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L’Italia e gli immigrati, basta guardare ad altri Paesi

Post n°625 pubblicato il 18 Maggio 2009 da dammiltuoaiuto
 

L’Italia e gli immigrati, basta guardare ad altri Paesi

Quando si parla di leggi sull’immigrazione, in Italia è abbastanza facile scadere nell’isterismo: da una parte, con le grida all’invasione dei barbari; come dall’altra, col richiamo continuo allo spettro delle leggi razziali. Sul fondo, c’è il problema di un Paese che essendo stato per molto tempo di emigrazione e non di immigrazione, aveva leggi sulla cittadinanza e la residenza che erano fatte per facilitare i rientri dei nostri connazionali e il flusso delle loro rimesse; non per affrontare il problema dei nuovi residenti e dei nuovi cittadini. Può essere dunque interessante confrontare certi dati del Ddl sulla sicurezza con certe normative che sono in vigore all’estero.

Uno degli aspetti più contestati, in particolare, è stato l’introduzione del reato di clandestinità: lo straniero che entra in Italia illegalmente commette un reato. Anche se si tratta di un reato sui generis, visto che non comporta la reclusione ma la semplice ammenda tra le 5.000 e le 10.000 euro e l’espulsione. E questo è in gran parte il modello pratico degli Stati Uniti, anche se non proprio quello teorico. La improper entry by alien, spega il codice, è l’offence che si verifica ogni volta che un cittadino di un Paese diverso dagli Usa entra o cerca di entrare “in ogni tempo o luogo diverso da quello designato dai funzionari preposti all’immigrazione” o “elude gli esami o ispezione dei funzionari preposti all’immigrazione” o “tenta di entrare o ottenere l’entrata negli Stati Uniti attraverso una rappresentazione consapevolmente falsa o fuorviante o l’occultamento consapevole di un fatto materiale”. Questa violazione della “legge civile e penale” può essere punita con multe o col carcere fino a sei mesi, e fino a due anni in caso di comportamenti reiterati.

C’è pure un reato di reingresso illegale a parte, che punisce chi è sorpreso a tentare di entrare negli Usa dopo avervi commesso reati. E i magistrati preposti all’immigrazione possono aggiungere multe ulteriore che hanno carattere di sanzioni di diritto civile, ma non “cancellano” la natura penale dell’atto. Le proporzioni di stranieri “pizzicate” nell’atto di compiere questa offence sono molto alte: 955.310 nel 2002; 1.159.803 nel 2006. Eppure, meno del 4 per cento di questo milione e passa di persone finisce effettivamente sotto processo. A parte il rischio sovraffollamento delle carceri, c’è il particolare che ogni detenuto costerebbe comunque al governo federale 90 dollari al giorno. Dunque, alla gran massa degli arrestati si fa sapere che l’accusa verrà fatta cadere se firmano un modulo in cui acconsentono a essere volontariamente rimpatriati. E il 96% accetta. Insomma, la clandestinità come reato è semplicemente uno strumento di pressione per rendere i rimpatri più spediti.

Pure nel Regno Unito in base alla legge del 1971 l’ingresso clandestino è un reato. Tuttavia di fatto l’immigrante illegale è colpito solo dalla deportation, cioè l’espulsione: sanzione amministrativa, verso la quale è però possibile formulare ricorso in tribunale, cercando in particolare di dimostrare di avere diritto all’asilo. Più duro è il trattamento che riceve chi al clandestino offre lavoro, con la multa o la reclusione fino a due anni.

Ma è comunque la disciplina britannica nel suo complesso è più soft rispetto al trattamento del clandestino in Francia: altro Paese dove soggiornare irregolarmente sul territorio nazionale costituisce un reato. Punibile fino a un anno di prigione, 3750 Euro di multa e 3 anni di interdizione dal territorio. Il 6 per cento dei detenuti nelle carceri francesi è costituito infatti da stranieri condannati per il reato di immigrazione clandestina, contro il 23 per cento di stranieri condannati per altri reati e il 71 per cento di francesi. Per avere la proporzione: gli stranieri rappresentano il 6,5 per cento dei residenti.

Paradossalmente la Germania, che pure contempla il reato di immigrazione clandestina, è meno “prussiana”: lì è reato sia l’entrata che il soggiorno clandestino, senza visto o passaporto valido. Ma la pena non oltrepassa un anno di reclusione, con possibilità di espulsione solo nei casi più gravi. Va tenuto conto però che la Germania ha una normativa sull’acquisto della cittadinanza molto più fiscale di quelle americana, britannica e francese.

Né la Spagna né la Svizzera hanno invece il reato di immigrazione clandestina. In Spagna il tentativo di entrare illegalmente costituisce infrazione amministrativa, punibile con un’ammenda o con l’espulsione dal territorio nazionale. Questa avviene comunque su voli commerciali o charter in modo abbastanza muscolare: camice di forza; bavagli; perfino caschi per impedire tentativi di suicidio a testate (come in effetti è successo). In caso di espulsione, c’è anche il divieto a rientrare in Spagna per un periodo compreso tra i tre e i dieci anni.

In Svizzera, come spiega la legge, “lo straniero sprovvisto di permesso può essere obbligato in ogni tempo e senza procedura speciale a lasciare la Svizzera o, dato il caso, essere sfrattato”. “Le autorità di polizia e gli organi di controllo al confine respingeranno, possibilmente al loro arrivo, gli stranieri che, per ragioni personali, non hanno evidentemente probabilità di ottenere un permesso qualsiasi”. Non c’è dunque una definizione formale di reato. In compenso, mentre nei sistemi federali statunitense e tedesco l’immigrazione è rigorosa riserva di legge federale, in quello svizzero c’è un diritto di espulsione che i singoli cantoni possono comminare anche per soggetti che si comportino in maniera “immorale”.

