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LA TORTURA NEL MONDO

Post n°828 pubblicato il 25 Giugno 2011 da dammiltuoaiuto
 
Tag: tortura

Torture nel mondo, la lista delle tragedie
Dove ancora la polizia indaga seviziandoSecondo Amnesty International l'80% delle torture si pratica nei paesi del G20. L'esempio del "waterboarding" utilizzato dagli Usa. Mentre in 14 paesi, come l'Afghanistan, l'Iran, l'Iraq, la Nigeria, l'Arabia Saudita, la Somalia e il Sudan, si assiste a mutilazioni e fustigazioni
di LUCA ATTANASIO

ROMA - Nel nostro Paese, approdano migliaia di immigrati all'anno. Molti lasciano alle spalle una vita di stenti, povertà endemiche, altri fuggono da guerre, carestie, disastri naturali. Nel migliore dei casi, qualcuno progetta per sé un futuro fatto di studio o cerca un impiego dignitoso. Ma nel mezzo delle cifre e le stime che li quantificano, tra le pieghe dei dati ufficiali, si nasconde un numero enorme di uomini e donne che giungono da noi per salvarsi la pelle, che hanno subito torture, sevizie, abusi di ogni tipo. Non pensano a un futuro migliore, ma a garantirsi il presente.

Il 40% dei rifugiati ha subito torture.
A loro è dedicata la Giornata Internazionale delle Vittime di Tortura, che ricorda l'entrata in vigore, il 26 giugno 1987, della Convenzione Contro la Tortura. Il trattato, ratificato da 145 paesi dei 200 esistenti, (192 appartenenti alle Nazioni Unite), si prefiggeva di allarmare stati e governanti su una misura tanto crudele quanto utilizzata. Sono ormai passati 24 anni, ma il fenomeno sembra ancora godere di grande attualità. Dei rifugiati che giungono in paesi europei fino al 40% è stato almeno una volta torturato. Il dato si fa ancora più inquietante se si legge che per Amnesty International 1 l'80% delle torture e dei maltrattamenti si compiono nei paesi del G20. In almeno 14 paesi, tra cui Afghanistan, Iran, Iraq, Nigeria, Arabia Saudita, Somalia, Sudan, avvengono mutilazioni o fustigazioni come metodo di risarcimento giudiziario. Se prendiamo l'esempio del più popolato dei continenti, l'Asia, si può dire che a eccezione di Corea del Sud e Hong Kong, in quasi tutti gli altri paesi la tortura è considerata uno dei vari metodi di investigazione criminale.

Accordi solo sulla carta. "Quasi tutti i 200 Paesi del mondo - spiega Massimo Corti del direttivo di Acat (Azione dei Cristiani per l'Abolizione della Tortura 2) -  hanno firmato e la gran parte anche ratificato la Convenzione Mondiale contro la Tortura. Ma è semplice inchiostro su carta". La realtà invece è che in più della metà dei Paesi si pratica sistematicamente la tortura. In alcuni viene utilizzata senza troppi infingimenti. "Basterebbe una veloce carrellata - di nuovo Corti - su Google-immagini alla voce "Tortura paesi" per avere a disposizione un campionario agghiacciante. Ci sono poi Paesi che giocano con i nomi, autorizzando i cosiddetti "interrogatori duri", come negli USA del precedente governo, o Israele, che accetta una "forza moderata" negli interrogatori. Eufemismi dietro cui si celano, ad esempio, il cosiddetto waterboarding (annegamento controllato con secchiate d'acqua su un corpo sospeso con piedi più in alto della testa) o le "posizioni da stress" praticate dagli Stati Uniti".

"Vennero a prendermi di notte". E' il racconto di Ahmed, un curdo perseguitato nel Kurdistan turco perché oppositore politico. "E mi sbatterono dentro una cella buia. I primi giorni si facevano vivi solo per picchiarmi. Usavano un bastone o mi appendevano per le braccia con una fune lasciandomi così per ore. A distanza di anni, ho ancora forti dolori agli arti superiori". Senza affrontare la questione dei danni psicologici. Dal punto di vista sanitario, chi subisce tortura presenta un quadro clinico multiplo quanto estremamente complicato. Chi si occupa di loro deve ricorrere a interventi multispecialistici. La psicologa Adela Gutierrez del Servizio Richiedenti Protezione Internazionale, Rifugiati e Vittime di Tortura del San Gallicano-INMP 3:  "Quelli che si rivolgono al nostro servizio per richiedere asilo o protezione internazionale, hanno in stragrande maggioranza subìto torture, e i più disparati abusi. La percentuale è intorno al 90%. Nel nostro centro ci occupiamo della persona nella sua interezza mettendo a disposizione  psicologi, psicoterapeuti, medici, sociologi, antropologi e mediatori culturali".  

