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Messaggi del 07/02/2010
Post n°715 pubblicato il 07 Febbraio 2010 da dammiltuoaiuto
http://www.italianosdargentina.com.ar/index.php?IdNot=30578
LOS ANGELES.-Ci vogliono poche parole per definire la vita e l'impegno di Maria Rita D'Orsogna, salita agli onori delle cronache per la sua difesa del territorio abruzzese dal terribile assalto delle trivelle petrolifere. Una vita intrisa di impegno, e mutuata da una fede profonda che ne fanno l'unica vera paladina della lotta contro la distruzione dell'ambiente regionale in cambio di insignificanti guadagni localistici. «Sono orgogliosa per quanto sono riuscita a fare, e spero che non mi manchino le energie per fare ancora di più - afferma Maria Rita -. Non avrei mai immaginato di avere dentro di me tutto questo coraggio. Non si è ancora capito che l'unico bene non delocalizzabile è il territorio, e che occorre proteggerlo invece che sottoporlo a scempi di varia natura. In teoria l'Abruzzo è la regione verde d'Europa. Il futuro non può essere quello di estrarre idrocarburi di bassa qualità, sia in terra che in mare. Non sarebbe piuttosto un ottimo segnale, turistico, di immagine, economico, se la regione Abruzzo, invece di abbracciare il petrolio, decidesse di diventare la regione più "solare" d'Europa? Con più territori protetti? Con più agricoltura organica?». La differenza di base fra i due Paesi è che qui i cittadini credono di poter cambiare le cose e si danno da fare. C'è un attivismo maggiore, e il senso che le cose possono cambiare se uno lo vuole davvero. In Italia c'è molto più fatalismo, a torto o a ragione. Non va bene secondo me». Figlia di emigranti abruzzesi giunti nel Bronx, Maria Rita D'Orsogna veste i panni di chi ha vissuto la propria infanzia e la propria adolescenza in entrambe le realtà sociali: quella americana e quella italiana. I primi anni d'infanzia trascorsi a New York vennero spazzati via dal ritorno in Italia della famiglia, con conseguente sradicamento per una bambina nei primi passi della socializzazione. «In Italia sono arrivata all'età di 7 anni quando mia madre decise di tornare a vivere in Abruzzo. Fu per me un piccolo trauma: dal Bronx alle campagne d'Italia dei primi anni Ottanta. Non parlavo l'italiano, non capivo le usanze locali; è stato difficile fare amicizia. Per anni abbiamo fatto la spola tra le due nazioni. Forse è anche per questo che sono sempre stata un po' un pesce fuor d'acqua mentre vivevo in Abruzzo. Con il tempo, però, ho imparato ad amarne la natura, i ritmi, le tradizioni, la vita contadina, il contatto con la terra. Ma ho sempre saputo che sarei tornata a vivere in America «da grande». Maria Rita tornò negli Stati Uniti con uno scambio estivo tra il Fermilab, al Centro di ricerca di Fisica di Chicago, e l'Università di Padova. Tre mesi vissuti quasi come una vacanza, passata però a perfezionare quella passione per la fisica che ne ha sempre distinto il percorso di studio, e che poi è diventato la sua professione. «Sono venuta a fare il dottorato in Fisica prima nel Maryland e poi a Los Angeles. Abituarsi al sistema scolastico americano, e imparare a vivere così lontano dalla propria famiglia in maniera permanente, è stato molto duro per me, ma strada facendo mi sono innamorata di Los Angeles, e non sono più voluta venire via. Vivo in questa città da più di dieci anni e la sento mia. E mi sento molto più fortunata dei miei genitori, che da migranti dovettero affrontare viaggi difficili e costosi, e accontentarsi di comunicazioni rare con l'Italia». Insegnante al Dipartimento di Matematica della California State University, a Northridge, ricercatrice nel campo della Statistica meccanica, nei modelli matematici e nella simulazione computerizzata, Maria Rita D'Orsogna rappresenta, in realtà, il modello ideale dell'ultima generazione migrante italiana. Quella che all'estero ci va per meriti professionali e che viene considerata come «cervello in fuga»: quella che mantiene alto l'affetto nei