Un altro punto contestato è quello delle ronde, che è effettivamente ambiguo. Da una parte, infatti, l’esperienza della Guardia Nazionale o della Guardia Civica in cui i cittadini danno una mano a mantenere l’ordine fu tra la Rivoluzione Americana, quella Francese e quelle del 1848 una tipica bandiera dei movimenti liberali e democratici, che in Europa è stato poi dimenticato. Anche in Italia, la Guardia Nazionale istituita nel 1861 fu poi sciolta nel 1876.

Ma negli Usa il modello della National Guard sopravvive invece con successo. Dalla Milizia fascista alle Guardie Rosse, ai Pasdaran, ai Comitati per la Difesa della Rivoluzione Cubana, ai Battaglioni della Dignità di Noriega o alle milizie bolivariane di Chávez, però, i modelli del XX secolo sono stati più legati a minacce totalitarie e autoritarie, e francamente a giudizio di chi scrive le Camice Verdi leghiste sembrano più pencolare verso quel modello; anche se finora al di là delle sparate sono state più che altro innocuo folklore.

È però vero che modelli di Guardia Nazionale o Civica a livello regionale si trovano anche in Italia. Un caso è quello degli Schützen altoatesini: che corrispondono a un modello presente anche in Baviera e in Austria; che risalgono addirittura al XVI secolo; ma che oggi hanno una funzione soprattutto folklorica e culturale, dal momento che i loro fucili sono pure caricati a salve. Un altro è quello delle Compagnie Barracellari: che risalgono a loro volta al XVI secolo; che sono state di recente riconosciute in Sardegna con legge regionale del 1988; e che hanno invece una vera e propria funzione di ordine pubblico, essendo anche armate di fucili veri.

In realtà, è abbastanza evidente che il modello di chi ha proposto le Ronde non sono stati né i vari tipi di Guardia Nazionale, né gli Schützen e né i Barracellari, ma i Vigilantes Usa. Negli Stati Uniti, però, il diritto a portare armi è sancito dalla Costituzione. Non commettono dunque reato i “volontari” che pattugliano armati lungo il confine messicano, così come non lo commettevano le Pantere Nere che negli anni ’60 sfilavano armate nei ghetti per protesta contro il “Potere Bianco”.

Contrariamente a quanto normalmente si pensa, però, la legge italiana non esclude affatto quell’istituto del Citizen’s Arrest tipico della Common Law, e che consente a chiunque di arrestare chi sta commettendo un reato, a patto di consegnarlo poi subito alla Giustizia. Anzi, la Corte Costituzionale ha chiarito espressamente che non c’è contraddizione tra quell’articolo 383 del Codice di Procedura Penale secondo cui “ogni persona è autorizzata a procedere all’arresto in flagranza” e quell’articolo 13 della Costituzione che autorizza la sola “autorità di pubblica sicurezza” ad adottare misure restrittive della libertà personale. Il privato, ha stabilito la Corte, quando agisce in presenza dei presupposti previsti dalla norma che gli consente l’arresto in flagranza acquisisce infatti anch’esso la veste di organo di polizia: sia pure in via straordinaria e temporanea.

Dunque, in sé non è particolarmente eversivo il principio per segnalare alle forze di polizia o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana o situazioni di disagio sociale i sindaci previa intesa con il prefetto possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati, iscritte in un apposito elenco e con priorità per ex-militari e ex-poliziotti. Semmai il rischio è che sia inutile. Magari anche controproducente, se va a finire che invece di essere aiutate dalle ronde le forze dell’ordine si trovino a doverle scortare per proteggerle. Ma questa è un’altra storia.

C’è poi il discorso del contributo di soggiorno per immigrati, e anche per accedere alla cittadinanza. Che in Italia non c’era. Ma negli Stati Uniti c’è addirittura una tassa di ingresso, che è richiesta a qualunque straniero entri in territorio Usa, a meno che non sia stato lo stesso governo Usa a invitarlo: come nel caso di diplomatici, o militari Nato, e studenti vincitori di Borse di Studio. Anche i turisti la pagano, ma in somma minima: 6 dollari, in genere inclusi nel biglietto aereo, per tutti coloro che entrano senza visto, sfruttando una possibilità concessa ai cittadini di una lista di Paesi, tra cui l’Italia, e che restino in territorio americano per non più di 90 giorni. Altrimenti, si passa a 131 dollari, che crescono a 355 per chi voglia emigrare in via definitiva, con però tutta una serie di ulteriori tariffe per casi particolari: la richiesta di adjustment of status, che permette di convertire uno status precedente, costa da sola 1010 dollari. La spesa si giustifica per il fatto che il possesso di una Green Card, il tesserino di residente permanente negli Usa, permette poi di accedere a tutti i benefici del sistema assistenziale Usa, in particolare dal punto di vista sanitario.

Come ricorda poi il famoso film del 1990 con Gérard Depardieu e Andie MacDowell, se un cittadino straniero chiede la Green Card attraverso matrimonio con un cittadino statunitense e il funzionario che esamina la domanda sospetta si tratti di un matrimonio per finta, entra in campo una vera e propria Fraud Unit che sottopone i richiedenti a indagine: ad esempio, con interrogatori separati in cui confronta l’effettiva conoscenza di gusti gastronomici o particolari anatomici del partner, o chiede le circostanze del primo incontro. Dunque, normative più pesanti del semplice obbligo di restare due anni in Italia per lo straniero coniugato a italiano prima di poter chiedere la cittadinanza.