Gli incubi di Shirin. "Non dormo più una notte intera, faccio incubi di continuo" dice Shirin, una ragazza iraniana fuggita dalle torture della polizia segreta, mentre mi mostra le stimmate lasciatele sui palmi delle mani dal fil di ferro che gli sgherri usavano per picchiarla sulle mani aperte e legate. "Sono scappata con mia figlia di appena sei anni perché prima o poi avrebbero fatto fuori me e lei". "Lo chiamiamo KGB - Knar è fuggita dall'Armenia sconvolta dagli scontri politici seguiti alle elezioni del 2008 - è il servizio segreto della polizia. Al termine della grande manifestazione del 1 marzo 2008, hanno cominciato a sparare e poi ci hanno caricato in massa su camion. Io e mia figlia, di 17 anni, siamo finite in una grossa cella assieme ad una cinquantina di altre persone, negli scantinati di un palazzo al centro di Yerevan. Siamo rimaste lì tre giorni". Una discesa negli abissi con interrogatori ogni 8 ore - anche alla ragazza - e botte con bastoni sulla schiena e sulle gambe.

L'inferno qui in terra. Le torture quando avvengono nel paese di origine sono di tipo "istituzionalizzato" ad opera di governi, polizie, eserciti. Altre avvengono in casa. Ma spesso, si perpetrano nei paesi di transito. "Quelli che arrivano dal mare - aggiunge Gutierrez - passano in grandissima parte per Sudan e Libia.  Quasi tutti riportano di gravissime torture e sevizie di ogni tipo, fin dal primo momento in cui mettono piede in questi paesi. Racconti agghiaccianti, abusi inenarrabili. " Sono passata per il Sudan - mi dice ancora sconvolta Yergalum, una donna etiope di nemmeno 30 anni - e ho subìto molte violenze, poi ho trascorso dieci giorni nel deserto del Sahara dove sono arrivata a una passo dalla morte. Alla fine sono giunta in Libia". Il tratto più duro di questa infinita odissea?" "Il prete copto del mio villaggio, diceva sempre che l'inferno esiste già sulla terra. Aveva ragione, è in Libia".

Le varie forme del supplizio. A scorrere l'elenco ufficiale dei metodi di tortura classificati, si resta senza fiato. Percosse gravi; sospensione; tortura del freddo, caldo; camminare su oggetti taglienti; tortura dei denti, delle orecchie, delle unghie; l'elicottero (appesi a un grossa pala di ventilatore); elettricità; esecuzione simulata; deprivazione sensoriale, percettiva, sociale, dei bisogni elementari; stupro; costrizione in posizione (a volte la persona è cosparsa di sostanze che attirano animali). L'elenco è molto più lungo e crudele e quando si arriva a leggere la descrizione delle torture inflitte ai bambini - in 50 paesi del mondo riguardano anche loro - si preferisce immaginare. Disturbi post traumatici, gravi disturbi del sonno, depressioni, pensieri suicidi, manie di persecuzione, allucinazioni; sono questi i problemi più frequenti da esiti di tortura, riscontrati a un esame oggettivo degli uomini e le donne che si rivolgono ai centri di ascolto. Una lista di tragedie che non lascia dubbi.

Negli inferi per salvare almeno qualcuno. Dubbi, invece, ne lasciano gli occhi delle donne, degli uomini, dei ragazzini intervistati. Ti restano addosso, fissi, ti squassano la coscienza, agitata tra mille domande. Quell'uomo della tua stessa età, col tuo stesso numero di figli e le stesse attese, quella giovane donna, uguale a tua sorella, quella ragazzina, con la stessa felpa di tua figlia, che ama la stessa musica, perché? Difficile, forse impossibile trovare risposte. Per cercarle, quelli del San Gallicano, dell'ACAT o di centinaia di altre associazioni,oltre ad Amnesty International, scendono ogni giorno negli inferi e riemergono portando fuori qualcuno per mano.

