieri F35

Promossa da: DisarmiAmoLaPace (Varese)

Appello affinché i parlamentari non votino il finanziamento del cacciabombardiere F35

 

 

Il Governo italiano sta procedendo nella continuazione del programma per la realizzazione di 131 cacciabombardieri F35 Joint Strike Fighter che impegneranno il nostro paese fino al 2026 con una spesa, destinata ad aumentare, di oltre 15 miliardi di euro.

Il Parlamento approvando la prossima "Legge Finanziaria" stanzierà per sua la produzione circa 472 milioni di euro per il 2011, cifra che dovrà più che raddoppiare negli anni successivi per tenere il passo con quanto deciso.

Si tratterebbe di una decisione irresponsabile sia per la politica di riarmo che tale scelta rappresenta, sia per le risorse che vengono destinante ad un programma sovradimensionato nei costi, sia per la sua incoerenza con la Costituzione Italiana che "Ripudia la Guerra": l'F35 infatti è un aereo di attacco che può trasportare anche ordigni nucleari.

In un momento di grave crisi economica in cui non si riescono a trovare risorse per gli ammortizzatori sociali per i disoccupati e vengono tagliati i finanziamenti pubblici alla scuola, all'università e alle politiche sociali, destinare 15 miliardi di euro alla costruzione di 131 cacciabombardieri è una scelta sbagliata e incompatibile con la situazione sociale del paese.

Chiediamo ai parlamentari che facciano tutto ciò che è in loro potere per non finanziare questi strumenti di morte e così fermare il programma, destinando le risorse risparmiate a programmi alternativi: una parte a iniziative di riconversione civile dell'industria bellica e agli interventi di cooperazione internazionale, che la scorsa manovra finanziaria ha più che dimezzato, e l'altra parte alla scuola, all'università, alla ricerca, alla cultura, alla sanità pubblica e alle energie rinnovabili.

La sottoscrizione di questo appello prevede l'invio, in automatico, di una e-mail da parte di ciascun sottoscrittore a ciascuno dei deputati e dei senatori della Repubblica italiana, che si accingono in questi giorni a votare il "Programma di stabilità" per il prossimo anno.

firima   qui

 

 

http://www.peacelink.it/campagne/person.php?id=86&id_topic=2

 

Egregio Onorevole, Egregio Senatore,faccio appello al suo senso di responsabilità, affinché, utilizzando gli strumenti che ha a disposizione, nell’ambito della discussione del “Programma di Stabilità” per il 2011, non voti lo stanziamento previsto per il lancio della produzione dei 131 cacciabombardieri F35 Joint Strike Fighter, che costeranno al contribuente oltre 15 miliardi di euro.L’F35, nel contesto di crisi che attraversa il paese e a fronte di un debito pubblico stratosferico, è un assurdo economico. Le risorse sottratte al programma potrebbero essere più remunerativamente investite, anche dal punto di vista occupazionale e sociale nei settori della scuola, dell’università, della ricerca, della sanità pubblica, delle energie rinnovabili, della cooperazione internazionale, della riconversione della industria bellica.L’F35 è un velivolo d’attacco, acquisirlo è un atto di riarmo, dunque un tradimento dello spirito della Costituzione Italiana che “Ripudia la guerra”.

 
 
 

La dittatura auto-moto

Post n°765 pubblicato il 25 Novembre 2010 da dammiltuoaiuto
 

La dittatura auto-moto

... e della motoI rinoceronti metallici - Buoni e cattivi - Menzogne a motore

L'invenzione dell'auto privata è una delle grandi sciagure abbattutesi sul genere umanoE.J.Mishan - Evaluation of Life and Limb: a theoretical approach - London 1971.

 

La parola regime è in genere usata per definire un sistema politico che non ammette alternative a se stesso, e che anzi tende a eliminare ogni possibile alternativa. Dunque Regime nel senso di dittatura o di sistema totalitario, termini che anche questi si riferiscono a sistemi che non ammettono alternative a se stessi.