Anche qui, però, la disposizione per cui uno straniero può contrarre matrimonio con un italiano solo se presenta all’ufficiale di stato civile oltre al nulla osta del Paese di provenienza anche il permesso di soggiorno se non è zuppa è pan bagnato. Il permesso di soggiorno, infatti, deve comunque venire concesso per forza in caso di matrimonio. Vedremo, quando sorgerà il problema, che succederà con chi chiede di sposarsi con straniero che abbia un regolare permesso di soggiorno temporaneo a fini turistici: perché anche quello è un permesso di soggiorno. Ma ci sembra evidente che il Ddl non possa impedire di sposarsi all’estero. Vedremo…

Un dato sorprendente, invece, è che non sia stato previsto un esame di cittadinanza. Qui l’esempio più famoso è quella legge Usa che permette di chiedere la naturalizzazione a chi ha è legalmente residente da 5 anni meno 90 giorni, tre anni meno 90 giorni se sposato a un cittadino statunitense. Bisogna però poi passare un test con 10 domande scelta da una lista di 96, rispondendo correttamente almeno a 10. Non domande troppo complicate, in realtà: chi è stato il primo presidente, chi ha detto la frase “Datemi la Libertà o la Morte”, quanti sono i membri della Camera dei Rappresentanti, chi elegge il Presidente…

Una prova che permette però di verificare la conoscenza non solo dell’inglese, ma anche della storia, istituzioni e costumi del Paese. Almeno al livello che i cittadini di nascita acquisiscono con la scuola dell’obbligo, e che serve a dare il senso di appartenenza alla comunità nazionale. Sullo stesso esempio, che è anche quello di Canada e Australia, nel 2005 anche il Regno Unito ha introdotto un Life in the United Kingdom test che riguarda non solo gli aspiranti cittadini, ma anche chi vuole ottenere un permesso di soggiorno permanente. In 45 minuti bisogna rispondere a un test di 24 domande, che possono andare dal sistema costituzionale alla vita di tutti i giorni. Ma c’è anche una prova di lingua, che può essere sostenuta in inglese, in gallese o in gaelico. La Danimarca il doppio esame per la cittadinanza, uno di danese e uno sulla storia, la cultura e le istituzioni del Paese, lo ha introdotto nel 2002.

In Austria è stato introdotto invece solo un esame di tedesco, ma non per la cittadinanza, bensì per la residenza. Esentati i cittadini di altri Stati dell’Unione Europea, chi dimostra un profilo professionale manageriale o dirigenziale, chi risiedeva in Austria prima del primo gennaio 1998. Lo stesso esame non comporta in caso di bocciatura un’espulsione, ma un semplice venir meno dei generosi benefici concessi dallo Stato sociale austriaco, e in particolare il sussidio di disoccupazione. Chi non si sente in grado di affrontare l’esame subito ha diritto a un vero e proprio corso, metà finanziato dallo Stato e metà a carico dall’interessato. E solo chi rifiuta sia l’esame che i corsi si vede privare del permesso di residenza.

Diffidenza della Lega verso un modello di “nazionalizzazione” degli immigrati a una cultura che non potrebbe che essere quella tricolore? Sfiducia nel modo italiano di fare gli esami? Semplice dimenticanza? C’è comunque l’Accordo di integrazione: entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge vengono stabiliti con regolamento – su proposta del presidente del Consiglio e del ministro dell’Interno, di concerto con i ministri dell’Istruzione e del Welfare – i criteri e le modalità per la sottoscrizione, da parte dello straniero, contestualmente alla presentazione della domanda di rilascio del premesso di soggiorno, di un accordo di integrazione, articolato per crediti, con l’impegno a sottoscrivere specifici obiettivi di integrazione, da conseguire nel periodo di validità del permesso di soggiorno.

La firma dell’accordo è condizione necessaria per il rilascio: la perdita totale dei crediti determina la revoca del soggiorno e l’espulsione dello straniero. E per integrazione si intende “quel processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società” nel rispetto dei valori della Costituzione. Qui, il modello è chiaramente quello francese introdotto da Sarkozy quando era ministro dell’Interno.

“Sarà più complicato arrivare in Francia, sarà più difficile rimanerci, sarà più sbrigativo venirne allontanati”, disse Sarkozy. Quella legge introdusse un permesso di soggiorno valido tre anni e rinnovabile per i diplomati, e di quattro per gli studenti stranieri. Per tutti gli altri immigrati sono previsti vari titoli di soggiorno, sempre a durata limitata. Ma ci sono anche misure restrittive per le regolarizzazioni degli immigrati già presenti sul territorio francese, sui matrimoni misti e sui ricongiungimenti familiari, con l’obiettivo è escludere aspettative di sanatoria, stroncare il fenomeno diffuso di matrimoni finti e ridurre situazioni di coabitazione, poligamia e sovraffollamento provocate da ricongiungimenti familiari incontrollati.

Il capitolo che sancisce la svolta culturale della Francia — storicamente terra d’accoglienza e d’asilo — riguarda le condizioni per soggiorni prolungati o per ottenere la residenza: rispetto dei principi della Republique laica, conoscenza della lingua e pratica d’integrazione al vaglio di sindaci e prefetti. L’immigrato deve dar prova di essere un buon cittadino francese. “Chi non ama la Francia se ne può andare”. “La nostra politica vuole essere ferma e umana. Credo che si debbano espellere gli stranieri in situazione irregolare, ma che sia necessario rafforzare i diritti di chi è in situazione legale. Lo straniero dovrà essere protetto da ogni forma di discriminazione e in cambio assumerà impegni verso la società francese”. Sarkozy ha anche proposto il diritto di voto alle amministrative per gli immigrati regolari, ma per far venire la famiglia un immigrato legale deve avere un reddito minimo «indicizzato» sull’entità della famiglia equivalente o 1,2 volte lo Smic, il salario minimo, esclusi gli assegni familiari.