 
 
 

SALVIAMO L'AMAZZONIA DALLA DEFORESTAZIONE DEI LATIFONDISTI BRASILIANI

Post n°827 pubblicato il 24 Giugno 2011 da dammiltuoaiuto
 

Il mondo a Dilma: salviamo l'Amazzonia

Alla Presidente Dilma Rousseff:
Le chiediamo di agire immediatamente per salvare le preziose foreste del Brasile: solo il suo veto può invertire i cambiamenti alla legge che oggi protegge l'Amazzonia. Le chiediamo inoltre di prevenire futuri assassinii di ambientalisti e di lavoratori, attraverso il rafforzamento della sicurezza contro i latifondisti che disboscano illegalmente la foresta e di aumentare la protezione delle persone che rischiano di essere uccise. Il mondo ha bisogno del Brasile come leader internazionale in difesa dell'ambiente, e la sua azione ora proteggerà il pianeta per le future generazioni.
  
500,000
448,302

448,302 hanno firmato la petizione. Aiutaci a raggiungere 500,000


L'Amazzonia è in serio pericolo: una delle due camere del Congresso del Brasile ha deciso di cestinare le leggi che oggi proteggono la foresta. Se non agiremo immediatamente la gran parte del polmone verde del nostro pianeta potrebbe essere distrutta.

La decisione ha scatenato un' indignazione diffusa e manifestazioni in tutto il paese. E la tensione sta crescendo: nelle ultime settimane molti ambientalisti sono stati uccisi, probabilmente da criminali commissionati dai latifondisti che disboscano illegalmente le foreste. Il tempo stringe, e ora stanno cercando di mettere a tacere ogni opposizione proprio mentre la legge è in discussione al Senato. Ma la Presidente Dilma può mettere il proprio veto, se solo riusciremo a convincerla che deve respingere le pressioni politiche nel paese e mostrarsi invece una leader a livello mondiale.

Il 79% dei brasiliani è in favore del veto di Dilma contro la modifica delle leggi che proteggono le foreste, ma le loro voci si scontrano con quelle della lobby dei latifondisti. Ora sta a noi alzare la posta e fare della protezione dell'Amazzonia una battaglia globale. Uniamoci in un appello enorme per fermare gli omicidi e la deforestazione illegale, e soprattutto per salvare l'Amazzonia. Firma la petizione a destra - sarà consegnata a Dilma non appena riceveremo 500.000 firme.

FIRMA QUI

http://www.avaaz.org/it/save_the_amazon/?rc=fb&pv=40 

 
 
 

contro la corrida

Post n°826 pubblicato il 19 Giugno 2011 da dammiltuoaiuto
 
Tag: corrida

 

Contro la corrida una proposta all’UNESCO

Spagna e Francia vogliono trasformare la corrida in eredità culturale, rendendola intoccabile. Ecco la petizione all’UNESCO per dire no.

 

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La corrida e, in generale, le manifestazioni folkloristiche che hanno come protagonisti i tori (che, soprattutto in Francia e Spagna, possono tranquillamente finire uccisi e persino bruciati vivi) sono una delle più orribili forme di abuso degli animali ancora esistenti. Il tutto, per il divertimento di un pubblico assetato di sangue.

Le corride portano alla morte, in tutto il mondo, 250,000 animali ogni anno.

Quello che sta succedendo ora è che i supporter di questo sanguinario spettacolo stanno cercando di ottenere, per quello che loro definiscono “uno sport”, la classificazione di “eredità culturale”. I politici francesi e spagnoli hanno recentemente votato a favore di quest’istanza.

Il destinatario di una tale richiesta è, naturalmente, l’UNESCO, che si occupa proprio di preservare il patrimonio dell’umanità e le tradizioni culturali.

La corrida e il massacro dei tori non sono nulla di tutto questo. Sono abusi. Sono violenze.

È arrivato dunque il momento di far sapere all’UNESCO che non appoggeremo mai una decisione che accetti la corrida, o qualunque atto di criminalità nei confronti degli animali, come una pratica valevole dell’etichetta di “Eredità Culturale Intangibile”.

È importante ricordare che, se l’UNESCO approvasse la proposta di Spagna e Francia, non solo verrebbe legalmente definita intoccabile una pratica brutale, ma anche che verrebbero stanziati fondi per renderla economicamente remunerativa e praticabile.