In questo senso l'egemonia dell'automobile (e della motocicletta sua stretta parente) costituisce un vero e proprio regime politico-economico i cui due pilastri economici sono l'industria automobilistica e quella petrolifera; regime che si applica ventiquattro ore su ventiquattro su ogni singolo km quadrato del territorio, che esige ed in buona parte ottiene il consenso assoluto della popolazione nonché dei mass-media. Non è proprio questo il profilo di un regime?

La riprova di questa situazione la si è avuta negli ultimi mesi del 2008 quando essendo molte industrie automobilistiche ridotte sull'orlo del fallimento, queste hanno lanciato una massiccia campagna mediatica tesa a sostenere che l'industria dell'auto insieme a quelle a lei collegate (il cosiddetto indotto) è un pilastro dell'economia, che non se ne può fare a meno, che se crollasse trascinerebbe con sé l'intera economia. Il classico argomento dei regimi appunto: Après moi, le deluge, "Dopo di me il diluvio". E subito i governi di mezzo mondo a cominciare da quello USA hanno dato fondo alle loro finanze per sostenere l'industria dell'auto e mantenere in vita questo regime.

Regime che qui somiglia a un tumore maligno che una volta installatosi in un organismo si estende a tal punto da diventare inoperabile, nel senso che un tentativo chirurgico di asportarlo rischierebbe di uccidere l'intero organismo.

Così è per il regime auto-moto che cresciuto ormai a dismisura fino a lordare e deturpare ogni angolo del pianeta, ha oggi il controllo quasi totale della stampa che è pressoché unanime nell'esaltarlo e appoggiarlo in ogni modo, dalle pagine dedicate ai motori ai fiumi di inchiostro spesi per esaltare quei gran premi motoristici che usurpano il nome di eventi sportivi.

E oltre al servilismo della stampa, la dittatura auto-moto ha anche le sue adunate oceaniche: non più in una piazza della capitale per acclamare il capo supremo e scandire slogan, ma su strade e autostrade dove le adunate oceaniche prendono il nuovo nome di ... oceanici ingorghi; qui i sostenitori del regime (alias automobilisti/motociclisti) si sfogano a scandire gli slogan di regime: "vogliamo più strade", "vogliamo più autostrade", "vogliamo più parcheggi"; c'è anche una musica di regime che ha il suono stridente dei clacson; il tutto ripreso con grande enfasi dai mass-media che ne fanno occasione per sostenere a gran voce queste richieste.

Infatti anche questo, come tutti i regimi, ha una diabolica abilità nel costruire utili menzogne e nel rivoltare a proprio favore i propri disastri:

  • il traffico diventa un pretesto per costruire nuove strade e autostrade;
  • l'inquinamento un pretesto per convincere l'automobilista a vendere la sua auto e comprarne una nuova che si presume meno inquinante.
  • la strage motoristica un analogo pretesto per vendere auto che si presumono più sicure. Di recente si è toccato il fondo con le campagne di stampa contro la bici accusata di essere più pericolosa dei veicoli a motore, dimenticando il piccolo particolare che i ciclisti che muoiono sulla strada sono nel 99% dei casi uccisi proprio dai veicoli a motore. Un esempio di disinformazione veramente stomachevole: l'assassino accusa la sua vittima per essersi fatto uccidere!!!
  • E come ricordato poco fa, quando l'industria auto-moto si ritrova sull'orlo del fallimento usa questo argomento per ottenere aiuti e sussidi statali per sopravvivere e crescere ulteriormente, proprio come il tumore maligno che per sopravvivere e crescere ancora pretende per sé tutte le risorse dell'organismo.

Unica consolazione in questo nerissimo panorama è che tutti i regimi incontrano prima o poi una fine traumatica, non resta che sperare che lo stesso avvenga anche per il regime motoristico ...

 
 
 

La dittatura auto-moto

Post n°764 pubblicato il 25 Novembre 2010 da dammiltuoaiuto
 

La dittatura auto-moto
... e della moto
L'invenzione dell'auto privata è una delle grandi sciagure abbattutesi sul genere umano
E.J.Mishan - Evaluation of Life and Limb: a theoretical approach - London 1971.


