Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

« Messaggio #53Messaggio #55 »

Post N° 54

Post n°54 pubblicato il 31 Maggio 2005 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

IN FLAMES: SOUNDTRACK TO YOUR ESCAPE (2004)

Gli In Flames sono, volenti o nolenti, una delle più importanti band che le terre svedesi ci abbiano regalato, una band che ha saputo sempre rinnovarsi, un album dietro l’altro, senza mai fermarsi e, soprattutto, senza mai ripetersi. Già la prima release Lunar Strain (1994) fece parlare di loro, con Subterranean (1994) stupirono ed incantarono, con il successivo The Jester Race (1995), naturale continuo di un discorso cominciato acerbamente, ebbero la prima vera consacrazione: da qui in poi gli In Flames sono entrati nella storia del death metal di stampo svedese. Whoracle (1998) fu la prima svolta reale a tutti i livelli, o quasi: suono, composizioni, atmosfere. Colony (1999) aumentò ulteriormente il distacco dagli esordi, da una parte, dall'altra riprese certi riffs maideniani tipici di The Jester Race (1995), che erano stati accantonati nel precedente Whoracle (1998). Ritengo che per capire il percorso evolutivo che ha portato la band a scrivere il controverso Soundtrack to your escape bisogna studiare bene alcune composizioni proprie di Colony (1999). Certo è facile dire che con Colony (1999) vi sia stata la prima sperimentazione di voci pulite, ad esempio con Ordinary Story, ma mi riferisco anche alla splendida Zombie Inc.: apertura forte, per poi proseguire con strofa, pre-ritornello, ritornello nel contempo violenti e melodici ed un intermezzo che parte pacato, ma che, secondo dopo secondo, prepara la successiva esplosione. Ricorda qualcosa di più recente? Ciò nonostante, i successivi Clayman (2000) e Reroute To Remain (2002) hanno portato la band sempre più in alto, sia a livello compositivo/esecutivo, sia a livello di vendite. Ora, è lecito aspettarsi grandi cose dal nuovo materiale, vista anche l'influenza che la band ha in tutto il filone svedese: bene, anche questa volta i nostri eroi non si sono fermati, e hanno fatto un ulteriore passo e, influenzati sempre di più da ciò che fa guadagnare i dollari negli USA, si sono buttati a capofitto in quello che da un lato sarà l'album della consacrazione a livello di vendite oltreoceano, ma che sarà anche la probabile linea di demarcazione fra i vecchi e i nuovi fans. Se qui c'è da discutere è solo a causa della svolta che hanno intrapreso i cinque svedesi, nulla di imprevisto poiché Soundtrack To Your Escape è il perfetto prosieguo di Reroute To Remain (2002). Legati da un filo rosso. Personalmente, ero tra coloro i quali avevano apprezzato il precedente lavoro, disco in cui la compagine svedese degli si era allontanata dagli stilemi del melodic-death scandinavo, per abbracciare sonorità maggiormente moderne contraddistinte da inserti elettronici non eccessivamente invadenti, linee di tastiera che contribuivano a rendere ancor più ariosi alcuni refrain, ed un’impostazione vocale varia e rinnovata, ma non sempre convincente, che si prestava alle esigenze della forma canzone. Da questo connubio ne scaturiva un album complessivamente ispirato che permetteva di comprendere e giustificare la svolta stilistica della band alla luce del progressivo inaridimento compositivo culminato con l’uscita di Clayman (2000). Sono della convinzione che Soundtrack To Your Escape debba essere ascoltato più e più volte prima di essere compreso appieno, vi è una differenza sostanziale tra gli ultimi due lavori: lo ripeto, mentre in Reroute To Remain (2002), come in Clayman (2000), l'uso delle tastiere era semplicemente un contorno rispetto al riffing portante delle chitarre, in quest'album la coppia Jesper Strömblad / Björn Gelotte lavora, più semplicemente, per alzare un muro di suono a sostegno delle melodie tessute dai synth. Tuttavia, non è un claustrofobico muro stile Nevermore, piuttosto alcuni riffs sono paradossalmente avvicinabili Rammstein. Un altro paragone plausibile sono i Pain di Peter Tagtgren, stesso concetto semantico della forma canzone, ma laddove i Pain fallivano clamorosamente a causa di un songrwriting privo di mordente, gli In Flames centrano l'obiettivo riuscendo a creare qualcosa di alternativo. Ormai i cinque svedesi sono un’entità nuova, riplasmata, ma che ha ancora tanto desiderio di spaccare i fondoschiena altrui, sia pur muovendosi su territori inediti, che lasciano poco spazio all’arido e anacronistico conservatorismo. Quest’album, rappresenta la forma compiuta (per la maggior parte) di questa nuova metamorfosi. L’anima metallica è rimasta, ma tale anima sfugge ormai alle consuete catalogazioni che cerchiamo di dare per comodità al metal: heavy, power, death, thrash, speed, suicide, doom, gore, black, classic, epic o viking. Parole senza significato. La difficoltà nel recensire un'opera come questa sta proprio qui. Non è nulla di tutto quello che avete sentito precedentemente o meglio ancora, come già accennato, è tutto quello che avete sentito filtrato attraverso gli In Flames. Reinterpretazioni. Grazie ad una produzione mostruosa e una cura per gli arrangiamenti maniacale, gli In Flames hanno prodotto un disco composto da dodici pezzi di buona fattura, dunque riconosciamo tutte le caratteristiche fondamentali che li hanno accompagnato durante questi anni: cori melodici, atmosfere di grande effetto, riffs incisivi, parti ritmiche martellanti e una straordinaria orecchiabilità. Non si può essere passivi di fronte a ciò.

