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Gianni Minà: Il colpo di stato honduregno, un fiammifero acceso per Obama

Post n°652 pubblicato il 05 Luglio 2009 da dammiltuoaiuto
 

Gianni Minà: Il colpo di stato honduregno, un fiammifero acceso per Obama

 Il Manifesto del 2 luglio 2009

Alla fine il golpe militare in Honduras, il secondo paese più povero dell’America latina dopo Haiti, ha finito per nuocere più di tutti, per ora, alla nuova amministrazione Usa del presidente Barack Obama, che è rimasto praticamente con il fiammifero acceso in mano, specie considerando la sua più volte affermata intenzione di cambiare metodi e politica nel continente che, una volta, era “il cortile di casa” degli Stati Uniti.

Perchè è vero che Obama ha condannato il colpo di stato in Honduras, dichiarandosi “seriamente preoccupato per la situazione” e chiedendo “a tutti gli attori politici e sociali di quel povero paese di rispettare lo Stato di diritto”, ed è vero che sulla stessa linea si è espressa anche Hillary Clinton, ministro degli esteri, che ha ribadito  “Sono stati violati i principi democratici”.

 

Ma nessuno può credere che l’ambasciatore Usa in Honduras, Hugo Llorenz, pronto a sua volta ad affermare “L’unico presidente che gli Stati Uniti  riconoscono nel paese è Zelaya” (proprio il premier liberale deposto e cacciato in Costa Rica) non sapesse da tempo cosa stesse per succedere.

Allora i casi sono due: o l’ambasciatore degli Stati Uniti è un incapace o vogliamo credere che il governo di Washington non ha più la minima influenza sull’apparato militare che, da quasi cinquant’anni, condiziona in modo indiscutibile la vita di un paese di radici maya che, oltretutto, dai tempi in cui il presidente nordamericano Reagan decise di appoggiare la “guerra sporca” alla rivoluzione sandinista in Nicaragua, è la base operativa, logistica delle operazioni militari del Pentagono in quella zona del mondo.

Operazioni che, tra l’altro, partono da una base militare, quella di Palmerola, assolutamente illegale perchè mai è stato firmato un accordo ufficiale fra i due paesi perchè questo apparato venisse edificato e fosse attivo sul suolo hondureño. Anzi, le forze armate del piccolo paese sono legate al Comando Sud dell’armata nordamericana, i cui consiglieri militari giocano un ruolo essenziale nelle loro strategie.

Fra “gli attori politici” nel piccolo paese centroamericano, di quasi sette milioni e mezzo di abitanti, le forze armate degli Stati Uniti sono ancora preminenti e non a caso gli alti comandi sono stati formati tutti alla famigerata Scuola delle Americhe, prima a Panama e poi a Fort Benning in Georgia, vera fabbrica di dittatori e di assassini.

Il generale Romeo Vazquez, leader dei golpisti, ha studiato, per esempio, in quell’inquietante ”ateneo”, e da quell’insegnamento, come ha ricordato l’altro ieri  Manlio Dinucci, vengono i dittatori hondureñi degli anni ‘70/’80, Juan Castro, Policarpo Paz Garcia e Humberto Hernandez.

Salvo i pochi passati a miglior vita, tutti questi “repressori con stellette” incidono ancora nella vita politica dell’Honduras, anche se nel frattempo si sono sostituiti a loro per via elettorale presidenti presunti liberali o neoliberisti che hanno condotto il paese alla miseria più nera.

Manuel Zelaya, rubricato come liberale ed eletto nel 2006 dalla destra moderata in un paese ostaggio della delinquenza e delle gang giovanili, come il Guatemala e il Salvador, ha avuto il torto di rendersi conto che la causa di questa deriva era di origine strutturale, il prodotto dei bassissimi livelli di sviluppo umano e lo stato di estrema generalizzata povertà.

Così pensò che aderire all’ALBA, l’Alternativa Bolivariana  per i Popoli d’America, un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra i paesi dell’America Latina ed i paesi caraibici, promossa dal Venezuela e da Cuba, e successivamente da Nicaragua, Ecuador e Repubblica Dominicana (in alternativa all’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA) voluta dagli Stati Uniti), poteva essere una scelta incorretta ideologicamente, ma economicamente realista, specie considerando il sostegno che avrebbe assicurato ad alcune politiche sociali l’aiuto che sarebbe venuto da PDVSA, la compagnia petrolifera venezuelana.

In quell’occasione si dimise il vicepresidente, espressione degli interessi di molte imprese private, sospettose di questi accordi per la linea politica espressa dalle nazioni dell’ALBA.

Adesso è lo stesso Zelaya che è stato esiliato a forza, anche se ora annuncia che tornerà in patria.