Questa è la lettera che Humane Society International invierà all’UNESCO per manifestare il proprio dissenso. Ha bisogno anche di noi. Firmiamola, e invitiamo gli altri a fare altrettanto.

Firma   QUI   

  https://secure.humanesociety.org/site/Advocacy?cmd=display&page=UserAction&id=4991

 

 
 
 

Scientology, esce il libro “Il coraggio di parlare” di Maria Pia Gardini Il coraggio di parlare14 storie emblematiche,

Post n°825 pubblicato il 10 Giugno 2011 da dammiltuoaiuto
 

Scientology, esce il libro “Il coraggio di parlare” di Maria Pia Gardini

Il coraggio di parlare14 storie emblematiche, una decina di fuoriusciti italiani, le altre di stranieri. Il libro di Gardini-Laggia (in uscita per le Edizioni Paoline) offre per la prima volta la possibilità di conoscere queste storie di speranza e delusione.

Speranza di aver pensato di trovare in Scientology una strada per migliorare sé stessi; delusione per essersi resi conto di aver buttato anni della propria vita, tanti soldi e spesso anche le relazioni umane più importanti.

«Quattordici storie diversissime», scrive Laggia nell’introduzione del libro, «per raccontare la stessa vicenda: quella di chi entra nel movimento, spesso con l’entusiasmo e la curiosità del neofita, spinto dalla speranza di migliorare la propria vita, di diventare un “vincente” o, piuttosto, di uscire dalla droga o da altre dipendenze, ma con il tempo scopre d’esser piombato dentro un incubo da cui è tremendamente difficile svegliarsi.

Un’esperienza che, da deludente, diventa oppressiva e infine distruttiva per la propria persona e per i propri beni materiali».

È un racconto lucido e sconvolgente, quello dei fuoriusciti. Tanto che ci si rende conto, pagina dopo pagina, che non c’è voluto solo il coraggio di rendere pubblica la propria storia, ma che, prima ancora, hanno mostrato un coraggio ben maggiore ad andarsene, «perché, più della scelta scabrosa di raccontare in pubblico la propria storia di scientologist, è stato difficile decidere di abbandonare un’esperienza totalizzante e pervasiva, com’è quella della sequela alla Chiesa di Hubbard, vincendo pesantissime pressioni psicologiche», aggiunge Alberto Laggia. «Infatti, come ebbe a confessarmi la stessa Maria Pia Gardini, “quando ti allontani da un culto come Scientology, spesso ne sei uscita solo con le gambe, ma la testa è ancora dentro”».

Quanti sono gli adepti di Scientology? Centinaia di migliaia in tutto il mondo, stando a quanto dichiara la stessa Chiesa. E quanti gli “ex”? Tanti, anche se è un numero difficile da quantificare. «Basta navigare “in Rete” (cioè in Internet, ndr) per cogliere l’entità del fenomeno», scrivono gli autori del libro.

Serve raccontare queste storie? Alla domanda risponde una delle protagoniste, Bryce, nome di fantasia di un ex membro dello staff di Scientology piemontese: «Non credo», dice, «che le esperienze che noi raccontiamo qui possano far aprire gli occhi a uno scientologo felice. Servono invece a infondere coraggio a chi ha dei dubbi ma ancora non riesce ad andarsene. Servono a informare familiari e parenti su cosa sia realmente lo strano gruppo a cui ha aderito il congiunto e su cosa stia realmente facendo».

Di motivi, aggiungiamo noi, ce n’è almeno un altro: preavvertire dei rischi. Non solo del fatto che si mettono a repentaglio famiglia e affetti, ma anche di aspetti ben più concreti e penalmente rilevanti: è del mese scorso l’ennesima vicenda giudiziaria che coinvolge Scientology. Una pesante condanna della giustizia francese: 600 mila euro di multa e una pena di due anni per uno dei massimi responsabili della Chiesa transalpina di Hubbard. Condanna per sottrazione di decine di migliaia di euro a quattro anziani adepti, «approfittando della loro vulnerabilità», scrive il Tribunale di Parigi.

 
 
 

RICHIESTA DI IMMUNITA' PER I CASI DI PEDOFILIA RICHIESTA DALLA CHIESA ALLO STATO USA

Post n°824 pubblicato il 10 Giugno 2011 da dammiltuoaiuto
 

USA, Vaticano citato in giudizio per casi di pedofilia fa nuovamente appello all’immunità

WASHINGTON – Due corti di appello federali, Oregon e Kentucky, hanno recentemente autorizzato l’avvio di azioni legali contro il Vaticano per abusi sessuali.

