Un blog creato da dammiltuoaiuto il 19/08/2007

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IN ITALIA EVADONO PERSINO LE BADANTI

Post n°928 pubblicato il 10 Gennaio 2012 da dammiltuoaiuto
 

IN ITALIA EVADONO PERSINO LE BADANTI OLTRE I RICCONI CON SUV E NULLATENENTI

Dal XV Censimento sapremo  forse quanti canarini e bidet  possieda ogni famiglia italiana,  ma continueremo a ignorare quanti siano davvero gli stranieri, quanti lavorino e paghino le tasse.  A giudicare dalle dichiarazioni dei redditi: pochini, dalla popolazione carceraria: tantissimi, da un tragitto in metropolitana: troppi. Eppure ci continuano a raccontare che senza di loro la nostra economia andrebbe a rotoli (cosa che sta succedendo comunque), che l’Inps non saprebbe come pagare le nostre pensioni e che nessuno si occuperebbe dei nostri anziani. Proprio le badanti sono diventate il più sacro feticcio del patriottismo postmoderno, le vere insostituibili colonne della nostra senescente società. Proprio il loro numero è il più misterioso di tutti: c’è chi dice un milione e mezzo, chi altro. Nel 2009 erano registrate circa 600mila colf e badanti, per tre quarti foreste. Dalla regolarizzazione se ne attendeva una valanga: solo 275 mila lo hanno fatto e neppure in forma permanente. Insomma una bella fetta lavora in nero e se ne impippa di tasse e accise. Però i soldi - pochi o tanti - li guadagna e ne spedisce un bel po’ al paesello: 6miliardi e 385 milioni nel 2010 per vie regolari e almeno altrettanti di sfroso.  Irregolari e furbacchioni non pagano tasse ma ricevono  tutte assistenza  dallo stato italiano come  qualsiasi  cittadino: tutto sulle spalle di gente che per prelevare la pensione deve aprire un conto corrente e che - se sbaglia una virgola sul 730 -  si becca multe e pignoramenti.Ha ragione il ministro Riccardi: gli stranieri non devono pagare un ghello neppure per la tassa di soggiorno.  i cittadini italiani devono  pagare  anche  per  le badanti  evasore  , ma   allora  facciamo   i  controlli   incrociati nei   permessi   di   soggiorni    e   i  redditi   non denunciati    abbassiamo   il tetto   dei   7500  euro     dicendo   che  non   esiste   piu'  soglia   minima  per  non  dichiarare  e questa  marea  di  soldi   recuperata    destiniamola   al   sociale

 

Colf e badanti, la metà non pagano le tasse

 

http://www.stranieriinitalia.it/attualita-colf_e_badanti_la_meta_non_pagano_le_tasse_6745.html

 

Lunedì 15 Dicembre 2008

Inchiesta del settimanale Panorama di questa settimana ROMA, 15 dicembre 2008 - In Italia lavorano poco meno di 1 milione 200 mila collaboratori domestici ma di tutte queste persone all’Inps ne risultano appena 560 mila, comprendendo pure chi versa i contributi per una sola ora di servizio a settimana.

 

Lo rileva un'inchiesta del settimanale Panorama di questa settimana.

 

 

Secondo il Censis - spiega il settimanale - elaborando le indagini campionarie dell’Istat e le risposte delle famiglie sul rapporto con eventuali collaboratori domestici, si arriva alla conclusione che gli irregolari, cioè i lavoratori totalmente in nero, siano in numero più o meno equivalente, anzi leggermente più alto di quello dei dipendenti regolarmente denunciati all’Inps, sia per quanto riguarda gli italiani sia per quanto riguarda gli stranieri. Da qui si arriva a sfiorare nel complesso il milione 200 mila unità, una cifra che lo stesso Censis considera stimata in modo assai prudente e che è composta per oltre il 70 per cento da personale proveniente da altri paesi. Per larga parte i lavoratori totalmente in nero sono, appunto, stranieri, spesso anche senza permesso di soggiorno.

 

Secondo l’esperienza dei caf interpellati da Panorama, cioè le organizzazioni che aiutano i contribuenti a fare la dichiarazione dei redditi, appena un terzo delle colf e delle badanti con i contratti a orario più lungo presenta redditi che superano la soglia minima dell’esenzione e quindi deve versare le imposte. Secondo il settimanale per avere un’idea delle grandezze in gioco basti dire che la contribuzione per i contratti da oltre 30 ore a settimana ha riguardato nel 2007, secondo le più recenti tabelle dell’Inps, 65.219 persone, di cui oltre 55 mila stranieri.

