Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 51

Post n°51 pubblicato il 29 Maggio 2005 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

SENTENCED - THE COLD WHITE LIGHT (2002)

Che cosa rappresenta la fredda luce bianca? << In questo album sono presenti alcuni nuovi elementi, nuove idee ed alcuni esperimenti, sia a livello musicale che a livello di liriche… qualcosa che non avevamo mai fatto prima. La luce può rappresentare la vita, la morte, l'amore… elementi che sono presenti in tutte le songs dell'album; come porsi la domanda del cosa c'è dopo tutto, dopo che tutto finisce. Personalmente vedo la fredda luce bianca come una speranza, una cosa a cui arrivare, come la luce in fondo al tunnel >>.  Non sono parole mie, piuttosto, appartengono a Ville Laihiala, singer dei grandiosi Sentenced. Per due anni non avevo fatto altro che aspettare l’uscita di questo album e nel momento in cui è stato tra la mie mani la mia felicità era veramente immensa; dopo l’ascolto non ha potuto fare altro che aumentare per arrivare a livelli quasi inimmaginabili. Il 2002, e ne sono convinto, verrà ricordato sì per la caduta nerazzurra del 5 maggio in quel di Roma, ma quasi esclusivamente per le simultanee releases di importanti dischi griffati Rhapsody, Manowar, Blind Guardian, Iron Maiden, e proprio per il ritorno trionfante il giorno 13 del medesimo mese dei finnici Sentenced. Insomma, tra tante e troppe uscite discografiche, il metallo offre, tramite The cold white light, una perla d'indiscusso valore che non fa altro che confermare l'ottimo status della scena metal finnica. La Scandinavia non è affatto in crisi di idee come qualcuno aveva professato. I Sentenced, piuttosto, erano esplosi con la doppietta atomica Down (1996) - Frozen (1998), ed erano tornati nuovamente all'opera con un valido lavoro emotivo/emozionale quale Crimson (2000): ebbene si, se avete amato un po' tutte le sfaccettature stilistiche assunte da questa formazione dall'uscita di Amok (1995) in poi, se avete apprezzato i Sentenced aggressivi come quelli orecchiabilissimi, masticabili e coinvolgenti, ecco The Cold White Light che, si propone, infatti, come una definitiva prova del valore immenso del quintetto, grazie a momenti dall'irresistibile pathos, nei quali oscurità ed intense quanto semplici melodie vengono a mescolarsi per dar luce ad un qualcosa di realmente unico. Un “compendio” artistico di siffatto valore. Risulta importante sottolineare preventivamente che i Sentenced, dall'alto del loro ormai affermato nome, non si sono gettati a capofitto nel music business come fatto senza troppi ripensamenti da HIM o To Die For, ed hanno proposto qua una sorta di riassunto della seconda metà della loro carriera, correlato da pezzi destinati a rimanere nei tempi a venire. I padrini del cosiddetto suicide metal, a seguito del successo di Crimson (anche a livello di vendite), con la sua svolta melodica e la sua immediata fruibilità, avrebbero potuto blandamente alleggerire ancora il suono per garantirsi un successo planetario, ma non e' stato così. The cold white light è un album certamente immediato, immediato nell'appagamento che da' all'ascoltatore, nella potenza che esprime, nelle emozioni dirette che suscita, per tali motivi, non e' di certo un album commerciale, è invece dinamico, violento e dolce, esaltante nonostante la sua “oscurità” di fondo. E non si tratta di una “ricusazione” del precedente disco, semmai di un'evoluzione, ci tengo a ripeterlo, di una rivisitazione di esso alla luce dell'intera carriera dei Sentenced. Dal punto di vista musicale, questo è un album di granitico heavy metal, ritmato, melodico e dove le chitarre di Sami Lopakka e Miika Tenkula sono in primo piano garantendo un suono pieno e pesante e straordinari assoli, in stile quasi anni '80 anche se con un taglio decisamente moderno (lontani da ogni sospetta contaminazione), supportati dal basso di Sami Kukkohovi e dalla batteria di Vesa Ranta che conferiscono un'ulteriore spinta al tutto. Ville Laihala dimostra poi di essere un grande cantante, con un' immensa prestazione: diretta, essenziale, emozionante, calda, profonda, cantando in maniera differente rispetto a quanto faceva su Crimson, ritornando parzialmente alle tonalità di Frozen. Quasi dimenticavo, giace qui anche, e soprattutto, la più alta espressione della tecnica e della classe della band finlandese per quanto riguarda il songwriting, con consueti testi sono legati alla tristezza, all’abbandono, al suicidio, qualcosa di letteralmente inarrivabile per altre compagini sonore. In effetti, l'intero album non presenta punti deboli. Impossibile tralasciare il freddo e glaciale artwork curato dal drummer della band Vesa Ranta che, non sarà Niklas Sundin, autore della meravigliosa raffigurazione sulla copertina di Crimson (2000), ma è riuscito a cogliere a pieno l’essenza del sound di questo disco. Infine, non ho ancora parlato della produzione, qualcosa di assolutamente scontato, dato che non credo di ricordare nessun album dei Sentenced prodotto male. Il risultato finale è decisamente pregevole, ma, a mio avviso, se questo disco, incredibilmente curato in tutti i suoi dettagli, non avesse avuto come produttore un certo Hiili Hiilesmaa (Moonspell, Theatre Of Tragedy HIM e Apocalyptica) e non fosse stato registrato per metà ai Finnvox Studios, credo proprio che non sarebbe stato questo gran capolavoro. Un disco che si lascia così ascoltare più e più volte, è la degna continuazione del discorso artistico iniziato anni addietro, nel tempo sempre più perfezionato, e si può giustamente parlare di un vero e proprio marchio di fabbrica dei Sentenced.