Moglie e figli devono poi passare un esame sul “grado di conoscenza della lingua e dei valori francesi”. Se non parlano abbastanza bene francese, devono seguire corsi obbligatori e a pagamento in patria, “per una durata massima di due mesi”, prima di poter chiedere un visto di lungo soggiorno. Chi ha superato l’esame di francese e sui valori, appunto, deve firmare un “contratto di accoglienza e di integrazione per la famiglia”, che obbliga i genitori a vegliare sulla “buona integrazione dei figli appena arrivati in Francia”. E “in caso di non rispetto manifesto del contratto il prefetto sporgerà denuncia a un giudice dei minorenni” che può decidere di togliere alla famiglia gli assegni familiari.

Ogni anno il governo informa il parlamento francese sul numero delle espulsioni, comunicando anche degli “indicatori di integrazione”. Per chi vuole rientrare nel Paese natale, ci sono soldi in “aiuto al ritorno”. Ma chi accetta di andarsene è schedato in un archivio che conserva impronte digitali e fotografie, per evitare le frodi o un ritorno illegale in Francia.

Fonte: www.loccidentale.it

 
 
 

Chi ha finanziato la guerra di Hitler?

Post n°624 pubblicato il 18 Maggio 2009 da dammiltuoaiuto
 
Tag: Hitler

 Chi ha finanziato la guerra di Hitler?
Qualche giorno fa stavo facendo una ricerca sulla seconda guerra mondiale e mi sono imbattuto in questo articolo che secondo me è davvero molto interessante.

E’ scritto da Alessandra Molteni D’Altavilla che ho cercato di contattare per chiedere l’autorizzazione alla pubblicazione del pezzo, ma purtroppo ancora non sono riuscito ad avere una risposta. Ovviamente nel caso ci fossero problemi lo rimuoverò immediatamente.


Sconfitta nella prima guerra mondiale, alla conferenza di pace di Versailles, la Germania veniva ridotta in miseria: inglesi e francesi gli avevano imposto pesanti risarcimenti di guerra oltre a significativi ridimensionamenti territoriali.

I francesi si erano appropriati delle zone minerarie di confine e l’industria tedesca boccheggiava per mancanza di materie prime. La situazione politica interna era altrettanto disperata e l’intero paese scivolava, in breve, nel caos.

Si succedevano i governi, tutti ugualmente deboli e inconcludenti, sicché, quando arrivò la grande depressione del 1929, l’ex grande potenza, si ridusse al rango di paese affamato; la disoccupazione sfiorava il 50% e l’inflazione superava il 1000% l’anno.
Se volessimo fare un paragone storico, potremmo dire che: la situazione tedesca di quegli anni, era addirittura peggiore delle condizioni in cui oggi versa l’Argentina.
La gente andava in giro con le carriole piene di marchi (in rapida svalutazione) per comprare generi di prima necessità.

Oltre il confine, i francesi sghignazzavano sulle disgrazie degli ex-potenti vicini e, subito dopo la nascita della repubblica di Weimar, i giornali inglesi ironizzavano su quel popolo di straccioni che, insieme alla guerra aveva perso anche la dignità.
Tutti, ovunque nel mondo, concordavano che la potenza tedesca era stata, per sempre, sepolta sui campi di battaglia della prima guerra mondiale e, dunque, l’europa doveva farsi carico di nutrire gli “straccioni crucchi”.
Quando Hitler salì al potere, venne “accolto” dallo scherno generale: un caporale illetterato e chiuso di mente.

Non solo; il fuhrer lasciò credere a tutti di essere un dittatore debole: prese difatti il potere appoggiato dalla destra conservatrice di Von Papen che, per un anno e mezzo, si vantò di poterlo eliminare a piacimento.
Quel caporale austriaco, però, era un grande stratega e un finissimo politico: il 30 giugno 1934, in quella che passò alla storia come la notte dei lunghi coltelli, fece uccidere tutti i collaboratori di Von Papen, il quale ebbe salva la vita solo perché era più utile da vivo che da morto (ad Hitler servivano i contatti di Von Papen con gli industriali tedeschi e i finanzieri inglesi e americani).

Da li in poi, le sorti della Germania, “miracolosamente” si capovolsero e, in pochi anni, il terzo Reich diventò una superpotenza economica e militare.
Nel 1939 Hitler disponeva di 106 divisioni (di cui 10 corazzate) per un totale di 2 milioni di uomini, 10.000 aerei modernissimi e una flotta in grado di competere con la Royal Navy inglese.
L’anno dopo, l’industria bellica riuscì ad armare un altro milioni di uomini (per un totale di 3 milioni), a dotare la Luftwaffe di migliaia di nuovi aerei e a costruire centinaia di micidiali U-boats oltre alle modernissime corazzate Graf-Spee e BismarcK.
Quando Hitler invase la Polonia, potè schiacciarla in poche settimane e, quando volse le sue divisioni ad occidente, polverizzò le armate di Francia, Inghilterra, Belgio e Olanda in meno di un mese.

In meno di 5 anni, quel caporale illetterato e chiuso di mente, aveva creato la più micidiale macchina da guerra della storia dell’umanità.
La domanda che, ovviamente, si pone (adesso come allora) è: dove ha preso le risorse finanziarie per rimettere in piedi un paese affamato?
Ancora oggi questa questione è sottaciuta dalla “storia ufficiale” e si sa, ancora, molto poco su quello che è il vero “mistero” del nazismo: chi lo ha finanziato e perché?
Sappiamo per certo che Hitler “suscitava” molte simpatie “autorevoli” in America e in quasi tutto l’occidente: si era ritagliato il ruolo di difensore del capitalismo contro il comunismo e, dunque, trovava molte orecchie disponibili ad ascoltare, sia a Wall street che alla City di Londra.