Lo rende noto il Washington Post, specificando che i legali della Santa Sede hanno chiesto alla Corte suprema di esaminare l’appello per il caso dell’Oregon, facendo nuovamente riscorso all’immunità per evitarne il coinvolgimento, come nel 1994 (Vedi documento originaleScarica documento originale) e nel 2005.

Richiesta di immunità per Giovanni Paolo II del 1994

Richiesta di immunità del 1994 per Giovanni Paolo II

Se questa estate la Corte Suprema rifiutasse di proseguire, lasciando in vigore il verdetto delle Corti federali, i legali avranno facoltà di richiedere documenti decadi di documenti e convocare responsabili del Vaticano.

Nel caso dell’Oregon gli avvocati delle vittime hanno sostenuto che i sacerdoti sono “impiegati” del papa, per i quali lui stesso è responsabile.

La linea di difesa della Santa Sede, come in altri casi, è incentrata sull’immunità diplomatica già concessa altre volte al Vaticano e ai suoi rappresentanti.

Nel 1994, fu fatta pressione perché gli Stati Uniti d’America concedessero l’immunità a Giovanni Paolo II (Vedi documento originaleScarica documento originale).  Tale richiesta fu accolta poco tempo dopo.

Nel 2005, fu concessa l’immunità a Benedetto XVI dagli Stati Uniti d’America su sollecitazione da parte degli avvocati della Santa Sede.

«La ragione per cui esiste un così grave problema nella Chiesa Cattolica – afferma Jeff Anderson, che ha rappresentato centinaia di vittime dagli anni ’80 e sta lavorando al caso in Oregon – è il modo insulare e arrogante in cui opera il Vaticano. Sono legalmente impenetrabili.»

Jeffrey Lena, un avvocato che rappresenta la Santa Sede, ha rifiutato di commentare l’azione legale.

 
 
 

INTERVISTA ESCLUSIVA] Preti pedofili, sacerdote-psicologo racconta: «così vengono nascosti dal Vaticano»

Post n°823 pubblicato il 10 Giugno 2011 da dammiltuoaiuto
 

INTERVISTA ESCLUSIVA] Preti pedofili, sacerdote-psicologo racconta: «così vengono nascosti dal Vaticano»

http://abateoimpertinente.wordpress.com/2010/04/13/intervista-esclusiva-preti-pedofili-sacerdote-psicologo-racconta-cosi-vengono-nascosti-dal-vaticano/

ROMA – Un lungo dialogo quello tenuto dall’abAteo Impertinente con don Carlo – il cui nome è stato alterato per proteggere la sua identità - sacerdote, psicologo e insegnante di psicologia presso una prestigiosa università.

Il tema: la pedofilia nella Chiesa Cattolica e il modus agendi del Vaticano. «Provo vergogna per quello a cui ho assistito in tanti anni – afferma don Carlo – e per il modo in cui è stata gestita finora la “patata bollente” della pedofilia.»

Don Carlo, in che modo e a che titolo è entrato nel dramma della pedofilia clericale?

«Oltre che prete, insegno psicologia in una nota università. Fui chiamato dal Vaticano, in qualità di psicologo, a lavorare in un centro di supporto per sacerdoti con problemi ”di varia natura”. Così, almeno, mi venne detto in un primo momento.»

Ci faccia capire meglio: lei non sapeva di quali problemi si trattasse? Non chiese spiegazioni prima di accettare questo lavoro?

«Erano informazioni riservate alle quali avrei avuto accesso solo dopo aver accettato. Ho chiesto, anche informalmente, quale tipo di problematiche avrei affrontato, senza ricevere risposte adeguate.»

Per quale motivo, allora, accettò quell’incarico?

«Non è semplice rifiutare qualcosa proveniente dai piani alti.»

 Andiamo al suo primo giorno di lavoro. Cosa ricorda?

«Ricordo che mi venne subito premesso che, al di fuori della struttura, non mi era permesso parlare delle attività, né dei “pazienti” ricoverati, né delle informazioni raccolte. Non potevo neanche chiedere il parere di altri colleghi (psicologi, ndr.). Dovevo cavarmela da solo, insomma. Mi fu fatto leggere un giuramento con il quale mi impegnavo a mantenere il più stretto riserbo su qualsiasi notizia appresa durante lo svolgimento del mio lavoro, pena la scomunica latae sententiae. E’ per questo motivo che oggi non voglio rivelare la mia identità.»

