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La dittatura auto-moto

Post n°765 pubblicato il 25 Novembre 2010 da dammiltuoaiuto
 

La dittatura auto-moto

... e della motoI rinoceronti metallici - Buoni e cattivi - Menzogne a motore

L'invenzione dell'auto privata è una delle grandi sciagure abbattutesi sul genere umanoE.J.Mishan - Evaluation of Life and Limb: a theoretical approach - London 1971.

 

La parola regime è in genere usata per definire un sistema politico che non ammette alternative a se stesso, e che anzi tende a eliminare ogni possibile alternativa. Dunque Regime nel senso di dittatura o di sistema totalitario, termini che anche questi si riferiscono a sistemi che non ammettono alternative a se stessi.

In questo senso l'egemonia dell'automobile (e della motocicletta sua stretta parente) costituisce un vero e proprio regime politico-economico i cui due pilastri economici sono l'industria automobilistica e quella petrolifera; regime che si applica ventiquattro ore su ventiquattro su ogni singolo km quadrato del territorio, che esige ed in buona parte ottiene il consenso assoluto della popolazione nonché dei mass-media. Non è proprio questo il profilo di un regime?

La riprova di questa situazione la si è avuta negli ultimi mesi del 2008 quando essendo molte industrie automobilistiche ridotte sull'orlo del fallimento, queste hanno lanciato una massiccia campagna mediatica tesa a sostenere che l'industria dell'auto insieme a quelle a lei collegate (il cosiddetto indotto) è un pilastro dell'economia, che non se ne può fare a meno, che se crollasse trascinerebbe con sé l'intera economia. Il classico argomento dei regimi appunto: Après moi, le deluge, "Dopo di me il diluvio". E subito i governi di mezzo mondo a cominciare da quello USA hanno dato fondo alle loro finanze per sostenere l'industria dell'auto e mantenere in vita questo regime.

Regime che qui somiglia a un tumore maligno che una volta installatosi in un organismo si estende a tal punto da diventare inoperabile, nel senso che un tentativo chirurgico di asportarlo rischierebbe di uccidere l'intero organismo.

Così è per il regime auto-moto che cresciuto ormai a dismisura fino a lordare e deturpare ogni angolo del pianeta, ha oggi il controllo quasi totale della stampa che è pressoché unanime nell'esaltarlo e appoggiarlo in ogni modo, dalle pagine dedicate ai motori ai fiumi di inchiostro spesi per esaltare quei gran premi motoristici che usurpano il nome di eventi sportivi.

E oltre al servilismo della stampa, la dittatura auto-moto ha anche le sue adunate oceaniche: non più in una piazza della capitale per acclamare il capo supremo e scandire slogan, ma su strade e autostrade dove le adunate oceaniche prendono il nuovo nome di ... oceanici ingorghi; qui i sostenitori del regime (alias automobilisti/motociclisti) si sfogano a scandire gli slogan di regime: "vogliamo più strade", "vogliamo più autostrade", "vogliamo più parcheggi"; c'è anche una musica di regime che ha il suono stridente dei clacson; il tutto ripreso con grande enfasi dai mass-media che ne fanno occasione per sostenere a gran voce queste richieste.

Infatti anche questo, come tutti i regimi, ha una diabolica abilità nel costruire utili menzogne e nel rivoltare a proprio favore i propri disastri:

  • il traffico diventa un pretesto per costruire nuove strade e autostrade;
  • l'inquinamento un pretesto per convincere l'automobilista a vendere la sua auto e comprarne una nuova che si presume meno inquinante.
  • la strage motoristica un analogo pretesto per vendere auto che si presumono più sicure. Di recente si è toccato il fondo con le campagne di stampa contro la bici accusata di essere più pericolosa dei veicoli a motore, dimenticando il piccolo particolare che i ciclisti che muoiono sulla strada sono nel 99% dei casi uccisi proprio dai veicoli a motore. Un esempio di disinformazione veramente stomachevole: l'assassino accusa la sua vittima per essersi fatto uccidere!!!
  • E come ricordato poco fa, quando l'industria auto-moto si ritrova sull'orlo del fallimento usa questo argomento per ottenere aiuti e sussidi statali per sopravvivere e crescere ulteriormente, proprio come il tumore maligno che per sopravvivere e crescere ancora pretende per sé tutte le risorse dell'organismo.

Unica consolazione in questo nerissimo panorama è che tutti i regimi incontrano prima o poi una fine traumatica, non resta che sperare che lo stesso avvenga anche per il regime motoristico ...