In questo scenario dovrà ora farsi largo politicamente Barack Obama che, dopo quanto ha dichiarato, non potrà riconoscere il nuovo governo imposto dal golpe militare e presieduto da Roberto Micheletti, ex presidente del Parlamento, ma non sarà in grado nemmeno imporre, come chiede l’Organizzazione degli Stati Americani e perfino l’Onu, il reintegro nel suo incarico di Manuel Zelaya, anche se è stato democraticamente eletto.

Questo dettaglio non è di poco conto, ma perfino per organi di informazione come El Pais, giornale una volta progressista, vale solo quando a vincere è il partito conveniente in America latina alle politiche neocoloniali di molte multinazionali spagnole e non coalizioni in linea con il nuovo vento di indipendenza, di autonomia e di riscatto che spira in molti paesi del continente a sud del Texas.

Così, in questa occasione sparisce, per esempio, nell’informazione del prestigioso giornale iberico che detta la linea in Europa su come si deve interpretare la realtà latinoamericana, la condanna dell’Onu al golpe, ed anche l’oggetto del contendere in Honduras, cioè un referendum che voleva portare alla convocazione di un’assemblea costituente e non, come afferma il giornale dell’Editorial Prisa, l’aspirazione di Zelaya di “modificare la Costituzione per restare al potere”. Quindi i militari in qualche modo avrebbero agito da tutori dello Stato, malgrado la maggioranza dei cittadini non glielo avesse chiesto.

Insomma, in una parte di quella che fu una volta l’informazione di sinistra c’è come un vischioso tentativo a preparare i propri lettori a digerire un colpo di Stato, presentandolo come una soluzione legittima.

Peccato che proprio l’attuale ministro degli esteri del governo Zapatero, Miguel Angel Moratinos, abbia denunciato poco tempo fa come fu proprio un governo conservatore spagnolo, quello di José Maria Aznar, il primo a leggittimare, insieme a quello di Geroge W. Bush, il colpo di Stato, poi fallito, in Venezuela l’11 aprile 2002 contro il presidente Ugo Chavez, che era stato scelto dai cittadini.

A El Pais evidentemente hanno la memoria corta, ma nello stesso errore non si può permettere di cadere il successore di Bush, Barack Obama, dopo le dichiarazioni di principio fatte e ribadite.

Sarebbe un errore strategico nell’attuale America latina.

Chi ha confezionato questa polpetta avvelenata per il presidente degli Stati Uniti?

http://www.giannimina.it/

 
 
 

ZORRO E' IN HOMDURAS E' CON LORO

Post n°651 pubblicato il 05 Luglio 2009 da dammiltuoaiuto
 

E’ arrivata oggi a Tegucigalpa mettendosi a disposizione per fare quello che è possibile per sbloccare la situazione di stallo a cinque giorni dal sequestro di Mel Zelaya da parte della giunta golpista.e immagini che seguono sono state caricate nelle ultime 24 ore da un utente Flickr che si firma Hablaguate e probabilmente sono state scattate da Rony Huete. Appaiono testimoniare la forza della resistenza ma anche quella del gorillismo dei golpisti. E’ necessario non abbassare la guardia e stare più che mai vicini al popolo honduregno.

Hablaguate7

 

Hablaguate1

Hablaguate2Hablaguate3Hablaguate4Hablaguate5

 GUARDATE  COSA  DISEGNANO   IN HONDURAS  

 

 

Foto scattata nel pomeriggio del 2 luglio a Tegucigalpa mentre i media di regime italiani festeggiano il dittatore bergamasco Gol per i golpisti: il Cardinale Óscar Rodríguez Maradiaga chiede a Zelaya di non tornareGennaro Carotenuto, sabato 4 luglio 2009, 19:39America latina, Honduras, Politica internazionale, Primo piano questo link tutti gli aggiornamenti sul golpe in Centroamerica!onion_news3134.article Mentre viene annunciato un ulteriore slittamento a domani domenica del ritorno di Manuel Zelaya, una presa di posizione influentissima rende ancora più improbabile il ritorno del presidente legittimo e fa segnare un punto alla giunta golpista: il Cardinale di Tegucigalpa Óscar Rodríguez Maradiaga ha chiesto “all’amico Zelaya” di non tornare in patria affermando apertamente che il ritorno di questo causerebbe un bagno di sangue.La Tribuna però Rodríguez Maradiaga sarebbe andato ben oltre la semplice considerazione di inopportunità del ritorno del presidente legittimo. l’art. 239 della Costituzione e quindi giustamente sarebbe stato deposto e che tutti gli atti commessi dalla giunta golpista sarebbero legittimi.