 

Perché avvengono le irregolarità si chiede Panorama? Ovviamente - spiegano - la famiglia ha interesse a risparmiare e la badante ad avere più soldi netti in tasca. Ma l’accordo perverso tra datore di lavoro e dipendente in questo caso non spiega fino in fondo la vastità del fenomeno. Basti citare a titolo di esempio altre due ragioni che oggi sono alla base della generale tendenza all’irregolarità nel lavoro domestico. La prima riguarda la consistenza della pensione che, data la scarsa entità dello stipendio, maturano colf e badanti: dopo 30 anni di contributi pieni, magari per otto ore al giorno, si è no arrivano al minimo Inps. La seconda ragione deriva dalla provenienza geografica delle collaboratrici familiari: a differenza delle prime ondate di immigrazione, dalle Filippine o dal Sud America, oggi prevale l’arrivo di collocaboratori familiari dai paesi dell’Europa dell’Est. Ciò ha provocato un cambiamento di fondo. Tutte le indagini indicano che le nuove colf e badanti non vogliono restare qui e neppure portarsi a casa i contributi, tanto più che molti dei loro paesi di origine non hanno neppure firmato le convenzioni con l’Italia. Il loro obiettivo è un altro: mettere da parte il gruzzolo più pingue possibile in pochi anni e poi tornare dai propri cari. In altre parole, hanno interesse a incassare soldi, non contributi.

 

La conseguenza di tutta questa irregolarità alla fine si scarica sul sistema fiscale. Spiega Paolo Conti del Caf Acli: “Il reddito dei collaboratori domestici è a tutti gli effetti reddito da lavoro dipendente. Il minimo per essere obbligati a fare la dichiarazione è pari a 7.500 euro l’anno. Se poi si hanno familiari a carico il limite sale: per esempio, con un figlio si superano i 9 mila euro e così via”. Oltre queste soglie si pagano le imposte. Al di sotto, niente. Ma appunto, con tutte queste irregolarità, chi arriva a versare qualche manciata di euro? L’Agenzia delle entrate non ha dati generali: non c’è un codice che identifichi colf e badanti e dunque queste si confondono con gli altri lavoratori dipendenti. Ma Panorama ha interpellato in proposito diversi caf. Le risposte sono risultate abbastanza omogenee: da un quarto a un terzo di coloro che versano contributi all’Inps per i contratti di lavoro più consistenti arrivano a versare le imposte.

 
 
 

LA CASTA E' CASTA LE PENSIONI CHE NON SI TOCCANO

Post n°927 pubblicato il 09 Gennaio 2012 da dammiltuoaiuto
 


Pensioni che resteranno.
Vittorio Sgarbi, ex parlamentare, in pensione a 54 anni, 8 mila e 500 euro al mese. Mauro Sentinelli, classe '47, ex manager Telecom, 3 mila euro al giorno, 90 mila euro al mese di pensione. Manuela Bossi, ex insegnante, moglie del Senatur, in pensione a 39 anni. Alfonso Pecoraro Scanio, ex parlamentare, in pensione a 49 anni, 9 mila euro al mese. Achille Serra, Senatore, stipendio da parlamentare più 22 mila euro al mese di pensione. Clemente Mastella, stipendio da Eurodeputato più pensione da 9 mila e 600 euro al mese: 397 giorni di lavoro per maturarla.

Eccetera eccetera, Presidente Monti.


[Clicca per ingrandire - Leggi l'articolo dell'Espresso]

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I 15 miliardi per i 131 cacciabombardieri F35 spendiamoli per mettere in sicurezza il territorio»

Post n°926 pubblicato il 09 Gennaio 2012 da dammiltuoaiuto
 

 

VIgni: «I 15 miliardi per i 131 cacciabombardieri F35 spendiamoli per mettere in sicurezza il territorio»

[ 5 gennaio 2012 ]

Il governo non molla e nonostante la pioggia di critiche e di proteste, sembra intenzionato a confermare, nell'ambito del programma Joint Strike Fighter, la spesa di 15 miliardi di euro per l'acquisto di 131 caccia bombardieri F35.

Il governo Monti continua a dire che non può stracciare quel contratto che, in tempi di crisi (ma non solo), è un vero e proprio insulto alla miseria e una presa in giro per i contribuenti ai quali si chiedono sacrifici, perché «Le penali sono troppo alte. "Impossibile -è la risposta più utilizzata. il prezzo delle penali sarebbe maggiore della fattura di acquisto», ma un'inchiesta di Altreconomia, accolta da un glaciale silenzio, ha dimostrato che le cose stanno molto diversamente.