 
 
 

La dittatura auto-moto

Post n°764 pubblicato il 25 Novembre 2010 da dammiltuoaiuto
 

La dittatura auto-moto
... e della moto
L'invenzione dell'auto privata è una delle grandi sciagure abbattutesi sul genere umano
E.J.Mishan - Evaluation of Life and Limb: a theoretical approach - London 1971.


La parola regime è in genere usata per definire un sistema politico che non ammette alternative a se stesso, e che anzi tende a eliminare ogni possibile alternativa. Dunque Regime nel senso di dittatura o di sistema totalitario, termini che anche questi si riferiscono a sistemi che non ammettono alternative a se stessi.
In questo senso l'egemonia dell'automobile (e della motocicletta sua stretta parente) costituisce un vero e proprio regime politico-economico i cui due pilastri economici sono l'industria automobilistica e quella petrolifera; regime che si applica ventiquattro ore su ventiquattro su ogni singolo km quadrato del territorio, che esige ed in buona parte ottiene il consenso assoluto della popolazione nonché dei mass-media. Non è proprio questo il profilo di un regime?
La riprova di questa situazione la si è avuta negli ultimi mesi del 2008 quando essendo molte industrie automobilistiche ridotte sull'orlo del fallimento, queste hanno lanciato una massiccia campagna mediatica tesa a sostenere che l'industria dell'auto insieme a quelle a lei collegate (il cosiddetto indotto) è un pilastro dell'economia, che non se ne può fare a meno, che se crollasse trascinerebbe con sé l'intera economia. Il classico argomento dei regimi appunto: Après moi, le deluge, "Dopo di me il diluvio". E subito i governi di mezzo mondo a cominciare da quello USA hanno dato fondo alle loro finanze per sostenere l'industria dell'auto e mantenere in vita questo regime.
Regime che qui somiglia a un tumore maligno che una volta installatosi in un organismo si estende a tal punto da diventare inoperabile, nel senso che un tentativo chirurgico di asportarlo rischierebbe di uccidere l'intero organismo.
Così è per il regime auto-moto che cresciuto ormai a dismisura fino a lordare e deturpare ogni angolo del pianeta, ha oggi il controllo quasi totale della stampa che è pressoché unanime nell'esaltarlo e appoggiarlo in ogni modo, dalle pagine dedicate ai motori ai fiumi di inchiostro spesi per esaltare quei gran premi motoristici che usurpano il nome di eventi sportivi.
E oltre al servilismo della stampa, la dittatura auto-moto ha anche le sue adunate oceaniche: non più in una piazza della capitale per acclamare il capo supremo e scandire slogan, ma su strade e autostrade dove le adunate oceaniche prendono il nuovo nome di ... oceanici ingorghi; qui i sostenitori del regime (alias automobilisti/motociclisti) si sfogano a scandire gli slogan di regime: "vogliamo più strade", "vogliamo più autostrade", "vogliamo più parcheggi"; c'è anche una musica di regime che ha il suono stridente dei clacson; il tutto ripreso con grande enfasi dai mass-media che ne fanno occasione per sostenere a gran voce queste richieste.
Infatti anche questo, come tutti i regimi, ha una diabolica abilità nel costruire utili menzogne e nel rivoltare a proprio favore i propri disastri:
  • il traffico diventa un pretesto per costruire nuove strade e autostrade;
  • l'inquinamento un pretesto per convincere l'automobilista a vendere la sua auto e comprarne una nuova che si presume meno inquinante.
  • la strage motoristica un analogo pretesto per vendere auto che si presumono più sicure. Di recente si è toccato il fondo con le campagne di stampa contro la bici accusata di essere più pericolosa dei veicoli a motore, dimenticando il piccolo particolare che i ciclisti che muoiono sulla strada sono nel 99% dei casi uccisi proprio dai veicoli a motore. Un esempio di disinformazione veramente stomachevole: l'assassino accusa la sua vittima per essersi fatto uccidere!!!
  • E come ricordato poco fa, quando l'industria auto-moto si ritrova sull'orlo del fallimento usa questo argomento per ottenere aiuti e sussidi statali per sopravvivere e crescere ulteriormente, proprio come il tumore maligno che per sopravvivere e crescere ancora pretende per sé tutte le risorse dell'organismo.
Unica consolazione in questo nerissimo panorama è che tutti i regimi incontrano prima o poi una fine traumatica, non resta che sperare che lo stesso avvenga anche per il regime motoristico ...