La parola regime è in genere usata per definire un sistema politico che non ammette alternative a se stesso, e che anzi tende a eliminare ogni possibile alternativa. Dunque Regime nel senso di dittatura o di sistema totalitario, termini che anche questi si riferiscono a sistemi che non ammettono alternative a se stessi.
In questo senso l'egemonia dell'automobile (e della motocicletta sua stretta parente) costituisce un vero e proprio regime politico-economico i cui due pilastri economici sono l'industria automobilistica e quella petrolifera; regime che si applica ventiquattro ore su ventiquattro su ogni singolo km quadrato del territorio, che esige ed in buona parte ottiene il consenso assoluto della popolazione nonché dei mass-media. Non è proprio questo il profilo di un regime?
La riprova di questa situazione la si è avuta negli ultimi mesi del 2008 quando essendo molte industrie automobilistiche ridotte sull'orlo del fallimento, queste hanno lanciato una massiccia campagna mediatica tesa a sostenere che l'industria dell'auto insieme a quelle a lei collegate (il cosiddetto indotto) è un pilastro dell'economia, che non se ne può fare a meno, che se crollasse trascinerebbe con sé l'intera economia. Il classico argomento dei regimi appunto: Après moi, le deluge, "Dopo di me il diluvio". E subito i governi di mezzo mondo a cominciare da quello USA hanno dato fondo alle loro finanze per sostenere l'industria dell'auto e mantenere in vita questo regime.
Regime che qui somiglia a un tumore maligno che una volta installatosi in un organismo si estende a tal punto da diventare inoperabile, nel senso che un tentativo chirurgico di asportarlo rischierebbe di uccidere l'intero organismo.
Così è per il regime auto-moto che cresciuto ormai a dismisura fino a lordare e deturpare ogni angolo del pianeta, ha oggi il controllo quasi totale della stampa che è pressoché unanime nell'esaltarlo e appoggiarlo in ogni modo, dalle pagine dedicate ai motori ai fiumi di inchiostro spesi per esaltare quei gran premi motoristici che usurpano il nome di eventi sportivi.
E oltre al servilismo della stampa, la dittatura auto-moto ha anche le sue adunate oceaniche: non più in una piazza della capitale per acclamare il capo supremo e scandire slogan, ma su strade e autostrade dove le adunate oceaniche prendono il nuovo nome di ... oceanici ingorghi; qui i sostenitori del regime (alias automobilisti/motociclisti) si sfogano a scandire gli slogan di regime: "vogliamo più strade", "vogliamo più autostrade", "vogliamo più parcheggi"; c'è anche una musica di regime che ha il suono stridente dei clacson; il tutto ripreso con grande enfasi dai mass-media che ne fanno occasione per sostenere a gran voce queste richieste.
Infatti anche questo, come tutti i regimi, ha una diabolica abilità nel costruire utili menzogne e nel rivoltare a proprio favore i propri disastri:
  • il traffico diventa un pretesto per costruire nuove strade e autostrade;
  • l'inquinamento un pretesto per convincere l'automobilista a vendere la sua auto e comprarne una nuova che si presume meno inquinante.
  • la strage motoristica un analogo pretesto per vendere auto che si presumono più sicure. Di recente si è toccato il fondo con le campagne di stampa contro la bici accusata di essere più pericolosa dei veicoli a motore, dimenticando il piccolo particolare che i ciclisti che muoiono sulla strada sono nel 99% dei casi uccisi proprio dai veicoli a motore. Un esempio di disinformazione veramente stomachevole: l'assassino accusa la sua vittima per essersi fatto uccidere!!!
  • E come ricordato poco fa, quando l'industria auto-moto si ritrova sull'orlo del fallimento usa questo argomento per ottenere aiuti e sussidi statali per sopravvivere e crescere ulteriormente, proprio come il tumore maligno che per sopravvivere e crescere ancora pretende per sé tutte le risorse dell'organismo.
Unica consolazione in questo nerissimo panorama è che tutti i regimi incontrano prima o poi una fine traumatica, non resta che sperare che lo stesso avvenga anche per il regime motoristico ...