Altraeconomia cita l'accordo fra i Paesi compartecipanti che ha sottoscritto l'Italia il 7 febbraio del 2007 (governo Prodi): «La sezione XIX del documento stabilisce che qualsiasi Stato partecipante possa "ritirarsi dall'accordo con un preavviso scritto di 90 giorni da notificarsi agli altri compartecipanti. In tale evenienza il Comitato esecutivo del Jsf deciderà i passi successivi e il Paese che ha deciso di lasciare il consorzio continuerà a fornire il proprio contributo, finanziario o di natura operativa, fino alla data effettiva di ritiro».

Secondo Altraeconomia «Il Memorandum mette comunque al riparo tale mossa da costi ulteriori. In caso di ritiro precedente alla sottoscrizione di qualsiasi contratto di acquisto finale degli aerei nemmeno i costi di chiusura della linea produttiva, altrimenti condivisi, potrebbero essere imputati e "in nessun caso il contributo finanziario totale di un Paese che si ritira - compresi eventuali costi imprevisti dovuti alla terminazione dei contratti - potrà superare il tetto massimo previsto nella sezione V del Memorandum of Understanding"».

Questa sezione del documento stabilisce che «I costi non-ricorrenti e condivisi di produzione, sostentamento e sviluppo del progetto siano distribuiti, secondo tabelle aggiornate a fine 2009, in base al grado di partecipazione al programma di ciascun Stato. Per l'Italia ciò significa, nell'attuale fase (denominata "PSFD": Production, Sustainment, Follow-on Development), una cifra massima totale, calcolata a valori costanti del dollaro, di 904 milioni». Un bel risparmio, non c'è che dire!

Il Government accountability office Usa, sostiene che l'aereo «Nasconde una serie infinita di problemi. Si tratta di un flop: costato tre volte più del previsto, l'F-35 non ha ancora dimostrato di essere affidabile».

Il Canada ha già scelto di ritirarsi. Francesco Vignarca su Altreconomia ricorda che «Norvegia, Canada, Australia e Turchia hanno di recente messo in discussione la loro partecipazione al programma» e rivela che «E' stato l'attuale ministro della Difesa Di Paola (allora Segretario generale per la Difesa e gli Armamenti) a firmare, con una cerimonia a Washington nel giugno 2002, il primo accordo da un miliardo di euro per la partecipazione italiana al programma».

Sulla vicenda interviene oggi il presidente nazionale degli Ecologisti Democratici Fabrizio Vigni, facendo una proposta: «Spendere quasi 15 miliardi di euro, circa 1,3 miliardi all'anno, per acquistare 131 cacciabombardieri è una scelta insensata, tanto più dentro una crisi economica così grave. Qualcuno dice: è per la sicurezza dell'Italia. Bene: allora, a proposito di sicurezza, si parta dal fatto che almeno 5 milioni di italiani vivono in condizioni di rischio perché esposti al rischio di frane e alluvioni».

«E' il caso di ricordare - prosegue Vigni - che i finanziamenti per il dissesto idrogeologico sono ormai drammaticamente al di sotto dei 300 milioni di euro l'anno. Vale a dire tre o quattro volte meno della spesa prevista annualmente per i cacciabombardieri. Per garantire la sicurezza degli italiani si parta dalle vere priorità, come la difesa del suolo, e si utilizzino a tal fine parte delle risorse accantonate per i programmi militari. Demagogia? No, pragmatico realismo».

Tavola della Pace, Sbilanciamoci, Unimondo e ControllArmi, hanno lanciato una petizione che può essere siottoscrittta anche su internet: «Mentre con le due manovre economiche estive, per pareggiare i conti dello Stato, si chiedono forti sacrifici agli italiani con tagli agli enti locali, alla sanità, alle pensioni, all'istruzione, il Governo mantiene l'intenzione di procedere all'acquisto di 131 cacciabombardieri d'attacco F35 "Joint Strike Fighter" al costo di circa 20 miliardi di euro (15 per il solo acquisto e altri 5 in parte già spesi per lo sviluppo e le strutture di assemblaggio).

Le manovre approvate porteranno gravi conseguenze sui cittadini: si stimano proprio in 20 miliardi i tagli agli Enti Locali e alle Regioni (che si tradurranno in minori servizi sociali o in aumento delle tariffe), ed altri 20 miliardi saranno i tagli alle prestazioni sociali previsti dalla legge delega in materia fiscale ed assistenziale, senza contare il blocco dei contratti e degli aumenti ai dipendenti pubblici e l'aumento dell'IVA che colpirà indiscriminatemante tutti i consumatori.