Le fu finalmente detto in cosa consisteva il suo lavoro ma non ne fu entusiasta…

«Esattamente. Fui accompagnato alla stanza dove avrei svolto il mio lavoro e mi furono spiegati i miei compiti. Avrei dovuto condurre sedute di psicoterapia di gruppo con sacerdoti afflitti da problemi di natura sessuale e riferire la loro idoneità o meno a riprendere l’attività pastorale.»

Quale tipo di terapia conduce?

«Principalmente viene adottata la psicoterapia cognitivo-comportamentale. Lo scopo delle sedute è ridurre o eliminare psicopatologie quali ipersessualità e i comportamenti parafilici. L’uso dei farmaci è molto raro.»

Ipersessualità e comportamenti parafilici: può brevemente spiegare cosa sono?

«L’ipersessualità è la dipendenza dal sesso. Il Codice Canonico impone la castità assoluta, anche il rapporto sessuale con una donna è considerato un grave peccato. Le parafilie comprendono, invece, quei comportamenti sessuali che non rientrano nella norma. In questo ambito ricade la pedofilia.»

E l’omosessualità?

«Mi aspettavo questa domanda. L’omosessualità… dovrebbe saperlo no? E’ un peccato contro natura.»

Quindi sta dicendo che pedofili e omosessuali vengono trattati allo stesso modo?

«Sono perversioni sessuali…»

Secondo i manuali attuali non è così…

«Nella categorizzazione scientifica l’omosessualità faceva parte dei disturbi mentali, è stata rimossa in seguito… In ogni caso, devo seguire il Catechismo della Chiesa Cattolica…»

La sua è una posizione scomoda. Torniamo al suo lavoro: in cosa si è imbattuto?

«Durante i primi mesi mi furono affidati i casi meno gravi, diciamo. Sa, quei sacerdoti che fanno una scappatella…»

Si è letto ultimamente di preti che hanno avuto rapporti con delle suore. Ha trattato anche lei casi analoghi? Nel centro vengono ospitate anche suore con gli stessi problemi?

«Ci sono stati alcuni casi, ma il centro è esclusivamente maschile.»

Ci può dire, grosso modo, quanti casi del genere ha avuto in terapia? 

«Non so dare un numero esatto, però non posso neanche dire che fossero pochi…»

Entriamo nella parte, ce lo conceda, più oscura del suo lavoro: la pedofilia. Come viene trattata, cosa accade ai sacerdoti?

«Viene adottata la terapia verbale. I sacerdoti, divisi in gruppi, vengono assegnati allo psicologo che deve, con gli strumenti messi a disposizione, alleviare o eliminare il disturbo mentale. A fine terapia, che può durare qualche mese o qualche anno nei casi più gravi, viene inviato un rapporto alla Congregazione per la dottrina della fede per ogni singolo sacerdote, al quale viene allegata una dichiarazione, più o meno spontanea, dell’ammissione delle proprie colpe e del sentito pentimento. A quel punto viene deciso, dalla Congregazione per la dottrina della fede, se riabilitarlo e farlo tornare nella sua parrocchia, trasferirlo in un’altra o prolungare la terapia. Deve capire che non è possibile fare molto di più in un clima di estrema riservatezza.»

Quindi, in definitiva, è il Vaticano a decidere se un sacerdote con problemi di pedofilia sia idoneo a tornare alle sue mansioni? Conosce quali criteri vengono utilizzati in questa valutazione?

«Il compito del centro è curare il sacerdote. L’ultima parola spetta alla Congregazione per la dottrina della fede e non facendone parte, non conosco i loro criteri.»

Quanti sacerdoti sono stati riabilitati?

«Quasi tutti, al termine della prima terapia, tornano ad amministrare i sacramenti. E’ più raro che il sacerdote torni alla Diocesi di appartenenza, di solito avviene il trasferimento in parrocchie di piccoli paesini, lontani dalla propria.»

Quanti sacerdoti, secondo lei, sono “guariti” dalla pedofilia?

«Nessuno. Non esiste cura per la pedofilia, purtroppo…»

Cosa succede quando il sacerdote torna al suo lavoro?