Canale Honduras, a

 

Ma secondo il quotidiano filogolpista

 

Infatti, vi sarebbe un comunicato della Conferenza Episcopale (che chi scrive non è riuscito al momento a reperire e che per i dettagli che seguono viene citato solo da “La Tribuna”) che affermerebbe che Zelaya ha violato

Infine Rodríguez Maradiaga avrebbe considerato unilaterale la posizione dell’Organizzazione degli Stati Americani condannando la sospensione in queste ore dell’Honduras da parte di questa organizzazione che ha invece considerato un golpe la deposizione di Zelaya.Hablaguate8

 
 
 

14 luglio: è on line Diritto alla Rete

Post n°650 pubblicato il 05 Luglio 2009 da dammiltuoaiuto
 

14 luglio: è on line Diritto alla Rete

nuovobanner2

E’ on line il sito a cui far pervenire da questo momento tutte le adesioni alla giornata di “rumoroso silenzio” dei blog, il 14 luglio prossimo, contro le norme anti Internet previste dal Decreto Alfano.

Si chiama Diritto alla Rete.

La piattaforma aperta (ning) ha un forum di discussione e offre la possibilità di caricare foto e video.

C’è anche un logo per chi vuole caricarlo sul proprio blog o sito in attesa del 14 luglio.

Per la giornata in questione invece decideremo insieme, nelle discussioni di Diritto alla Rete, se mettere per tutto il giorno questo o un altro logo, un banner, un post o altro ancora (naturalmente senza altri post, solo per quel giorno di “silenzio rumoroso”).

Circolano anche altri loghi: meglio così, plurale è meglio.

14luglio-300x237
chiusoperlutto3blog

Mi sembra di buon impatto anche lo slogan che ha mandato nei commenti Alessandro Robecchi: “Il 14 luglio starò zitto un giorno, come Alfano vorrebbe facessimo tutti per gli altri 364“. O qualcosa di simile.

Ovviamente il sito è migliorabile e proposte in questo senso sono benvenute.

Intanto però chiedo a tutti quelli che ieri hanno aderito per mail o nei commenti a questo e ad altri blog di andare su Diritto alla Rete e  di aderire e registrarsi lì (scusate la rottura, ma ovviamente non ci sembrava corretto iscrivere noi “d’ufficio” quelli che ci hanno mandato un’adesione via mail o via commenti).

Si può anche aderire via mail scrivendo a  dirittoallarete at gmail.com, indicando il vostro blog e allegando una foto (se volete).

Aderisci alla giornata di silenzio per la libertà d'informazione on line

REGISTRATi al Network (in alto a destra) e ADERISCI scrivendo a:
dirittoallarete@gmail.com - [ 110 iscritti ]

Gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da un susseguirsi di iniziative legislative apparentemente estemporanee e dettate dalla fantasia dei singoli parlamentari ma collegate tra loro da una linea di continuità: la volontà della politica di soffocare ogni giorno di più la Rete come strumento di diffusione e di condivisione libera dell’informazione e del sapere.

Le disposizioni contenute nel Decreto Alfano sulle intercettazioni rientrano all'interno di questa offensiva.

Il cosiddetto "obbligo di rettifica" imposto al gestore di qualsiasi sito informatico (dai blog ai social network come Facebook e Twitter fino a .... ) appare chiaramente come un pretesto, un alibi. I suoi effetti infatti - in termini di burocratizzazione della Rete, di complessità di gestione dell'obbligo in questione, di sanzioni pesantissime per gli utenti - rendono il decreto una nuova legge ammazza-internet.

Rispetto ai tentativi precedenti questo è perfino più insidioso e furbesco, perché anziché censurare direttamente i siti e i blog li mette in condizione di non pubblicare più o di pubblicare molto meno, con una norma che si nasconde dietro una falsa apparenza di responsabilizzazione ma che in realtà ha lo scopo di rendere la vita impossibile a blogger e utenti di siti di condivisione.

I blogger sono già oggi del tutto responsabili, in termini penali, di eventuali reati di ingiuria, diffamazione o altro: non c'è alcun bisogno di introdurre sanzioni insostenibili per i "citizen journalist" se questi non aderiscono alla tortuosa e burocratica imposizione prevista nel Decreto Alfano.

La pluralità dell'informazione, non importa se via internet, sui giornali, attraverso le radio o le tv o qualsiasi altro mezzo, costituisce uno dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino e, probabilmente, quello al quale sono più direttamente connesse la libertà e la democrazia.

Con il Decreto Alfano siamo di fronte a un attacco alla libertà di di tutti i media, dal grande giornale al più piccolo blog.

Per questo chiediamo ai blog e ai siti italiani di fare una giornata di silenzio, con un logo che ne spiega le ragioni, nel giorno in cui anche i giornali e le tv tacciono. E' un segnale di tutti quelli che fanno comunicazione che, insieme, dicono al potere: "Non vogliamo farci imbavagliare".

Invitiamo quindi tutti i cittadini che hanno un blog o un sito a pubblicare il 14 luglio prossimo questo logo e a tenerlo esposto per l’intera giornata, con un link a questo manifesto. - scarica il banner.jpg

Non si tratta di difendere la stampa, la tv, la radio, i giornalisti o la Rete ma di difendere con fermezza la libertà di informazione e con questa il futuro della nostra democrazia.

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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