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IN ITALIA IL 10% DELLE FAMIGLIE HA 50 % DELLA RICCHEZZA NAZIONALE E IL RESTO E' ALLA FAME

Post n°919 pubblicato il 19 Dicembre 2011 da dammiltuoaiuto
 

Poche famiglie hanno grandi ricchezze e molte non ne hanno

http://www.agoravox.it/Poche-famiglie-hanno-grandi.html

 

La Banca d’Italia, nel supplemento a bollettino statistico, ha fornito numerosi dati relativi alla ricchezza delle famiglie italiane. Il dato, a mio avviso più interessante, anche se non rappresenta una novità, riguarda il fatto che la ricchezza italiana è distribuita in modo molto concentrato. Cosa vuol dire? E’ semplice, molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza mentre poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata. Più precisamente a fine 2008 la metà più povera delle famiglie deteneva il 10% della ricchezza totale mentre il 10% più ricco deteneva quasi il 45% della ricchezza complessiva. Comunque la crisi si è fatta sentire anche per la ricchezza delle famiglie italiane: dalla fine del 2007 - quando aveva raggiunto i suoi livelli massimi - alla fine del 2010 la ricchezza netta delle famiglie italiane (somma di attività reali e finanziarie) è diminuita del 3,2% a 8.640 miliardi di euro. Tra il 2009 e il 2010 la ricchezza complessiva è scesa dell'1,5. Però occorre considerare che i confronto con altri paesi sono favorevoli per l’Italia. Alla fine del 2009 la ricchezza netta delle famiglie italiane è stata pari a 8,3 volte il reddito disponibile lordo, contro l'8 del Regno Unito, il 7,5 della Francia, il 7 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 4,9 degli Stati Uniti.

A ciò si deve aggiungere che le famiglie italiane sono meno indebitate: l'ammontare dei debiti era infatti pari all'82% del reddito disponibile (in Francia e in Germania era di circa il 100%, negli Stati Uniti e in Giappone del 130%, nel Regno Unito del 170%). Se si vuole analizzare più nel dettaglio la ricchezza degli italini, si può aggiungere che alla fine del 2010 la ricchezza netta delle famiglie (al netto, cioè, delle passività finanziarie) è stata pari a 8.640 miliardi di euro. La ricchezza lorda era invece pari a circa 9.525 miliardi di euro, corrispondenti a poco meno di 400.000 euro in media per famiglia. Le attività reali rappresentavano il 62,2% della ricchezza lorda, le attività finanziarie il 37,8%. Le passività finanziarie, pari a 887 miliardi di euro, rappresentavano il 9,3% delle attività complessive.

Secondo stime preliminari, nel primo semestre 2011 la ricchezza netta delle famiglie sarebbe leggermente aumentata in termini nominali (0,4%) per effetto di un aumento delle attività sia reali (1,2%) sia finanziarie (0,4%), nonostante le passività abbiano fatto registrare un incremento del 5,4%. Il numero di famiglie con una ricchezza netta negativa, alla fine del 2008 pari al 3,2%, risulta invece in lieve ma graduale crescita dal 2000 in poi. A fine 2010 le abitazioni rappresentavano quasi l'84% del totale delle attività reali. Alla fine del 2010 la ricchezza in abitazioni detenuta dalle famiglie italiane ammontava a oltre 4.950 miliardi di euro, corrispondenti in media a poco più di 200.000 euro per famiglia. La ricchezza in abitazioni, a prezzi correnti, è cresciuta tra la fine del 2009 e la fine del 2010 dell'1% (circa 48 miliardi di euro). La crescita è stata molto inferiore al tasso medio annuo del periodo 1995-2009 (circa il 5,9%), a causa del rallentamento delle quotazioni sul mercato immobiliare. In termini reali, la diminuzione della ricchezza in abitazioni rispetto al 2009 è risultata pari a circa lo 0,5%.

 
 
 

CHIESA QUANTO MI COSTI 6 MILIARDI DI EURO!!!!

Post n°918 pubblicato il 19 Dicembre 2011 da dammiltuoaiuto
 

Chiesa cattolica, quanto mi costi? Oltre 6 miliardi

Il tema dei costi della Chiesa cattolica è diventato di attualità in seguito all’attenzione che i mass media hanno dedicato alle esenzioni di cui gode la Chiesa per quanto riguarda il pagamento dell’Ici. Risulta pertanto di notevole interesse l’iniziativa dell’Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) che ha realizzato un sito denominato www.icostidellachiesa.it, per effettuare una stima dei costi, a carico di tutti gli italiani, derivanti dal sostegno alla Chiesa cattolica. L’Uuar in una nota spiega i motivi e le caratteristiche dell’iniziativa. Scrive fra l’altro: “Nessuno è al corrente dell’entità dei fondi pubblici e delle esenzioni di cui, annualmente, beneficia la religione che ne gode incomparabilmente più delle altre, la Chiesa cattolica nelle sue articolazioni (Santa Sede, Cei, ordini e movimenti religiosi, associazionismo, eccetera). Non la rendono nota né la Conferenza Episcopale Italiana, né lo Stato. È per questo motivo che l’Uuar ha deciso di dar vita alla piattaforma ‘I costi della Chiesa’: l’obiettivo è di presentare una stima di massima che sia la più attendibile e accurata possibile, citando estesamente le fonti e utilizzando metodologie trasparenti”.