Il tutto per partecipare ad un progetto di aereo militare "faraonico" (il più costosto della storia) di cui non si conoscono ancora i costi complessivi (cresciuti al momento almeno del 50% rispetto alle previsioni iniziali) e che ha già registrato forti critiche in altri paesi partner (Norvegia, Paesi Bassi) e addirittura ipotesi di cancellazione di acquisti da parte della Gran Bretagna. Senza dimenticare che, contemporaneamente, il nostro paese partecipa anche allo sviluppo e ai costosi acquisti dell'aereo europeo EuroFighter Typhoon. Con i 15 miliardi che si potrebbero risparmiare cancellando l'acquisizione degli F-35 JSF si potrebbero fare molte cose: ad esempio costruire duemila nuovi asili nido pubblici, mettere in sicurezza le oltre diecimila scuole pubbliche che non rispettano la legge 626 e le normative antincendio, garantire un'indennità di disoccupazione di 700 euro per sei mesi ai lavoratori parasubordinati che perdono il posto di lavoro.

«Siamo convinti che in un momento di crisi economica per prima cosa siano da salvaguardare i diritti fondamentali dei cittadini, investendo i fondi pubblici per creare presupposti ad una crescita reale del Paese senza gettare i soldi in un inutile e costoso aereo da guerra. Per questo chiediamo al governo di non procedere all'acquisto dei 131 cacciabombardieri F35 e destinare i fondi risparmiati alla garanzia dei diritti dei più deboli ed allo sviluppo del Paese investendo sulla società, l'ambiente, il lavoro e la solidarietà internazionale».

 
 
 

ECCO CHI COMANDA NEL MONDO

Post n°925 pubblicato il 08 Gennaio 2012 da dammiltuoaiuto
 

Economia ecologica

Rilanciamo l'articolo pubblicato su New Scientist, liberamente tradotto da Antonio Lupo

Matematici rivelano la rete capitalista che domina il mondo

[ 27 ottobre 2011 ]

Andy Coghlan and Debora MacKenzie

In accordo con le proteste che si vanno diffondendo per il mondo, i manifestanti stanno guadagnando nuovi argomenti.

Una analisi delle relazioni tra 43.000 imprese transnazionali ha concluso che un piccolo numero di esse, soprattutto banche, detiene un potere sproporzionalmente elevato sull'economia globale.
La conclusione è di tre ricercatori dell'Area di sistemi complessi dell'Istituto Federale di Tecnologia di Losanna, in Svizzera.

Questo è il primo studio che va oltre le ideologie e identifica empiricamente questa rete del potere  globale.
"La realtà é più complessa, dobbiamo andare oltre i dogmi, sia quelli delle teorie dei complotti che del libero mercato - ha affermato James Glattfelder, uno degli autori della ricerca -La nostra analisi è basata sulla realtà».

La Rete di controllo economico mondiale
L'analisi usa gli stessi modelli matematici impiegati da decine di anni per creare modelli dei sistemi naturali e per la costruzione di simulazione dei più diversi tipi. Ora è stata usata per studiare dati corporativi disponibili in tutto il mondo.

Il risultato è una mappa che traccia la rete di controllo tra le grandi imprese transnazionali a livello  globale.
Studi anteriori avevano già identificato che poche imprese controllano grandi pezzi dell'economia, ma questi studi includevano un numero limitato di imprese e non tenevano conto dei controlli indiretti di proprietà, non potendo quindi essere usati per dire come la rete di controllo economico potrebbe colpire l'economia mondiale - rendendola più o meno instabile, ad esempio.
Il nuovo studio può parlare di questo con l'autorità di chi ha analizzato una base di dati di 37 milioni di imprese e investitori.
L'analisi ha identificato 43.060 grandi imprese transnazionali
e ha tracciato le connessioni del controllo azionario tra di loro, costruendo un modello del potere economico su scala mondiale.

Il Potere economico mondiale
Raffinando ancora di più i dati, il modello finale ha rivelato un nucleo centrale di 1.318 grandi imprese con intrecci con due o più altre imprese - in media, ognuna di esse ha 20 connessioni con altre imprese.
Inoltre, sebbene questo nucleo centrale del potere economico concentri solo il 20% dei redditi globali di vendita, le 1.318 imprese insieme detengono la maggioranza delle azioni delle principali imprese del mondo, le cosiddette blue chips nei mercati azionari.
In altre parole, esse detengono un controllo sull'economia reale che tocca il 60% di tutte le vendite realizzate in tutto il mondo. E questo non è tutto.

La Super-entità economica
Quando gli scienziati hanno disfatto il groviglio di questa rete di proprietà incrociate,  hanno identificato una "super-entità" di 147 imprese intimamente inter-relazionate che controlla il  40% della ricchezza totale  da quel primo nucleo centrale di 1.318 imprese.
«In verità, meno del 1% delle compagnie controlla il 40% della intera rete» ha detto Glattfelder.
E la maggioranza di esse sono banche.