Persino la successione stessa dei brani pare azzeccata: si parte con un breve intro strumentale, uno splendido brano tradizionale finlandese accompagnato da una lapidaria frase: << There is only one way to come in this world, but so many ways to leave >>. Konevitsan Kirkonkellot è un eraviglioso opener d’atmosfera ispirato ad una canzone tradizionale finlandese, con un inquietante gracchiare di uccelli, che sarà poi ripreso maggiormente nel finale. Subito dopo la traccia successiva è una di quelle canzoni che appena ascoltata ti entra nella mente, te la riascolti 4 o 5 volte se non di più e ti ritrovi a canticchiarla nei momenti meno indicati, anche se parla del desiderio di morire in seguito alla perdita di una persona cara! La disperazione, l’angoscia della perdita di qualcuno che abbiamo amato è appunto tratteggiata in Cross My Heart And Hope To Die parte lenta con un bellissimo arpeggio seguito dalla carismatica voce del dominante Ville Laihiala che recita un << Since your death, everything has felt so meaningless and vain, that I’ve lost the will to live >, mentre l’ispirato riffing di Sami Lopakka è ossessivo e penetrante, il drumming di Vesa Ranta è molto cadenzato a sottolineare la tristezza del pezzo ed il chorus è accattivante e coinvolgente. Meravigliosa. Il testimone passa ora alla sofferta ed intensa Brief Is The Light, indice di positività che ci sollecita a non perdere tempo ed ad assaporare ogni momento della nostra vita. Brief Is The Light è, dunque, uno dei pezzi più singolari dell’album, dove un arpeggio fa da base per lo sviluppo di tutta la canzone, Ville Laihiala è sempre immenso ed interpreta magistralmente dall’inizio alla fine riuscendo a comunicare una tristezza cosmica. Il chorus è quasi entusiastico in netto contrasto con le strofe, a mio giudizio il miglior brano degli undici in scaletta. Così la definisce il singer: << tutti alla fine dobbiamo lasciare, dobbiamo morire… così questa è una songs che ti dice di non perdere tempo, di fare quello che devi… di non andare al cimitero a trovare i defunti con rammarico e tristezza, ma comunque di trovare gioia anche in questo… non so se mi sono fatto capire! >>. Straordinaria. Neverlasting (click), invece, è una canzone decisamente rock'n’roll oriented. È la bottiglia che ti parla che ti sprona a far festa, a divertirti, a non preoccuparti di quello che sarà domani, perciò, quando sei ubriaco e fai festa è una sorta di fuga dalla realtà! Un episodio un pò strano, malgrado la potenza, in cui il gruppo mostra di saper suonare oltre a metal cupo e crepuscolare anche rock molto aperto, questo brano, “in your face”, alterna massivi muri di chitarre ad assoli di basso di un Sami Kukkohovi sopra le righe: qui addirittura più importante dello stesso riffing di chitarra. Il ritornello è molto particolare, caratterizzato da coinvolgenti backing vocals, mentre l’assolo centrale è veramente aggressivo. Poi arriva la stupenda Aika Multaa Muistot [Everything Is Nothing], brano di grandissima atmosfera e ancora una volta sofferto, praticamente una power ballad. La parte del titolo in inglese non è la traduzione di quella in finlandese che, a quanto ho capito, è un modo di dire di difficile traduzione. Il pezzo inizia lento con un arpeggio e Ville Laihiala sugli scudi, poi pian piano entrano in gioco batteria e basso, allo scoppio del