 
 
 

VIOLENZA ALLE DONNE

Post n°763 pubblicato il 25 Novembre 2010 da dammiltuoaiuto
 

VIOLENZA ALLE DONNE

http://muslimmatters.org/wp-content/uploads/2009/04/muslims-against-violence-against-women.jpg

Pakistani women protest in Lahore on April 4, 2009, against the public flogging of a woman. Pakistan’s top judge has ordered a court hearing into the public flogging of the woman, filmed on an amateur video, that has raised alarm about the tightening grip of Islamist hardliners. (AFP/Arif Ali) – souce image

MONROVIA, Liberia – Sexual violence occurs across all socio-economic and cultural backgrounds; women may be socialized to accept, tolerate or rationalize it. A weak justice system, the lingering violence of the war and an unwillingness to report instances compound the situation. No one is safe from assault – source image

 

Un nastro bianco contro la paura
Ad uccidere sono mariti e fidanzati

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Una grande mobilitazione per la Giornata mondiale contro gli abusi sul mondo femminile. Un impegno che durerà 16 giorni fino al 10 dicembre nella Giornata dei diritti umani. L’obiettivo è raccogliere 8.000 firme al giorno, tante quante sono le bambine sottoposte quotidianamente alle mutilazioni genitali nel mondo, Un problema che riguarda anche 500.000 donne e ragazze in Europa

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di EMANUELA STELLA

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Un nastro bianco contro la paura Ad uccidere sono mariti e fidanzati

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ROMA – Donne uccise  -  quasi sempre da mariti e compagni - ma anche picchiate, stuprate e sottoposte a mutilazioni genitali. E’ pensando a loro che l’assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 1999, ha indicato nel 25 novembre la giornata in cui ci si mobilita (indossando un nastrino bianco sul bavero della giacca) contro quella che il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha definito “la violazione dei diritti umani più vergognosa. Essa non conosce confini né geografia, cultura, povertà o ricchezza. Fintanto che continuerà, non potremo pretendere di aver compiuto dei reali progressi verso l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace”.

Sedici giorni di impegno.
Il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è stato scelto per ricordare il brutale assassinio delle tre sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana, ordinato nel 1961 dal dittatore Rafael Trujillo. Governi, amministrazioni locali e Ong hanno messo in campo iniziative che segnano l’avvio di una mobilitazione di 16 giorni contro la violenza di genere e che culmineranno il 10 dicembre nella Giornata dei diritti umani.

130 milioni di vittime. In Italia Amnesty International 1 lega questa giornata alla campagna contro le mutilazioni genitali femminili in Italia, in Europa e nel mondo, sostenuta da Mara Carfagna, ministro per le Pari Opportunità, ed Emma Bonino, vice presidente del senato. L’obiettivo è raccogliere 8.000 firme al giorno, tante quante sono le bambine che rischiano di subire mutilazioni dei genitali femminili nel mondo, pari a 3 milioni l’anno, per chiamare la Commissione e il Parlamento europeo a definire una strategia complessiva. Sono 130 milioni nel mondo le donne che hanno subito tali pratiche, diffuse in 28 paesi dell’Africa subsahariana e in alcuni paesi asiatici e del Medio Oriente. Il problema riguarda anche 500.000 donne e ragazze in Europa: Amnesty stima che siano 180.000 le bambine residenti in Europa che rischiano di subire questa pratica. La raccolta di firme 2.

Fenomeno in crescita. Aumentano i “femminicidi” in Italia e il primato è del Nord. L’ultima è Emiliana Femiano, 25 anni, uccisa dall’ex fidanzato domenica scorsa. Nel 2010 sono già 115 le donne ammazzate, stando a un’indagine della Casa delle donne di Bologna 3, che definisce le vittime “donne uccise in quanto tali”. I femminicidi erano stati 101 nel 2006, 107 nel 2007, 112 nel 2008, 119 nel 2009. Responsabili i mariti nel 36% dei casi, i conviventi o i partner nel 18%, gli ex compagni nel 9%, i parenti nel 13%. Per lo più italiane le vittime (70,8%) e gli assassini (76%). Secondo l’indagine, dal 2006 al 2009 le donne uccise sono state 439. L’allarme si focalizza sulla violenza domestica, perché le relazioni familiari e tra i sessi risultano essere quelle più “rischiose” per la donna.