I ricercatori affermano nel loro studio che la concentrazione del potere in se non è né buono né cattivo, ma lo può essere questa interconnessione.
Come il mondo ha visto durante la crisi del  2008, queste reti sono molto instabili: basta che uno ha un problema serio che questo si propaga automaticamente a tutta la rete, trascinando con se l'economia mondiale come un tutto.
Essi ritengono, tuttavia, che questa super entità può non essere il risultato di una cospirazione, 147 imprese sarebbe un numero troppo grande per realizzare qualsiasi complotto.
La questione reale, secondo loro, é sapere se questo nucleo globale di potere economico può esercitare un potere politico centralizzato intenzionalmente.
Essi sospettano che le imprese possono sì competere tra di loro nel mercato, ma agiscono insieme per il loro interesse comune -e uno dei maggiori interessi sarebbe di resistere ai cambiamente nella  stessa rete.

Le prime 50 delle  147 imprese transnazionali superconnesse

1. Barclays plc
2. Capital Group Companies Inc
3. FMR Corporation
4. AXA
5. State Street Corporation
6. JP Morgan Chase & Co
7. Legal & General Group plc
8. Vanguard Group Inc
9. UBS AG
10. Merrill Lynch & Co Inc
11. Wellington Management Co LLP
12. Deutsche Bank AG
13. Franklin Resources Inc
14. Credit Suisse Group
15. Walton Enterprises LLC
16. Bank of New York Mellon Corp
17. Natixis
18. Goldman Sachs Group Inc
19. T Rowe Price Group Inc
20. Legg Mason Inc
21. Morgan Stanley
22. Mitsubishi UFJ Financial Group Inc
23. Northern Trust Corporation
24. Société Générale
25. Bank of America Corporation
26. Lloyds TSB Group plc
27. Invesco plc
28. Allianz SE 29. TIAA
29. Old Mutual Public Limited Company
30. Aviva plc
31. Schroders plc
32. Dodge & Cox
33. Lehman Brothers Holdings Inc*
34. Sun Life Financial Inc
35. Standard Life plc
36. CNCE
37. Nomura Holdings Inc
38. The Depository Trust Company
39. Massachusetts Mutual Life Insurance
40. ING Groep NV
41. Brandes Investment Partners LP
42. Unicredito Italiano SPA
43. Deposit Insurance Corporation of Japan
44. Vereniging Aegon
45. BNP Paribas
46. Affiliated Managers Group Inc
47. Resona Holdings Inc
48. Capital Group International Inc
49. China Petrochemical Group Company

Bibliografia:

The network of global corporate control Stefania Vitali, James  Glattfelder, Stefano Battiston arXiv

 http://arxiv.org/abs/1107.5728

 
 
 

La fame nel mondo e i biocarburanti: La bicicletta che salverà il mondo

Post n°924 pubblicato il 05 Gennaio 2012 da dammiltuoaiuto
 

La fame nel mondo e i biocarburanti: la postfazione di Edoardo Maturo al libro di Daniele Scaglione “La bicicletta che salverà il mondo”
Giovedì, 5 gennaio 2012 - 10:20:03

  http://affaritaliani.libero.it/sociale/bicicletta-che-salvera-il-mondo050112.html?refresh_ce

la bicicletta che salverà il mondo

Sgombriamo subito il campo da qualsiasi dubbio: parlare di biocarburanti significa parlare di fame. Non credete quindi a chi vi dice che i biocarburanti sono la soluzione all’inquinamento, a chi assicura che rappresentano la panacea al surriscaldamento del pianeta e nemmeno a chi sostiene che sono la nostra unica soluzione energetica. Credete piuttosto alle storie vere di persone che la sera sentono lo stomaco brontolare per colpa della nostra insaziabile sete di energia. Mai come oggi la parola ecologia è entrata nel nostro vocabolario quotidiano anche se ancora troppe poche persone sono disposte a rinunciare alla propria automobile, nemmeno per andare a comprare il pane dietro casa…

Di certo c’è che, con il petrolio che sta finendo e la Terra che sta diventando più bollente di un forno a microonde, è necessario fare qualcosa. Se ne sono accorti perfino i grandi della Terra. Non per ragioni filantropiche né tanto meno ecologiste, intendiamoci. Piuttosto perché sull’energia, da sempre, si gioca la delicata partita degli equilibri geopolitici sullo scacchiere internazionale.