Joseph Kennedy (il padre del futuro presidente americano) era un suo fervente ammiratore e, nella sua qualità di ambasciatore americano a Londra, non disdegnava di avere colloqui molto riservati con il fuhrer ed i suoi collaboratori.
La famiglia Kennedy si arricchì smisuratamente durante il secondo conflitto mondiale.
George Bush, il bisnonno dell’attuale presidente americano, aveva (anche lui) continue frequentazioni con i nazisti: il magnate americano (già molto ricco) non disdegnava di “finanziare” l’industria tedesca (di cui ammirava l’efficienza).
Esistono prove inconfutabili di contatti tra i dirigenti della General motors (il quinto produttore di armi al mondo) e il regime nazista.
Ma il vero motore dell’irresistibile ascesa militare della Germania fu un’azienda tedesco-americana: la IG-Farben.

Nel 1925, con l’assistenza dei maghi della finanza di Wall street, Hermann Schmitz, organizzò una fusione di 6 grandi aziende chimiche tedesche (Badische Anilin, Bayer, Agfa, Hoechst, Weiler-ter-Meer, and Griesheim-Elektron) in un grande complesso industriale chiamato IG-farben, con attività in Germania e negli Stati uniti e, importanti, soci finanziatori americani.
Tutti i documenti societari della IG Farben furono distrutti nel 1945, per evitare che il mondo sapesse che, l’alta finanza americana, aveva partecipato all’ascesa al potere di Adolf Hitler e al finanziamento del grandioso riarmo tedesco: la IG-Farben, infatti, diventò la vera “forza” del terzo reich e, serve ricordare, che le sue fabbriche tedesche, nonostante fossero importantissime sul piano militare, non vennero mai bombardate; l’intera Germania fu rasa al suolo dall’aviazione anglo-americana, mentre gli stabilimenti di quella sola azienda non furono mai sfiorati.

Quegli stabilimenti erano fondamentali per la produzione di armi tedesche e, da essi uscivano le micidiali armi chimiche dei nazisti; eppure non furono mai bombardati.

Chi erano i direttori americani della IG-Farben?

Edsel B.Ford, della Ford Motor Company;
H.A Met, direttore della Bank of Manhattan;
C.E. Mitchell, direttore della Federal reserve bank of N.Y e della National City Bank;
Walter Teagle, direttore della Standard Oil of New Jersey (poi Exxon) e della Federal reserve bank on N.Y;
Paul M. Warburg; direttore della Federal reserve bank of N.Y e della bank of Manhattan;
W.E Weiss, direttore della Sterling products.
In pratica: l’elite della finanza e dell’industria americana (Ford, Standard Oil, Bank of Manhattan, Federal reserve of N.Y) sedeva nel consiglio di amministrazione dell’azienda che aveva sostenuto Hitler prima e durante la guerra.

Mentre le armi della IG Farben mietevano milioni di vittime (anche americane), il gotha di Wall street spartiva (con la controparte tedesca) profitti e responsabilità gestionali.
A titolo di curiosità faccio notare che: Walter Teagle rappresentava la Standard Oil (poi Exxon) che, in realtà, era di proprietà di Rockfeller.

In definitiva: il gotha della finanza americana e le più grandi aziende di quel paese (Ford, Standard Oil, General motors etc…) partecipavano all’atroce……banchetto di quella spaventosa guerra (50 milioni di morti dal 1939 al 1945).

E, finalmente, il cerchio si chiude: nella prima e nella seconda guerra mondiale, gli ideali di pace e giustizia erano solo l’ipocrita copertura dietro cui si nascondeva il brutale interesse di pochi capitalisti senza scrupoli.

Quasi 100 milioni di esseri umani furono massacrati in quei due spaventosi conflitti, affinchè il loro sangue diventasse denaro contante nelle capienti cassaforti di quei pochi uomini spietati.

 

 
 
 

FREE LIBERIAMO Aung San Suu Kyi firma anche tu

Post n°623 pubblicato il 18 Maggio 2009 da dammiltuoaiuto
 
Foto di dammiltuoaiuto

LIBERIAMO AUNG SAN SUU KYI 
 FIRMA LA PETIZIONE
FINO A QUANDO TUTTI I NOSTRI PRIGIONIERI POLITICI NON SARANNO LIBERI, NESSUNO DI NOI PUO’ DIRE CHE LA BIRMANIA E’ VERAMENTE SULLA STRADA DI UN CAMBIAMENTO DEMOCRATICO”     
Daw Aung San Suu Kyi

 
  

Queste sono le parole di Daw Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace (1991), agli arresti domiciliari per 13 degli ultimi 19 anni.

La petizione "Liberiamo tutti i prigionieri politici!" ha l’obiettivo di raccogliere 888,888 firme prima del 24 maggio 2009, data legale nella quale dovrebbe essere liberata Daw Aung San Suu Kyi dagli arresti domiciliari.

La giunta militare deve liberare immediatamente e senza condizioni tutti i prigionieri politici, compresa Daw Aung San Suu Kyi, Myo Aung Thant, Khun Tun Oo and Min Ko Naing.

Il rilascio di tutti i prigionieri politici è il primo passo verso la democrazia. Noi sottoscrittori chiediamo al Segretario Generale ONU Ban Ki-moon di fare di questo la sua priorità per garantire il rilascio di tutti i prigionieri politici da parte dell’ SPDC.