Quando si dice “No” alla subalternità. La violenza si scatena quasi sempre quando le donne cercano di sottrarsi al tradizionale ruolo di sottomissione, quando vogliono porre fine a un rapporto o quando vogliono la separazione. La gelosia è una delle principali cause di morte, e i femminicidi sono più numerosi al nord che al sud (49% contro 24%), probabilmente perché al nord le donne sono più emancipate. Nel 64% dei casi l’aggressione avviene nella casa della vittima, il luogo che dovrebbe essere più sicuro e dove invece la vita della donna è maggiormente in pericolo.

Centri antiviolenza a rischio. I tagli previsti dalla legge di stabilità per le organizzazione di volontariato, mettono a repentaglio i centri antiviolenza. Ma i tagli dei fondi agli enti locali, costringono alla chiusura numerosi luoghi concretamente idonei a offrire accoglienza e assistenza alla donna abusata, maltrattata, in fuga da un compagno manesco. È la denuncia della onlus Dire-Donne 4 in rete contro la violenza, che raccoglie 58 centri sul territorio nazionale. Ha cessato l’attività in questi giorni il centro di Cosenza, stessa sorte per quello pugliese di Polignano a Mare, mentre anche quello di Lugo (Ravenna) è in stato di crisi e a fatica riesce, con il contributo volontario delle operatrici, a compiere le sue attività. “Il Governo a parole fa politiche per donne, come il Piano antiviolenza della Carfagna che noi per primi abbiamo voluto, o come la legge anti-stalking, ma nei fatti non ci sono politiche stabili e finanziamenti certi e quindi molti centri sono costretti a chiudere”, denuncia Elisa Ercoli, responsabile del centro per le donne vittime di tratta di Roma.

Migliaia le richieste d’aiuto. Sono 13.587 le donne che si sono rivolte nel 2009 a un centro antiviolenza (il 14,2% in più rispetto all’anno precedente): di queste il 67% sono italiane. Le donne ospitate sono state 576 (con 514 minori) a fronte di una capienza massima di 393 posti letto. “Questa politica miope non capisce che i centri antiviolenza costituiscono un investimento non solo sociale ma anche economico del paese, perché una donna accolta in un centro costa sette volte meno rispetto al caso in cui venga assistita dai servizi sociali”, hanno sostenuto le operatrici della Dire.

Iniziative concrete. L’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda) e il Fatebenefratelli, in collaborazione con l’Associazione italiana medici di famiglia 5, hanno redatto un vademecum destinato agli operatori sanitari per riconoscere le vittime di violenza domestica e intervenire ai primi segnali. Il vademecum 6 è scaricabile online e viene distribuito nei 67 ospedali lombardi “amici della donna” premiati con i Bollini rosa di Onda. Una campagna contro lo stalking è stata lanciata dalla Regione Lombardia: promossa da Telefono donna 7, prevede spot tv e radio e cartelloni, con l’obiettivo di far emergere dalla dimensione privata un problema che è sociale, affiancando le donne nella denuncia e fornendo assistenza psicologica e legale.

“L’indifferenza è violenza”. Numerose le iniziative locali: cartoline con lo slogan “Anche l’indifferenza è violenza” vengono distribuite sul territorio fiorentino in mercati, scuole, stazioni ferroviarie, insieme al tradizionale fiocco bianco simbolo della giornata, mentre i panifici del vicentino distribuiranno sacchetti con la scritta “Per molte donne la violenza è pane quotidiano, aiutaci ad aiutarti”. Sui sacchetti sono indicati recapiti telefonici e mail ai quali le donne vittime di violenza possono rivolgersi. “Non è un paese per donne” 8 è invece lo slogan scelto da una rete di associazioni di Bari per celebrare la giornata contro la violenza.