 
 
 

VIOLENZA ALLE DONNE

Post n°763 pubblicato il 25 Novembre 2010 da dammiltuoaiuto
 

VIOLENZA ALLE DONNE

http://muslimmatters.org/wp-content/uploads/2009/04/muslims-against-violence-against-women.jpg

Pakistani women protest in Lahore on April 4, 2009, against the public flogging of a woman. Pakistan’s top judge has ordered a court hearing into the public flogging of the woman, filmed on an amateur video, that has raised alarm about the tightening grip of Islamist hardliners. (AFP/Arif Ali) – souce image

MONROVIA, Liberia – Sexual violence occurs across all socio-economic and cultural backgrounds; women may be socialized to accept, tolerate or rationalize it. A weak justice system, the lingering violence of the war and an unwillingness to report instances compound the situation. No one is safe from assault – source image

 

Un nastro bianco contro la paura
Ad uccidere sono mariti e fidanzati

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Una grande mobilitazione per la Giornata mondiale contro gli abusi sul mondo femminile. Un impegno che durerà 16 giorni fino al 10 dicembre nella Giornata dei diritti umani. L’obiettivo è raccogliere 8.000 firme al giorno, tante quante sono le bambine sottoposte quotidianamente alle mutilazioni genitali nel mondo, Un problema che riguarda anche 500.000 donne e ragazze in Europa

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di EMANUELA STELLA

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Un nastro bianco contro la paura Ad uccidere sono mariti e fidanzati

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ROMA – Donne uccise  -  quasi sempre da mariti e compagni - ma anche picchiate, stuprate e sottoposte a mutilazioni genitali. E’ pensando a loro che l’assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 1999, ha indicato nel 25 novembre la giornata in cui ci si mobilita (indossando un nastrino bianco sul bavero della giacca) contro quella che il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha definito “la violazione dei diritti umani più vergognosa. Essa non conosce confini né geografia, cultura, povertà o ricchezza. Fintanto che continuerà, non potremo pretendere di aver compiuto dei reali progressi verso l’uguaglianza, lo sviluppo e la pace”.

Sedici giorni di impegno.
Il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, è stato scelto per ricordare il brutale assassinio delle tre sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana, ordinato nel 1961 dal dittatore Rafael Trujillo. Governi, amministrazioni locali e Ong hanno messo in campo iniziative che segnano l’avvio di una mobilitazione di 16 giorni contro la violenza di genere e che culmineranno il 10 dicembre nella Giornata dei diritti umani.

130 milioni di vittime. In Italia Amnesty International 1 lega questa giornata alla campagna contro le mutilazioni genitali femminili in Italia, in Europa e nel mondo, sostenuta da Mara Carfagna, ministro per le Pari Opportunità, ed Emma Bonino, vice presidente del senato. L’obiettivo è raccogliere 8.000 firme al giorno, tante quante sono le bambine che rischiano di subire mutilazioni dei genitali femminili nel mondo, pari a 3 milioni l’anno, per chiamare la Commissione e il Parlamento europeo a definire una strategia complessiva. Sono 130 milioni nel mondo le donne che hanno subito tali pratiche, diffuse in 28 paesi dell’Africa subsahariana e in alcuni paesi asiatici e del Medio Oriente. Il problema riguarda anche 500.000 donne e ragazze in Europa: Amnesty stima che siano 180.000 le bambine residenti in Europa che rischiano di subire questa pratica. La raccolta di firme 2.

Fenomeno in crescita. Aumentano i “femminicidi” in Italia e il primato è del Nord. L’ultima è Emiliana Femiano, 25 anni, uccisa dall’ex fidanzato domenica scorsa. Nel 2010 sono già 115 le donne ammazzate, stando a un’indagine della Casa delle donne di Bologna 3, che definisce le vittime “donne uccise in quanto tali”. I femminicidi erano stati 101 nel 2006, 107 nel 2007, 112 nel 2008, 119 nel 2009. Responsabili i mariti nel 36% dei casi, i conviventi o i partner nel 18%, gli ex compagni nel 9%, i parenti nel 13%. Per lo più italiane le vittime (70,8%) e gli assassini (76%). Secondo l’indagine, dal 2006 al 2009 le donne uccise sono state 439. L’allarme si focalizza sulla violenza domestica, perché le relazioni familiari e tra i sessi risultano essere quelle più “rischiose” per la donna.

Quando si dice “No” alla subalternità. La violenza si scatena quasi sempre quando le donne cercano di sottrarsi al tradizionale ruolo di sottomissione, quando vogliono porre fine a un rapporto o quando vogliono la separazione. La gelosia è una delle principali cause di morte, e i femminicidi sono più numerosi al nord che al sud (49% contro 24%), probabilmente perché al nord le donne sono più emancipate. Nel 64% dei casi l’aggressione avviene nella casa della vittima, il luogo che dovrebbe essere più sicuro e dove invece la vita della donna è maggiormente in pericolo.