Firma anche tu la petizione

http://www.birmaniademocratica.org/ViewDocument.aspx?catid=241c8068be6b4ddcb86ed0162793314b&docid=673b416a320b4e2587c3f21cddc42da0

FREE LIBERIAMO Aung San Suu Kyi


FIRMA QUI

http://www.burmacampaign.org.uk/ASSK_action.html

FIRMA
https://secure.avaaz.org/it/free_burma_political_prisoners/

PETIZIONE FREE BURMA DA SPEDIRE NAZIONI UNITE
http://www.petitiononline.com/kha8954b/petition.html

LA PETIZIONE DI AMNNESTY INTERNATIONAL
http://www.amnesty.it/appelli/firmamodelappelli.html?nomeappello=Myanmar_monaci
FIRMA LA PETIZIONE PER UNA BIRMANIA LIBERA
http://htm.cisl.it/sito/contenuti/BIRMANIA/FormBirmania.htm
PETIZIONE PER LIBERARE Daw Aung San Suu Kyi,
http://www.actionburma.com/

CERCHIAMO DI ARRIVARE A 1 MILIONE DI FIRME QUI
http://www.avaaz.org/en/stand_with_burma/tf.php?CLICK_TF_TRACK
Facciamo qualcosa anche noi per la popolazione del Myanmar, sostenendo Aung San Suu Kyi e il diritto ad una Birmania libera:
1) Se vuoi, puoi mandare un biglietto di SOLIDARIETA' ad Aung San Suu Kyi,
Anche se è probabile che il biglietto venga intercettato dal regime, migliaia di
biglietti d'auguri daranno un potente segnale al regime.
CERCHIAMO DI ARRIVARE A 1 MILIONE DI FIRME QUI
http://www.avaaz.org/en/stand_with_burma/tf.php?CLICK_TF_TRACK
Facciamo qualcosa anche noi per la popolazione del Myanmar, sostenendo Aung San Suu Kyi e il diritto ad una Birmania libera:
1) Se vuoi, puoi mandare un biglietto di SOLIDARIETA' ad Aung San Suu Kyi,
Anche se è probabile che il biglietto venga intercettato dal regime, migliaia di
biglietti d'auguri daranno un potente segnale al regime.
Se i militari sapranno che il mondo li guarda, sarà meno facile che
intraprendano altre azioni contro Aung San Suu Kyi, poiché avranno
timore delle reazioni internazionali.
Il tuo biglietto d'auguri contribuirà a mantenerla al riparo da ulteriori attacchi.
Invia il tuo biglietto d'auguri a:
Daw Aung San Suu Kyi,
54 University Avenue,
Bahan 11201,
Yangon, Myanmar (Birmania)
Costo dell'affrancatura con posta prioritaria per l'estero
formato standard, cm 9x14 Euro 0,60
Una candela per la speranza






IL principale leader della protesta birmana, Htay Kywe, latitante da anni e considerato dal regime il ricercato numero uno, ha indetto per domani una nuova iniziativa contro la Giunta militare: ciascun cittadino in qualsiasi parte del Paese, dovrà accendere una candela, ovunque si trovi, per esprimere il proprio dissenso contro il governo dei militari.


Lo ha appreso PeaceReporter da fonti della dissidenza all'estero, che hanno contattato nel primo pomeriggio lo stesso leader, appartenente al movimento studentesco Absdm (All Burma Student Democratic Front).


Per tre giorni, ogni birmano manifesterà pacificamente a casa, in strada e soprattutto davanti ai monasteri, tenendo accesa una candela che simboleggerà la speranza per il popolo birmano.


Htay Kywe, 40 anni, è stato l'unico, nel gruppo dirigente dell'Absdm, a riuscire a fuggire dai militari, dopo 14 anni di prigione. Secondo quanto riferito dalle stesse fonti a PeaceReporter, il 'nemico numero uno' della dittatura militare birmana riesce a eludere la cattura cambiando quotidianamente cellulare


PeaceReporter aderisce, e invita tutti ad aderire, alla forma di protesta contro la violenza e la repressione del regime birmano


http://www.youtube.com/watch?v=tiLxEIPD6iQ

ECCO IL SUO LUSSO
http://www.youtube.com/watch?v=s6YPsycc6Lc

http://www.youtube.com/watch?v=OXb9CiNEgfQ

Burma sept.2007: "The Lady and The General"

http://www.youtube.com/watch?v=UG3V5tJaEm8

APPELLO
http://www.youtube.com/watch?v=oPH7o_sJaNo

LA MORTE DI UN MONACO
http://www.youtube.com/watch?v=2_wVOdemFgg

MONACI RICHIUSI CON IL FILO SPINATO
http://www.youtube.com/watch?v=1YgJETfsM5A

PROTESTA IN ITALIA DI AMNESTY A ROMA

http://www.youtube.com/watch?v=NYowESPuybU

http://www.youtube.com/watch?v=1mfVZBd03oo

Un dittatore tra superstizione e ferocia
http://www.youtube.com/watch?v=1mfVZBd03oo

Onu deplora repressione dimostrazioni in Myanmar
giovedì, 11 ottobre 2007 10.36
Versione per stampa

NAZIONI UNITE (Reuters) - Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite oggi ha deplorato la repressione delle proteste per la democrazia in Myanmar e ha invitato al dialogo politico, in una dichiarazione che ha visto insieme le potenze occidentali e la Cina per la prima volta.
Il comunicato dice che "tutti i prigionieri politici e gli altri detenuti" dovrebbero essere rilasciati presto e chiede alla giunta militare che governa il Paese da quarant'anni di prepararsi a un "dialogo genuino" con la leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi.
La dichiarazione non è vincolante, a differenza di una risoluzione.
E' la prima volta che il Consiglio di Sicurezza agisce ufficialmente nei confronti dell'ex Birmania, e questo segna un cambiamento di posizione da parte della Cina, vicino e fondamentale partner commerciale del Myanmar: in precedenza Pechino aveva usato il diritto di veto per evitare critiche alle autorità del Paese.
L'Onu ha detto che l'inviato speciale Ibrahim Gambari nel fine settimana partirà per una visita in Asia nel corso della quale dovrebbe far tappa in Myanmar per la seconda volta da quando la giunta ha represso le dimostrazioni guidate dai monaci buddisti il mese scorso.
Invia il tuo biglietto d'auguri a:

Daw Aung San Suu Kyi,
54 University Avenue,
Bahan 11201,
Yangon, Myanmar (Birmania)

Costo dell'affrancatura con posta prioritaria per l'estero
formato standard, cm 9x14 Euro 0,60

PROTESTIAMO CON LETTERA O EMAIL ALL'AMBASCATA BIRMANA IN ITALIA
meroma@tiscalinet.it
Via della Cammilluccia 551, Roma, tel. 0636303753, 0636304056
FAX 06/36298566
altre ambasciate della birmania a cui scrivere
mecanberra@biqpond.com australia
contact@myanmar-embassy-tokyo.net giappone
info@mewashingtondc.com usa
mission.myanmar@ties.itu.int hong kong
FIRMA TUTTE LE PETIZIONI
http://www.actionburma.com/
http://www.burmacampaign.org.uk/mtvaction.html
LA PETIZIONE DI AMNNESTY INTERNATIONAL
http://www.amnesty.it/appelli/firmamodelappelli.html?nomeappello=Myanmar_monaci
FIRMA LA PETIZIONE PER UNA BIRMANIA LIBERA
http://htm.cisl.it/sito/contenuti/BIRMANIA/FormBirmania.htm
FIRMA ALTRA PETIZIONE
http://www.avaaz.org/en/stand_with_burma/tf.php?CLICK_TF_TRACK

TUTTI I VIDEO AGGIORNATI SULLA BIRMANIA COSA ACCADE
http://www.youtube.com/results?search_type=search_videos&search_query=burma&search_sort=video_date_uploaded&search_category=0&search=Search&v=&uploaded=
LE FOTO AGGIORNATE IN TEMPO REALE SU FREE BURMA
http://flickr.com/search/?q=burma&m=text

NOTIZIE E FOTO E VIDEO IN TEMPO REALE FREE BURMA
http://niknayman.blogspot.com/

INTERVISTA AD Aung San Suu Kyi
http://www.youtube.com/watch?v=6_oabUxzglo
http://www.youtube.com/watch?v=Mjqo1JSDNpM
http://www.youtube.com/watch?v=GIR_-YN3Oyc

 
 
 

una brambilla in piu'

Post n°622 pubblicato il 18 Maggio 2009 da dammiltuoaiuto
 

Ministro del Turismo:
mai più senza?

in News

Come chiedeva dal giorno del suo insediamento, Michela Vittoria Brambilla diventerà ministro del Turismo. Eppure il dicastero era stato abolito sedici anni fa con un referendum popolare quasi plebiscitario: è giusto ripristinarlo?


Tanto disse e tanto fece Michela Vittoria Brambilla, delusa perché nella lotteria degli incarichi governativi le era sfuggita la poltrona ministeriale, che alla fine ottenne la promozione sul campo cui anelava: il sottosegretario MLV, quindi, avrà il "suo" Ministero. Parola del premier Berlusconi. Dopo sedici anni dalla sua abolizione, quindi, l'Italia vedrà risorgere il dicastero del turismo (ma solo dietro il benestare del presidente della Repubblica Napolitano, naturalmente).

Sul destino della competenza - declassata nel 1993 da un referendum popolare con l'82.30% dei voti - non c'è affatto unanime accordo nella compagine governativa: Lega ed ex An, nella fattispecie, non sono convinti dell'assoluta necessità di ripristinare quanto gli italiani a suo tempo abrogarono. Umberto Bossi ha recentemente puntualizzato, al riguardo, che le problematiche del turismo «sono di competenza regionale e non certo dello Stato centrale». Insomma, il concetto è: l'istituzione di questo ministero innesca un processo contrario a quello federalista.

L'Aduc, Associazione per i diritti degli utenti e dei consumatori, è fortemente contraria al progetto: « In questi sedici anni di assenza del ministero, le singole Regioni si sono organizzate ed hanno fatto promozioni continue delle loro attrazioni in Italia e all'estero; nonostante questo la crisi è tangibile» scrive il presidente dell'associazione.

L'impoverimento degli italiani, il peggioramento dell'offerta strutturale nel nostro Paese, i prezzi troppo alti e non competitivi con l'estero sono le aggravanti - secondo l'Aduc - di una crisi di settore a fronte della quale il sottosegretario Brambilla ha adottato contromisure nella sostanza inadeguate. Il sottosegretario ha infatti varato nuove norme sulle stelle degli alberghi, istituendo inoltre un sistema di misurazione della qualità del servizio alberghiero. Vero è che un due stelle in Alto Adige "vale" quanto un quattro stelle in Calabria (che costa come un cinque stelle, peraltro), ma la novità introdotta dalla Brambilla riguarda solo gli hotel nuovi o ristrutturati, senza contare che alla misurazione dell'indice di gradimento gli albergatori aderiscono su base volontaria.

Non solo: la Brambilla s'è battuta perché fosse destinato alle famiglie a basso reddito un bonus vacanza. Ottima iniziativa che tuttavia si trasforma in una beffa laddove il credito non è utilizzabile dalla prima settimana di luglio all'ultima di agosto e nel periodo natalizio, dal 20 dicembre al 6 gennaio. A che serve un contributo statale con simili restrizioni per una tipologia i lavoratori (operai e precari in genere) che hanno la loro unica possibilità di fruire delle ferie solo nei periodi sunnominati di chiusura aziendale?

Alla luce di queste considerazioni è davvero opportuno resuscitare un ministero abolito da tempo? L'Aduc risponde secco: «Soldi buttati via solo per voglia di poltrone». Fondi «veri» (un po' come i «soldi veri» invocati da Confindustria) e defiscalizzazione: questo chiede il settore piegato da una pesante crisi. «Si registra un calo del 24% del giro d'affari nei primi mesi dell'anno e una flessione dell'occupazione tra il 5% e il 7%, che potrebbe portare a una fuoriuscita di centomila lavoratori diretti cinquantamila indiretti nelle attività connesse al turismo»: queste le cifre esibite da Bernabò Bocca, presidente di Confturismo.