Le femministe romane. Legano la giornata del 25 novembre alla protesta contro la proposta di legge regionale sui consultori, “che mira a chiudere quelli pubblici spostando i soldi su quelli privati”, come scrive Il paese delle donne on line (che dà appuntamento per un presidio davanti alla sede della Regione Lazio). A Roma, al cinema Anica (viale Regina Margherita 286), si incontrano personaggi della musica e del cinema come Fiorella Mannoia e Serena Autieri, per dire basta alla violenza e per ricordare il diritto di sentirsi “Libere di essere” 9. La manifestazione ha il sostegno dell’Assessorato alle politiche sociali di Roma Capitale, guidato da Sveva Belviso.

“Difesa in Rosa”. è il titolo dell’iniziativa, patrocinata dalla Commissione delle Elette del Comune di Roma 10, che coinvolgerà gratuitamente donne di tutte le età. Le lezioni di autodifesa si svolgeranno sabato 27 e domenica 28 al Centro Area di via Mendola e saranno tenute dall’Associazione Police Friends. Moltissime le pagine Facebook dedicate alla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne (si schiera anche Second Life 11).

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25 novembre 2010

fonte:  http://www.repubblica.it/solidarieta/volontariato/2010/11/25/news/un_nastro_bianco_contro_la_paura_ad_uccidere_sono_mariti_e_fidanzati-9487242/?rss

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Aung San Suu finalmente libera ZORRO RIGRAZIA TUTTI CHE HANNO COLLABORATO AD INVIARE FIRME

Post n°762 pubblicato il 13 Novembre 2010 da dammiltuoaiuto
 

Aung San Suu finalmente libera, il Comitato del Nobel: “venga ad Oslo”

Birmania, liberata Aung San Suu Kyi

Aung San Suu Kyi guarda

HO  VOLUTO    DEDICARE    QUESTO SITO  A  LEI     LA LOTTA    PER LA LIBERTA'  
ZORRO   E' CON LEI    E CON TUTTI QUELLI    CHE LOTTANO
Aung San Suu Kyi è stata liberata oggi. La leader democratica birmana, ai domiciliari per sette anni di fila, è uscita di casa dopo il via libera della polizia birmana.
 
  • tirebouchon:  Oggi è il compleanno del premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi Auguri a una donna che è tenuta prigioniera da più di 20 anni e che lotta da sempre per la libertà del suo paese, la Birmania. http://www.dassk.com/index.php
Aung San Suu Kyi, l'attivista birmana premio Nobel per la pace, è stata finalmente liberata dalla Giunta militare che la teneva agli arresti domiciliari. E come primo atto della sua ritrovata libertà, potrebbe ritirare proprio quel premio Nobel che gli fu assegnato nel 1991Thorbjoem Jagland, il presidente della commissione ha infatti rivolto un appello alla donna, chiedendole di recarsi al più presto ad Oslo per accettare il premio.

Nel 1991, la donna non ritirò il premio perché gli fu impedito, al suo posto andarono in Norvegia i suoi due figli, Alexander e Kim. Da quando, nel 1988 Aung San è tornata in Birmania per accudire la madre malata, non ha voluto più lasciare il paese per timore che gli fosse impedito farvi rientro. Proprio per questo Jagland ha anche aggiunto che le autorità birmane dovrebbero dare al premio Nobel delle garanzie perché le sia permesso rientrare in patria. "Suppongo che lei non voglia lasciare la Birmania senza questa garanzia", ha detto l'uomo.

La notizia del rilascio della donna, ormai annunciato da giorni, ha provocato la reazione gioiosa di una folla di suoi sostenitori che si sono riuniti intorno alla sua casa. Aung San Suu si è rivolta proprio a quella folla per ringraziarla, e per chiederle di tornare domani, quando pronuncierà il suo primo discorso "da donna libera".