Prendete ad esempio il Brasile e scoprirete che non è un caso che negli ultimi anni sia diventato una superpotenza mondiale. La ragione, provando a semplificare la situazione, ha un nome e un cognome: canna da zucchero. Nello stato sudamericano da anni usano il bioetanolo per far camminare le automobili, tanto che, per la prima volta nella storia, nel Paese sudamericano la vendita di bioetanolo ha superato quella della benzina.

Utilizzando un’iperbole potremmo dire che la canna da zucchero, così come lo fu la veste bianca in khadi di Ghandi, è diventata per il Brasile il simbolo dell’indipendenza dalla fame, dalla malnutrizione, dalla miseria. In una parola, dalla povertà.

Così se una volta coltivavamo canna da zucchero, mais, grano, soia per riempire le nostre pance, e per fare due chilometri andavamo tranquillamente a piedi, adesso coltiviamo canna da zucchero, mais, grano, soia, per riempire i serbatoi dei nostri nuovi fiammeggianti Suv con cui facciamo i due chilometri che ci separano dal panettiere o magari proprio dalla palestra dove andiamo a bruciare i grassi di troppo. Se non altro, ci consoliamo, inquiniamo poco…

Sbagliato! Sbagliato perché abbattere una foresta, riconvertire quel terreno in una coltivazione intensiva, utilizzare i trattori per dissodare la terra e i diserbanti per proteggere le piante e infine trasportarle a casa nostra con l’aereo non è certamente il modo migliore per ridurre le emissioni inquinanti. Lo certificano diversi studi autorevoli: considerando l’intero processo produttivo, i biocarburanti producono quasi la stessa CO2 delle energie fossili.

 
 
 

PIU' GENERALI CHE DEPUTATI ECCO L'ALTRA CASTA

Post n°923 pubblicato il 05 Gennaio 2012 da dammiltuoaiuto
 

Più generali che deputati. Ecco la vera kasta
Giovedì, 5 gennaio 2012

http://affaritaliani.libero.it/politica/pi-generali-che-deputati-ecco-la-vera-kasta050112.html?refresh_ce




Militari italiani Afghanistan

In Italia abbiamo un vero e proprio esercito di generali (più di 600) con relativi benefit accessori come auto blu e attendenti. Si tratta di un numero pressoché equivalente agli onorevoli che compongono la Camera dei Deputati. La cosa più strana è che il nostro Paese vanta ben 69 generali di Corpo d'armata: ossia più del doppio dei corpi d'armata attualmente operativi in Italia. Ce ne sono 50 tra Esercito, Aeronautica e Marina, 10 nell'Arma dei Carabinieri e 9 nella Guardia di Finanza. Questi numeri sono poi rafforzati da 2.700 colonnelli, 13.000 ufficiali: una massa sterminata di dirigenti con stipendi 'pesanti' a guidare un numero sempre più ristretto di soldati.

"I dati sull'occupazione diffusi dall'Istat (un giovane su tre è senza lavoro) sono drammatici ed impongono un intervento immediata inversione di rotta: è assurdo che in questa situazione l'Italia abbia destinato 15 miliardi di euro per l'acquisto di 131 caccia F-35, programma che anche gli Usa stanno pensando di abbandonare" afferma Angelo Bonelli, presidente nazionale dei Verdi.

"Non ci sono solo gli F-35 che costeranno oltre 15 miliardi ma  l'ultima trance del programma per i caccia Eurofighter (5 miliardi); l'acquisto di 8 aerei senza pilota (1,3 miliardi); l'acquisto di 100 nuovi elicotteri NH-90 (4 miliardi); l'acquisto di 10 fregate FREMM (5 miliardi); 2 sommergibili militari (1 miliardo); il programma per i sistemi digitali dell'Esercito che costerà alla fine oltre 12 miliardi di euro - conclude Bonelli -. Chiediamo al governo Monti di tagliare subito le spese per gli armamenti di almeno 12 miliardi di euro. Le spese per gli armamenti dei prossimi anni ammontano complessivamente a oltre 43 miliardi di euro"

"Chiediamo al Governo di tagliare prima di tutto le spese per gli armamenti di almeno 15 miliardi di euro. Non si tratta di una richiesta ideologiche visto che chiediamo al presidente Monti di fare niente di più di quello che la cancelliera tedesca Angela Merkel ha fatto nel 2010 quando la Germania ha tagliato la spesa per gli armamenti di 10 miliardi di euro. La spesa militare pro-capite in Italia ha ormai raggiunto la cifra di 598 dollari: più di quella della Germania che si ferma a 550 dollari o del Giappone che arriva a 441 dollari. Ogni anno ogni italiano spende in armamenti più di un tedesco, di un giapponese, di un russo, di un cinese e di un indiano".