Centri antiviolenza a rischio. I tagli previsti dalla legge di stabilità per le organizzazione di volontariato, mettono a repentaglio i centri antiviolenza. Ma i tagli dei fondi agli enti locali, costringono alla chiusura numerosi luoghi concretamente idonei a offrire accoglienza e assistenza alla donna abusata, maltrattata, in fuga da un compagno manesco. È la denuncia della onlus Dire-Donne 4 in rete contro la violenza, che raccoglie 58 centri sul territorio nazionale. Ha cessato l’attività in questi giorni il centro di Cosenza, stessa sorte per quello pugliese di Polignano a Mare, mentre anche quello di Lugo (Ravenna) è in stato di crisi e a fatica riesce, con il contributo volontario delle operatrici, a compiere le sue attività. “Il Governo a parole fa politiche per donne, come il Piano antiviolenza della Carfagna che noi per primi abbiamo voluto, o come la legge anti-stalking, ma nei fatti non ci sono politiche stabili e finanziamenti certi e quindi molti centri sono costretti a chiudere”, denuncia Elisa Ercoli, responsabile del centro per le donne vittime di tratta di Roma.

Migliaia le richieste d’aiuto. Sono 13.587 le donne che si sono rivolte nel 2009 a un centro antiviolenza (il 14,2% in più rispetto all’anno precedente): di queste il 67% sono italiane. Le donne ospitate sono state 576 (con 514 minori) a fronte di una capienza massima di 393 posti letto. “Questa politica miope non capisce che i centri antiviolenza costituiscono un investimento non solo sociale ma anche economico del paese, perché una donna accolta in un centro costa sette volte meno rispetto al caso in cui venga assistita dai servizi sociali”, hanno sostenuto le operatrici della Dire.

Iniziative concrete. L’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (Onda) e il Fatebenefratelli, in collaborazione con l’Associazione italiana medici di famiglia 5, hanno redatto un vademecum destinato agli operatori sanitari per riconoscere le vittime di violenza domestica e intervenire ai primi segnali. Il vademecum 6 è scaricabile online e viene distribuito nei 67 ospedali lombardi “amici della donna” premiati con i Bollini rosa di Onda. Una campagna contro lo stalking è stata lanciata dalla Regione Lombardia: promossa da Telefono donna 7, prevede spot tv e radio e cartelloni, con l’obiettivo di far emergere dalla dimensione privata un problema che è sociale, affiancando le donne nella denuncia e fornendo assistenza psicologica e legale.

“L’indifferenza è violenza”. Numerose le iniziative locali: cartoline con lo slogan “Anche l’indifferenza è violenza” vengono distribuite sul territorio fiorentino in mercati, scuole, stazioni ferroviarie, insieme al tradizionale fiocco bianco simbolo della giornata, mentre i panifici del vicentino distribuiranno sacchetti con la scritta “Per molte donne la violenza è pane quotidiano, aiutaci ad aiutarti”. Sui sacchetti sono indicati recapiti telefonici e mail ai quali le donne vittime di violenza possono rivolgersi. “Non è un paese per donne” 8 è invece lo slogan scelto da una rete di associazioni di Bari per celebrare la giornata contro la violenza.

Le femministe romane. Legano la giornata del 25 novembre alla protesta contro la proposta di legge regionale sui consultori, “che mira a chiudere quelli pubblici spostando i soldi su quelli privati”, come scrive Il paese delle donne on line (che dà appuntamento per un presidio davanti alla sede della Regione Lazio). A Roma, al cinema Anica (viale Regina Margherita 286), si incontrano personaggi della musica e del cinema come Fiorella Mannoia e Serena Autieri, per dire basta alla violenza e per ricordare il diritto di sentirsi “Libere di essere” 9. La manifestazione ha il sostegno dell’Assessorato alle politiche sociali di Roma Capitale, guidato da Sveva Belviso.

“Difesa in Rosa”. è il titolo dell’iniziativa, patrocinata dalla Commissione delle Elette del Comune di Roma 10, che coinvolgerà gratuitamente donne di tutte le età. Le lezioni di autodifesa si svolgeranno sabato 27 e domenica 28 al Centro Area di via Mendola e saranno tenute dall’Associazione Police Friends. Moltissime le pagine Facebook dedicate alla Giornata internazionale contro la violenza sulle donne (si schiera anche Second Life 11).

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25 novembre 2010

fonte:  http://www.repubblica.it/solidarieta/volontariato/2010/11/25/news/un_nastro_bianco_contro_la_paura_ad_uccidere_sono_mariti_e_fidanzati-9487242/?rss

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