riff granitico non si può che esultare ed iniziare ad "headbangare", Il cantante dalla voce sporca ricorda in parte il James Hetfield degli ultimi tempi, l’assolo è struggente e contribuisce a sottolineare il contrasto tra violenza e melodia: davvero un pezzo unico. Con un titolo che è tutto un programma, comunque non spaventatevi, arriva il secondo episodio di auto-ironia finnica: dopo la geniale "The Suicider" in Frozen (1998), ecco l’oscura Excuse Me While I Kill Myself, brano abbastanza duro, scorrevole e piacevole ed intriso di humour nero con un ottimo riffing e un bellissimo assolo, praticamente ideale da proporre dal vivo. Geniale. In settima posizione si situa Blood And Tears (click), un altro brano di rock molto diretto ed orecchiabile, catchy ed grintoso in dosi molto equilibrate. Forse il meno particolare del disco. Introdotto da una struggente parte di chitarra solista è ancora una volta il basso ad accompagnare Ville Laihiala nella strofa, anche il chorus è davvero notevole. Sicuramente una delle più tristi del lotto. In tutto questo, la conseguente ballad You Are The One risulta essere piena di sentimento e adatta da dedicare alla persona che amiamo o che vorremmo amare: << my first and last, my all and everything, you are the one >>. Un ottimo brano gotico dominato dagli arrangiamenti di tastiera, che riesce a coinvolgere soprattutto nel bellissimo refrain, dove finalmente le chitarre esplodono con vitalità e freschezza. La love-song dell’album, mancava in Crimson (2000) e You are the one è qui a continuare la serie di Sun Won’t Shine (Amok, 1995) e Drown Together (Frozen, 1998). Gemma. Guilt And Regret, pezzo particolarissimo. È il piano che ci introduce alla strofa magistralmente interpretata da Ville Laihialla, il chorus è davvero triste, dalle parole che si riescono a percepire sembra che parli dei genitori di chi ha scritto il testo (nove su dieci, Sami Lopakka) ed esprime grande rancore nei loro confronti; la parte centrale accompagnata dalle poche note del piano seguita da una parte di chitarra acustica è davvero incredibile. Ennesima “sofferta” manifestazione di puro estro. Giunge così il momento di The Luxury Of A Grave, brano introdotto dall’elettronica ed accompagnato da un riff frammentato, per poi far posto alla chitarra solista e di lì a poco i due chitarristi si superano letteralmente andando a firmare i riffs e gli assoli migliori della loro carriera, il bridge, per di più, è meraviglioso così come il chorus. E un altro grande brano è servito. Il disco si chiude con No One There, singolo apripista qui proposto in versione integrale. Certamente il pezzo più easy del lotto, tuttavia, di grande effetto e coinvolgimento, ed anche in questo frangente i cinque cercano di evidenziare un contrasto tra tristezza e spensieratezza con delle tristi strofe caratterizzate da una cupa voce, il refrain è azzeccato e il break che si respira verso la fine è quasi un grido, quasi una liberazione, quel << It freezes my heart, my desperate heart >> è “spensierato”.

Il finale riprende l’intro del disco con il gracchiare degli uccelli che si vanno a disperdere nell’aree e lasciano l’ascoltare con quella tristezza, quella inquietudine e quella incertezza che sempre accompagnano la vita di ognuno di noi. 45 minuti d’applausi.

 
 
 
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