"Con queste risorse sarà possibile investire subito sulla riconversione ecologica della nostra industria, sulla green economy sulla difesa del suolo in un Paese in cui ancora si muore sotto il fango, sulla scuola, la salute ed il trasporto pubblico. Tagliando le spese militari sarebbe possibile avviare da subito 100 mila cantieri per la messa in sicurezza, per le rinnovabili ed il risparmio e l'efficienza energetica creando centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. In poche parole tagliando i super privilegi alla super casta degli armamenti sarebbe possibile cambiare l'Italia e metterla in condizione di uscire da questa drammatica crisi economica".

F-35: discussi nel mondo, intoccabili in Italia. Oltre 15 miliardi in meno per la spesa sociale

http://affaritaliani.libero.it/sociale/f-35-discussi-nel-mondo-intoccabili-in-italia010112.html

Domenica, 1 gennaio 2012 - 15:29:31
militari afghanistan spl

È solo una questione di volontà politica. All'Italia non costerebbe nulla rinunciare agli F-35, i cacciabombardieri d'attacco che Stati Uniti e altri 8 paesi stanno costruendo. È quanto rivela il mensile Altreconomia di gennaio.

"Dalla documentazione ufficiale analizzata -scrive Francesco Vignarca, autore dell'inchiesta, si evince che l’uscita del nostro Paese dal programma non comporterebbe oneri ulteriori rispetto a quelli già stanziati e pagati per la fase di sviluppo e quella di pre-industrializzazione (il totale degli oneri già determinati a carico del contribuente italiano per il programma F-35 ammonta a 2,7 miliardi di euro)".

L'Italia ha in programma di acquistare 131 caccia. Alla richiesta di rivedere questa scelta (soprattutto in questo periodo di scarsità di risorse) e di uscire dal progetto internazionale, la risposta era che “le penali sono troppo alte”. Non è vero. La rinuncia indolore è del resto scritta nero su bianco nell’accordo fra i Paesi compartecipanti sottoscritto anche dall’Italia il 7 febbraio del 2007: l’ultimo aggiornamento ufficiale del “Memorandum of understanding” di fine 2009 sarà scaricabile dal sito altreconomia.it.

"Norvegia, Canada, Australia e Turchia hanno di recente messo in discussione la loro partecipazione al programma- scrive Francesco Vignarca-, in qualche caso arrivando a una vera e propria sospensione mentre lo stesso Pentagono ha espresso forte preoccupazione per i problemi tecnici, i ritardi e costi crescenti a dismisura di un progetto che avrebbe dovuto essere già a pieno regime". Altreconomia rivela anche che "è stato l’attuale ministro della Difesa Di Paola (allora Segretario generale per la Difesa e gli Armamenti) a firmare, con una cerimonia a Washington nel giugno 2002, il primo accordo da un miliardo di euro per la partecipazione italiana al programma.

LE ALTERNATIVE - Oltre 140 asili nido pubblici, lavoro per oltre 2mila educatrici e assistenti e la possibilità di poter avere un figlio in asilo per oltre 5mila famiglie. È quanto potrebbe “fare” un cacciabombardiere F35 Joint Strike Fighter se solo non venisse acquistato. Uno solo degli oltre 130 che l’Italia ha in programma di comperare nei prossimi anni. E’ quanto sostiene Giulio Marcon coordinatore della campagna Sbilanciamoci!. “Con i 15 miliardi di euro che il governo italiano si è impegnato a spendere per i caccia bombardieri F35 – spiega Marcon – si potrebbe mettere in sicurezza 14mila scuole che non rispettano la legge 626, le normative antincendio e non hanno il certificato di idoneità statica, e in questo modo dare opportunità a centinaia di imprese e creare 30mila posti di lavoro”. Ma chissà perché, un discorso del genere ha poco appeal tra partiti ed esponenti politici. Per Marcon, però, qualcosa si sta muovendo. “A livello politico c’è stata una sensibilizzazione in Parlamento grazie al lavoro fatto da Umberto Veronesi e Savino Pezzotta – spiega - che avevano preparato una mozione per la Camera e per il Senato per fermare l’acquisizione e la produzione degli F35. Poi la Camusso, insieme alla Cgil, ha preso posizione sugli F35 chiedendo di fermare il programma. Per noi questo è un primo risultato rispetto all’impermeabilità del sistema politico. Grazie anche alla crisi economica è emersa la consapevolezza dell’inutilità e dello spreco di questa iniziativa”. Secondo Marcon, però, i dubbi non sono sorti soltanto tra associazioni e qualche politico.