E non solo in Myanmar la notizia è stata accolta con entusiasmo. Nelle ultime ore si sono infatti moltiplicate le dichiarazioni da parte di numerosi leader europei ed internazionali. Particolarmente significative le parole del presidente americano Barack Obama che ha chiamato Aung San "la mia eroina". "Mentre il regime birmano tentava di isolare e ridurre al silenzio Aung San Suu Kyi, -ha detto il Presidente in un comunicato- lei ha continuato la sua coraggiosa lotta per la democrazia e il cambiamento in Birmania. E' la mia eroina ed è una fonte di ispirazione per tutti coloro che si adoperano a favore dell'affermazione dei diritti umani in Birmania e in tutto il mondo".

Annastella Palasciano

 
 
 

ITALIA CRESCITA ZERO

Post n°761 pubblicato il 07 Novembre 2010 da dammiltuoaiuto
 

El Pais: "Il decennio perso dell'Italia"Dal 2000 al 2010 è crescita zero, peggio di noi solo Haiti

http://www.italiafutura.it/dettaglio/111003/el_pais_il_decennio_perso_dellitalia

di Italia Futura , pubblicato il 29 ottobre 2010

immagine documento Il dato che viene fuori dal dossier di El Pais è chiaro: l'Italia è il fanalino di coda delle economie mondiali negli ultimi dieci anni. Su 180 paesi siamo al 179 posto, prima di Haiti, l'unica nazione in classifica ad essere "decresciuta" nel XXI° secolo.

Un decennio difficile per tutti le economie già sviluppate, ma il titolo dell'analisi del quotidiano spagnolo è eloquente: "Il decennio perso di Italia e Portogallo". Da notare che proprio il Portogallo fa comunque molto meglio di noi, con un dato di crescita decennale di 6,47% contro il nostro 2,43%.

Quella italiana è ancora la settima economia mondiale in termini di PIL, ma per quanto tempo ancora se non cresce? "Crescita zero, disoccupazione, conti pubblici in pessimo stato, e conseguente perdita di competitività", questo il ciclo descritto dal quotidiano, che fotografa la nostra situazione. "Gli economisti - prosegue El Pais - avvertono: se non si adotteranno le giuste misure per uscire dalla crisi, questo quadro economico bloccato potrebbe diventare la norma".

Scarica la classifica completa in versione pdf:

pagina 1

pagina2



La crescita ha subito un infarto. Dal 2000, da una ricerca del quotidiano El Pais, su 180 nazioni solo Haiti ha fatto peggio dell'Italia. Tutto il mondo si è sviluppato più di noi tranne Haiti, uno dei Paesi più poveri, devastato da un terremoto apocalittico.
Dal 2000 al 2010 si sono alternati nei governi di sinistra o di destra, alla guida della Confindustria e del sistema bancario, tutti i responsabili del nostro declino che è ormai irreversibile per almeno una generazione. Siamo i peggiori del pianeta, non solo del Burkina Faso, 44°, o del Montenegro, 115°. Tutti hanno fatto meglio, senza distinzione, tranne un'isola caraibica. E' arrivato il momento di decretare il fallimento di una classe dirigente, la peggiore degli ultimi 150 anni, senza fare alcuna distinzione, senza fare prigionieri. La collusione, più ancora della corruzione, è stato il male oscuro che ha infettato il corpo del Paese. I migliori si sono adeguati con ricche buonuscite o ruoli onorifici di prestigio, i peggiori hanno divorato l'economia di comune accordo, dalla svendita di Telecom, al disastro Alitalia, alle esequie di Italtel e Olivetti.
Un debito pubblico sempre più forte bussa alle nostre porte con centinaia di miliardi di euro da collocare all'inizio del 2011 pena il default. Non si tratta di essere allarmisti, ma realisti, di guardare la realtà in faccia. Il debito arriverà a 1900 miliardi entro pochi mesi. Il debito però non può crescere per sempre. Ci sarà, è inevitabile, un punto di non ritorno. Il debito cresce mentre l'economia è ferma da un'eternità. Le malate d'Europa, i cosiddetti PIGS, si sono sviluppate in questi dieci anni più di noi. L'Irlanda è al 131° posto, la Grecia al 132° e il Portogallo, 178°, un solo posto prima di noi e da tempo di fronte al baratro.

diecianni_bonds.jpg

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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