«Le racconterò questo: un sacerdote, riabilitato e trasferito in una parrocchia di un piccolo paesino tra le Alpi, è ricaduto in poco tempo…»

E?

«Dopo alcuni mesi è stato trasferito in un convento…»

Senza essere ridotto allo stato laicale…

«Esatto.»

E’ un caso isolato o è la norma?

«E’ quello che più spesso accade. Il sacerdote torna in parrocchia, ricomincia ad abusare e viene chiuso in un convento o in un luogo di ritiro.»

Non tornano in terapia…

«A volte è accaduto, ma la prassi è quella.»

Sacerdoti italiani o anche stranieri?

«Principalmente italiani, ma non sono mancati sacerdoti di altre nazioni.»

Può fare qualche nome?

«Sarebbe un autogol. Venire identificato, sarebbe una condanna per me. Ho molta paura di ritorsioni.»

Una domanda sorge spontanea: i sacerdoti che ha avuto in cura sono mai stati denunciati alle autorità civili?

«Assolutamente no. E’ vietato parlare del centro e di tutto ciò che accade all’interno. Se avessi denunciato, sarei stato scomunicato immediatamente.»

Perchè sacerdoti con questo tipo di problemi vengono “spediti” in questo centro?

«La Chiesa non vuole pubblicità di questo tipo, preferisce agire facendo poco o nessun rumore.»

Perché ha deciso di parlarne?

«Provo vergogna per quello a cui ho assistito in tanti anni e per il modo in cui è stata gestita finora la “patata bollente” della pedofilia. Questi sacerdoti dovrebbero essere non solo ridotti allo stato laicale ma anche scomunicati. Ma questo non avviene quasi mai, se non per i casi di pubblico dominio.»

Esistono altri centri come quello in cui lavora?

«Ne conosco almeno altri due in Italia, non so all’estero.»

Per quale motivo la Chiesa Cattolica è così omertosa?

«C’è sempre stato timore dello scandalo. La Chiesa non vive un momento storico felice, penso sia evidente anche da quello che si legge ultimamente dai giornali.»

A proposito dello scandalo scoppiato in questi giorni, è terminato o c’è da aspettarsi altri colpi di scena?

«Il bubbone non è ancora esploso. Crede forse che in Italia la situazione sia stata differente rispetto all’Irlanda o agli Stati Uniti? Le associazioni nel nostro paese si stanno formando solo ora, ci vorrà tempo sicuramente ma non si può insabbiare tutto in eterno…»

Un’ultima domanda: secondo lei, è vero quanto riferito dal New York Times, ossia che Ratzinger era a conoscenza degli abusi sessuali ma ha taciuto e nascosto questi fatti?

«Posso solo dire quello che ho visto e vissuto in prima persona. La risposta a questa domanda glie l’ho già data, anche se indirettamente.»

 
 
 

Red Bull: scegli da che parte stare

Post n°822 pubblicato il 02 Giugno 2011 da dammiltuoaiuto
 

Cari amici,



Venerdì gli spietati governanti del Bahrein potrebbero ottenere di ospitare il prestigioso Grand Prix di Formula 1.
Ma sono molti i piloti a essere contrari a gareggiare in un paese che ha torturato infermiere, studenti e manifestanti innocenti. Chiediamo a Red Bull, la squadra principale, e ai suoi rivali di boicottare il Bahrein finché non fermerà le violenze!

Red Bull si è costruita la reputazione di essere una bibita divertente e sportiva; ma da questo venerdì, insieme alle principali squadre della Formula Uno, potrebbe essere ricordata per aver sostenuto un governo che tortura e uccide i suoi cittadini. La F1 ha 24 ore per decidere se effettuare la gara - al momento rimandata - in Bahrein, uno degli stati mediorientali più brutali nella repressione contro i manifestanti.

Se Red Bull si rifiuterà di gareggiare in Bahrein, e le altre squadre la seguiranno, la gara di Formula Uno potrebbe essere cancellata, mandando così un segnale fortissimo allo spietato governo del Bahrein e inviando il messaggio inequivocabile che il mondo non rimane indifferente davanti alle torture di stato. Già in passato i boicottaggi sportivi hanno influenzato altri regimi, come quello dell'apartheid in Sud Africa: possiamo riuscirci di nuovo.