Anche in ambienti militari c’è la consapevolezza che si tratta di un programma sbagliato – aggiunge Marcon -. Rischiamo di comprare aerei costosissimi senza avere neanche la possibilità di mantenerli. In una parte degli ambienti militari c’è la consapevolezza dell’inutilità di questi aerei”. Ma i cacciabombardieri, secondo l’ultima Controfinanziaria di Sbilanciamoci! sono solo una parte dei possibili tagli alla spesa militare del nostro Paese. Riducendo di un terzo le Forze Armate, spiega Marcon, e tagliando su sommergibili e fregate si potrebbero risparmiare oltre 4 miliardi di euro, mentre al posto dei cacciabombardieri F35, costruire dei Canadair per spegnere gli incendi che devastano l’Italia non solo d’estate.

 

 
 
 

Le multinazionali evadono il fisco grazie alle leggi MultinazionaliIn base ad una legge , la numero 311/2004

Post n°922 pubblicato il 03 Gennaio 2012 da dammiltuoaiuto
 

Le multinazionali evadono il fisco grazie alle leggi

MultinazionaliIn base ad una legge , la numero 311/2004 articolo 1 comma 429 le grandi multinazionali come appunto Ikea, Auchan, Carrefour etc. etc. etc. con sedi in paradisi fiscali, pagano le tasse dove hanno la loro sede legale. Il bottegaio, parliamoci chiaro "U' Putekar'" o "A' Putec'" se non batte lo scontrino fiscale becca un verbale che arriva anche a mille euro. STÀ BENE ovviamente a chi non ha tale problema visto che ha le mani in pasta alle multinazionali O ha sedi legali dei suoi affari in paesi che non tassano!!!
Probabilmente non te ne sei mai accorto, ma lo scontrino che ti è stato dato all’atto di pagamento presso un ipermercato o presso un negozio appartenente ad una multinazionale, è NON fiscale. Cioè? Cosa significa? Te lo spiego subito. Gli azionisti proprietari delle multinazionali hanno tutti la residenza in paradisi fiscali che NON pagano tasse e usando la legislazione (nazionali e internazionali) particolarmente favorevole riservata alle aziende multinazionali, NON pagano tasse in nessuno dei paesi in cui operano.

Naturalmente i nostri dipendenti al governo sanno bene questa cosa e, visto che i loro lauti stipendi NON sono pagati dalle multinazionali, dovevano trovare altri “polli” da spennare.
Presto fatto! Con la legge finanziaria del 2004, si è introdotto nella legge finanziaria alcuni commi scritti apposta per:
1 –Liberare definitivamente le società multinazionali della scocciatura di dover emettere scontrini fiscali
2 –Incassare giornalmente l’obolo che i nostri dipendenti destinano al pagamento dei propri stipendi.
Non hai capito bene, vero? L’obolo che versiamo ai nostri dipendenti è l’IVA, che versiamo noi, NON le multinazionali, che trattengono per sé il 100% degli utili! Infatti la normativa prevede che giornalmente venga comunicato l’incasso ai fini IVA, che è l’unica cosa che interessa ai nostri dipendenti.
Hai capito perché i piccoli negozianti sono destinati a chiudere? Perché i nostri dipendenti hanno scelto di delegare le grandi multinazionali a fare da esattore al posto loro e loro, in cambio, NON pagano tasse. P.S.: I GIORNALI E LE TELEVISIONI NON PUBBLICHERANNO MAI QUESTA NOTIZIA...PUBBLICITÀ DOCET!!!...ora se andate a guardare la manovra Monti vi è oltre alle tante ingiustizie anche un ulteriore norma che farà tabula rasa d'una fonte di ricchezza e sviluppo del nostro paese, hanno deciso di aumentare in modo progressivo le aliquote che dovranno pagare artigiani e negozianti (qualcuno dirà e che ce frega io non sono artigiano e non ho un negozio, sbagliato cari miei perché se aumentano le aliquote aumentano i prezzi al consumatore finale, a noi tutti) e sapete cosa accade? Tante attività finiranno per scomparire tutte, non vi parlo di gente ma vi parlo di italiani che vivono e fanno vivere di lavoro interi comuni che messi assieme sono l'Italia....le multinazionali sono raccoglitori di ricchezze che traggono profitto dalle vostre tasche e poi se li portano via, non fanno girare la nostra moneta nel nostro paese, non pagano l'iva (tassa) che lo stato (sano) reimmette in circolazione per lo sviluppo la crescita e i servizi.
Visto che questo stato vuole penalizzare la nostra economia opponetevi voi, non fate spesa nei centri commerciali, multinazionali nostri assassini, fate girare quel poco che ci resta nelle nostre piccole botteghe...saranno soldi che rientreranno nelle nostre tasche in altre forme, occupazione, servizi...possiamo farlo e abbiamo il DOVERE di farlo!!!!!!

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