Il sistema fa acqua da tutte le parti, insomma. Ma la promozione della Brambilla, nonostante tutto, non dispiace al segretario generale della rappresentanza sindacale Cisl della Fisascat, favorevole al ripristino di un ministero «troppo frettolosamente abolito negli anni '90 senza creare una valida alternativa per governare le politiche turistiche. Dalla creazione del Ministero deve partire, però, anche il rilancio delle relazioni tra le istituzioni e le organizzazioni sindacali», conclude Raineri. Questo dicastero, dunque, s'ha da fare o non s'ha da fare? A voi la parola.

 
 
 

SIAMO ALLA FAME !!!!!

Post n°621 pubblicato il 18 Maggio 2009 da dammiltuoaiuto
 
Tag: italia

OCSE: ITALIA 23/A PER SALARI, TRA I PIU' BASSI D'EUROPA

OCSE: ITALIA 23/A PER SALARI, TRA I PIU' BASSI D'EUROPA

(di Manuela Tulli)

La busta paga degli italiani è tra le più leggere tra quelle non solo dei grandi Paesi industrializzati ma anche nell'eterogeneo mondo dei Paesi Ocse. Sui trenta paesi che fanno riferimento all'organizzazione di Parigi, l'Italia, con un salario medio annuo netto di 21.374 dollari si colloca al 23/o posto. Davanti, in termini di salari, ci sono non solo Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti, Germania, Francia ma tutti i Paesi europei, fatta eccezione del Portogallo e dei paesi dell'Allargamento. Mediamente dunque il salario medio di un italiano non arriva a 16.000 euro l'anno, poco più di 1.300 euro al mese. I dati sono contenuti nel Rapporto dell'Ocse sulla tassazione dei salari, aggiornato al 2008 e appena pubblicato dalla stessa organizzazione di Parigi. L'Italia non 'schioda' dalla coda della classifica dei salari: anche lo scorso anno era infatti al ventitreesimo posto, considerati gli stessi parametri di confronto.

Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi sottolinea: "I bassi salari italiani sono stati causati dalla vecchia contrattazione collettiva centralizzata, che ora le parti sociali, d'accordo con il governo, hanno dovuto cambiare". Quanto alla pressione fiscale, che incide sugli stipendi italiani, Sacconi ha fatto presente che ci sono novità anche in questa direzione, come "la tassazione agevolata al 10%" per tutta la parte di salario legata alla produttività "che viene decisa in sede aziendale". Gli italiani nel 2008 hanno guadagnato mediamente il 17% in meno della media Ocse. Salari penalizzati anche se il raffronto viene fatto con la Ue a 15 (27.793 di media) e con la Ue a 19 (24.552). I dati si riferiscono al salario netto medio di un lavoratore single senza carichi di famiglia. E' espresso in dollari e a parità di potere d'acquisto, includendo cioé la dinamica dei prezzi interna a ciascun Paese.

L'Italia riesce a scalare una posizione, e collocarsi dunque al 22/o posto se si considera il salario al lordo. A pesare negativamente sulle buste paga degli italiani è anche il cuneo fiscale, che calcola la differenza tra quanto pagato dal datore di lavoro e quanto effettivamente finisce in tasca al lavoratore. Il peso di tasse e contributi, sempre per un lavoratore dal salario medio, single senza carichi di famiglia, è del 46,5%. In questa classifica l'Italia risulta infatti al sesto posto tra i trenta paesi Ocse. Più leggero è il drenaggio di imposte e versamenti contributivi se si esamina il caso di un lavoratore, sempre con un salario medio ma sposato e con due figli a carico. In questo caso il cuneo e al 36% e l'Italia scivola qualche posizione sotto collocandosi all'undicesimo posto nell'Ocse (partendo sempre dai Paesi dove massimo è il peso fiscale sulle buste paga). Tornando alla classifica sui salari, infatti, facendo un po' di conti, un italiano in un anno guadagna mediamente il 44% in meno di un inglese, il 32% in meno di un irlandese, il 28% in meno di un tedesco, il 18% in meno di un francese. Solo sette i Paesi con salari inferiori: Portogallo, Repubblica Ceca, Turchia, Polonia, Repubblica Slovacca, Ungheria e Messico, fanalino di coda e unico Paese nell'Ocse, quello americano, dove il salario netto annuale non arriva neanche e a 10.000 dollari l'anno.

 
 
 

LA CENSURA E' A LAVORO PAROLA DI BEATRICE BORROMEO

Post n°620 pubblicato il 18 Maggio 2009 da dammiltuoaiuto
 

 


Daniele Martinelli
(lettore del blog) ha avuto la grande idea di intervistare Beatrice Borromeo dopo l'ultima scandalosa vicenda della sua censura all'era glaciale, potete vederla in alto.

Il direttore di Rai 2 Antonio Marrano, ha deciso di non mandare in onda la sua intervista e anche quella di Vauro praticamente per il semplice motivo che sostenevano opinioni a sinistra senza contraddittorio e con la scusa della par condicio li ha censurati. Chi parla bene del governo e Berlusconi stesso possono andare in TV (vedi la recente apparizione a porta a porta), fare campagna elettorale senza contraddittori, dire tutto quello che vogliono senza problemi mentre appena uno di sinistra apre bocca completamente censurato... tutto ciò è scandaloso!

Facciamo girare la notizia ed il video perchè se continua così non so dove finiremo...la semi dittatura di questo governo e dei suoi servi diventa sempre più pressante

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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