Secondo quanto sostiene l’Uuar, la stima aggiornata dei costi annui della Chiesa è 6.086.565.703. Le spese più significative che determinano quell’importo complessivo di oltre 6 miliardi di euro sono le seguenti (i valori sono espressi in milioni di euro):

  • Riduzione Ires 100
  • Riduzione Irap 100
  • Esenzione Iva 100
  • Insegnamento della religione cattolica nelle scuole 1.500
  • Contributi statali alle scuole cattoliche 261
  • Contributi delle amministrazioni locali alle scuole cattoliche 400
  • Utilizzo dei fondi strutturali europei 107
  • Cambi di destinazione d’suo 150
  • Altri contributi erogati dalle Regioni 242
  • Servizi appaltati in convenzione ad organizzazioni cattoliche 150
  • Convenzioni pubbliche con la sanità cattolica 167
  • Altri contributi erogati dai Comuni 257
  • Benefici concessi da fondazioni e società a partecipazione pubblica 200

L’iniziativa dell’Uuar mi sembra molto importante. Infatti, a mio avviso, è più che opportuno conoscere con precisione l’entità dei costi pubblici derivanti dal sostegno alla Chiesa cattolica come alle altre religioni, per valutare se tali costi siano troppo elevati oppure no, soprattutto in un periodo come quello attuale nel quale si considera come obiettivo prioritario la riduzione del deficit dello Stato. Anche per rispondere a una domanda più che legittima: le spese pubbliche a favore della Chiesa devono contribuire al raggiungimento di quell’obiettivo? Io penso proprio di sì.

 
 
 

GLI UOMINI DI MONTI E IL COMMA A HOC PER MANTENERE IL DOPPIO INCARICO E IO DEVO LAVORARE 42 ANNI!!!

Post n°917 pubblicato il 19 Dicembre 2011 da dammiltuoaiuto
 

Gli uomini di Monti e il comma ad hoc
per mantenere doppi incarichi e rimborsi

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/15/stipendi-tecnici/177617/

 

Senza lobby non sei nessuno. Per uscire vivo da questa manovra devi avere un santo in Paradiso, o a Montecitorio. E i dirigenti della Pubblica amministrazione alla Camera ne hanno molti. Dopo aver confezionato una “norma pasticcio” sul taglio agli stipendi parlamentari, adesso i tecnici del governo Monti si sono scritti una norma “ad personam”. O meglio un comma ad hoc, per preservare i loro redditi. Nella manovra, infatti, è previsto che con un decreto del presidente del Consiglio, (ricevuto il parere delle Commissioni parlamentari) venga ridefinito il trattamento economico dei rapporti di lavoro dipendenti o autonomi con le pubbliche amministrazioni, stabilendo come parametro massimo per i dirigenti lo stipendio del presidente della Corte di Cassazione. Nello stesso articolo, il 23 ter, è sancito inoltre che i dipendenti pubblici chiamati a funzioni direttive nei ministeri o nella P. A. abbiano un’indennità pari al 25 % del trattamento economico percepito. Cioè che prendano uno stipendio e un quarto anziché due stipendi interi.

La norma, a quanto pare, ha fatto infuriare i “papaveri” della Pubblica amministrazione che hanno infuocato i telefoni dei colleghi tecnici di governo per tutta la serata di martedì. La Commissione bilancio è stata costretta a una pausa per ascoltare le innumerevoli proteste. Il doppio stipendio pubblico riguarderebbe i ruoli di vertice, come quelli dei ministri, da Antonio Catricalà, magistrato e membro del governo, a Corrado Clini, dirigente ministeriale e ora a capo del dicastero dell’Ambiente, fino al ministro che guida proprio la Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, anche lui magistrato fuori ruolo. Poi c’è Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro, e ora viceministro, che ha già annunciato la rinuncia al 70 % della retribuzione e dovrà lasciarne almeno un’altra piccola parte.

Ma la norma coinvolgerebbe anche i sotto-segretari e soprattutto l’esercito di tecnici pubblici che riceve incarichi negli uffici di diretta collaborazione dei ministeri, o cariche in enti pubblici diversi da quello di provenienza. Come quella di Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, che oltre ad essere magistrato fuori ruolo è capo dell’Ufficio legislativo del ministro della Giustizia, Paola Severino. Anche lei nei corridoi della Camera martedì sera, costretta ad attendere il verdetto sul suo secondo stipendio. Le lamentele dei dirigenti, a quanto pare, hanno fruttato una soluzione ad personam per la categoria: al comma 3 dell’articolo 23 ter è stato previsto che col decreto del presidente del Consiglio (citato al comma 1, quindi quello di revisione degli stipendi) si possano prevedere “deroghe motivate per le posizioni apicali delle rispettive amministrazioni”. Ovvero si possa concedere agli “eletti” di mantenere il doppio stipendio. Nello stesso decreto verrà stabilito inoltre un tetto massimo per i rimborsi spese, che naturalmente andranno ad aggiungersi ai doppi compensi. Cifre che, cumulate, non scendono mai sotto i duecentomila euro e fanno impallidire anche i parlamentari e i loro diecimila euro al mese.

da Il Fatto Quotidiano del 15 dicembre 2011

 
 
 
 
 
 
 
 
 

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