confronti della sua terra d'origine senza paura di scendere in campo. «Mi sento pienamente italiana, ma allo stesso tempo mi sento anche pienamente americana - conferma Maria Rita -. Sono due realtà che mi appartengono allo stesso modo. Molto spesso mi trovo a spiegare l'Italia agli americani e l'America agli italiani. Ci sono molti luoghi comuni e generalizzazioni da una parte e dall'altra. Voglio bene all'Italia, e seguo tutte le vicende politiche ed economiche della nostra nazione. Ma osservare da lontano l'innegabile declino - soprattutto morale - del nostro Paese, fa molto male». Chiamata a partecipare a numerose conferenze in ambito matematico e fisico, Maria Rita non ha esitato a scendere in campo per lottare contro lo scempio che si sta abbattendo sul territorio abruzzese, offrendo la sua professionalità per dimostrare il grave errore che le istituzioni pubbliche hanno commesso nella programmazione territoriale per il prossimo futuro. «Credo che impegnarsi per il bene comune sia un dovere di tutti gli italiani, ovunque essi vivano. Thomas Jefferson diceva che il prezzo da pagare per la democrazia è l'eterna vigilanza. Vivere lontani, al giorno d'oggi, non è una scusante per non interessarsi dell'Italia e per non fare del proprio meglio per aiutare a migliorare la nostra nazione. Sarebbe molto bello che chi ha lasciato l'Italia per un motivo o per l'altro, continuasse ad esserne parte attiva, cercando di re-importare le esperienze positive dei Paesi d'adozione. Ho trovato solidarietà e ammirazione da parte dei colleghi italiani che vivono qui ma, in generale poco impegno concreto. Ci vuole molta dedizione, e credo che il mio attivismo sia puramente americano. Lottare per il bene comune è molto più difficile in Italia che negli Stati Uniti, dove le regole sono più chiare e ci sono più mezzi e organizzazioni di riferimento». Autrice di decine di pubblicazioni, in gran parte incentrate sui modelli matematici applicati alla biologia, la docente della State University è referente della Physical Review Letters, della Physical Review E, dell'Institute of Electrical and Electronics Engineers Conference Proceedings, e membro dell'American Physical Society, della Società per le applicazioni matematiche per l'industria, e della Biophysical Society, ma l'intensa attività professionale non le fanno perdere di vista la vita comunitaria e la sua voglia di incontrare altri italiani. «La nostra è una famiglia che è sempre stata in bilico fra due continenti: mio padre viaggia ancora fra l'Abruzzo e New York, mio fratello vive a Boston. In qualche modo, però, siamo rimasti tutti molto uniti, e abbiamo imparato a rendere speciali tutti i momenti in cui siamo insieme fisicamente, da una parte o dall'altra del globo. Ho conosciuto molti italiani che vivono nella California del sud, soprattutto tramite canali informali, amici di amici e così via. Ovviamente ci sosteniamo a vicenda, a volte frequentiamo festival di cinema italiano, o altre manifestazioni legate all'Italia. Forse anche grazie alla lontananza da casa, siamo molto uniti e senza campanilismi. Ci sono alcune cose che solo altri italiani possono capire. Però, secondo me, occorre sforzarsi di non restare troppo chiusi nelle proprie comunità d'origine, e di aprirsi per apprezzare al meglio ciò che questo Paese ha da offrire. Per quanto mi riguarda, cercherò di fare del mio meglio per mantenere e tramandare le nostre tradizioni, anche se so che saranno inevitabilmente americanizzate. Cucino all'italiana e leggo libri italiani (ma non solo) di cui faccio incetta ogni volta che vengo in Italia. Se avrò dei figli, farò in modo che trascorrano le loro estati in Italia, e cercherò di far sì che parlino l'italiano correntemente. E'mportante conoscere e apprezzare le proprie origini, specie qui in America dov'è tutto così mescolato. Quando sai chi sei, è più facile sapere dove vai». (Generoso D'Agnese-Messaggero di sant'Antonio" di febbraio/Inform)
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