Red Bull agirà soltanto se saremo in molti a chiedere insieme che il suo marchio e la sua reputazione non siano macchiati. Leviamo un grido fortissimo che gli aguzzini del governo del Bahrein non potranno silenziare, e chiediamo a Red Bull di non gareggiare in Bahrein quest'anno. Se 300.000 di noi firmeranno la petizione, Avaaz acquisterà inserzioni pubblicitarie per mandare il nostro messaggio ai dirigenti Red Bull. Ci rimane un solo giorno - firma ora e fai il passaparola con tutti:

http://www.avaaz.org/it/no_f1_in_brutal_bahrain/?vl

Il governo del Bahrein ha cacciato i media di tutto il mondo, ed è arrivato persino a torturare una giornalista che lavora per una tv francese. Nel buio di questo blackout sostiene che tutto è calmo e in ordine: una bugia sfacciata. La scorsa settimana alcune bombe lacrimogene sono state lanciate contro la finestra di un attivista pro-diritti umani. E' riuscito a salvare suo fratello, sua moglie e sua figlia, che stavano per morire per soffocamento. Si è ora rivolto ad Avaaz per chiederci di "fare tutto quello che potete per fermare il governo dall'attaccare la mia persona e la mia famiglia".

Il Bahrein ha persino derubato e malmenato un quarto dei lavoratori della sua gara di F1. Un lavoratore della pista gravemente ferito ha raccontato: "un poliziotto mi ha messo la testa fra le sue gambe, mi ha sbattuto a terra e ha cominciato a picchiarmi pesantemente". Molte persone sono scomparse, come uno studente che era stato ferito durante un attacco all'università del Bahrein. Medici, giornalisti e altri hanno raccontato cose atroci riguardo alle torture e agli abusi commessi dalla polizia.

All'inizio dell'anno, prima che i manifestanti riuscissero a portare il Bahrein sulle prime pagine di tutti i giornali, la gara in Bahrein era stata rimandata. Ma ora il capo della F1 vuole andare fino in fondo e fare la gara. Dice che quello che sta succedendo non lo riguarda, ma è ben consapevole che gareggiare in Bahrein davanti alle telecamere di tutto il mondo farebbe il gioco di questo governo sanguinario. Mettiamoci dalla parte delle infermiere, degli studenti e di tutti gli altri abitanti del Bahrein che sono stati feriti e massacrati per aver chiesto a Red Bull di dire no alla F1 nel loro paese. Se Red Bull sarà d'accordo, anche gli altri team seguiranno. Firma la petizione ora e inviala a tutti:

http://www.avaaz.org/it/no_f1_in_brutal_bahrain/?vl

Gli sport che facciamo e seguiamo in tv possono migliorarci, ma possono anche essere utilizzati come pedine di giochi politici. Insieme possiamo dimostrare che le persone che si battono in favore dei diritti umani possono avere la meglio contro i soldi e la brutalità.

Con speranza e determinazione,

Alex, Sam, Ricken, Mia, Pascal e tutto il team di Avaaz


PIU' INFORMAZIONI

Bahrein, gli ospedali usati come esche. I pazienti vengono arrestati e seviziati
http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2011/05/25/news/bahrain_gli_ospedali_usati_come_esche_i_pazienti_vengono_arrestati_e_seviziati-16735630/

F1, il Bahrein vuole tornare nel calendario 2011
http://f1grandprix.motorionline.com/f1-il-bahrain-vuole-tornare-nel-calendario-2011/

Bahrein, incarcerato un membro di MSF
http://www.medicisenzafrontiere.it/msfinforma/news.asp?id=2664&ref=listaHomepage

La giornalista di France 24 torturata perché ha raccontato delle manifestazioni pro-democrazia (in inglese)
http://en.rsf.org/bahrain-france-24-correspondent-tortured-30-05-2011,40374.html

Lettera alla Federazione Internazionale dell'Automobile e all'Associazione della Formula Uno riguardo all'evento in Bahrein (in inglese)
http://www.hrw.org/en/news/2011/05/26/letter-federation-internationale-de-lautomobile-and-formula-one-teams-association-re

I video dei manifestanti che raccontano repressione in Bahrein
http://revolutionreports.avaaz.org/tagged/bahrain

Il Bahrein fa di tutto per tornare alla normalità (in inglese)
http://www.ft.com/cms/s/0/ad623440-856e-11e0-ae32-00144feabdc0.html#axzz1NRshjj3t

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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