 

Fin dalla prima traccia, F(r)iend, titolo abbastanza perverso dato che friend (amico) e fiend (demone/diavolo) non sono proprio la stessa cosa, scopriamo un Anders Friden e soci molto in forma: un attacco dirompente ed inquietante apre la strada ad una strofa trascinante con un fondo vagamente melodico che è l'anticamera, di un nevrotico ritornello "urlato" con energia e stile, mentre ultima parte del pezzo è un mix di assoli ruvidi e delicati che si chiude seccamente. Gli In Flames hanno voluto mischiare un po’ le carte in tavola, creando sì un pezzo potente e accattivante, atipica, industrial nel suo procedere dritta senza tentennamenti, con freddezza: un incrocio improbabile anche se efficace tra i Rammstein più grezzi e i Godflesh meno grind e noise. Immediato. The Quiet Place, invece, è introdotta da un azzeccato riff, che sarà protagonista anche del chorus ad ampio respiro, e, complessivamente, rappresenta la meglio focalizzata sintesi degli attuali obiettivi musicali dei cinque svedesi, non a caso è stata scelta in qualità di singolo apripista. L'ambient e la melodia sottostanti si discostano abbastanza dallo stile degli altri pezzi e la voce pulita, leggermente filtrata, ricorda da vicino le soluzioni abbondantemente adottate da numerosi cantanti crossover e nu-metal.

Il terzo pezzo, Dead Alone, è assai contrastante sotto vari aspetti, a cominciare dalla voce e dalla ritmica definibile come “headbanging”. È da registrare un mood più scuro rispetto al lavoro precedente e una maggiore cattiveria soprattutto nella voce di Anders Friden, stavolta non pesantemente “distillata” come nel recente passato. Spartiacque. Un intro “profondo” conduce l’ascoltatore alla breve Touch Of Red, della quale è giusto far notare il ritornello, dove voce pulita e screaming si fondono, ed uno sporco arpeggio che si impossessa, con tanto di interferenze, dell'ultima parte della canzone.

In Like You Better Dead, in quinta posizione, gli scandinavi concedono un riff trascinante, molto "groove", difficile da descrivere, molto più facile da ascoltare.

Ciò nonostante, la gemma è prossima, trattasi di My Sweet Shadow. La mia canzone preferita. La composizione più bella dell’intero lotto, che viaggia tra bello e cattivo tempo, alternando rabbia a parti più lente e quasi acustiche, è dotata del miglior riff di chitarra, di chiara derivazione swedish, sul genere At The Gates dei tempi di Slaughter Of The Soul (2002) ed ha un un ritornello epico, con interludio in cui vi è una modulazione degli strumenti ispirata ai “cugini” Soilwork di Natural Born Chaos (2002). Azzardo: una delle migliori canzoni mai composte dagli In Flames. Esaltante.

Se nel disco c'è una lenta ballad, questa è, di sicuro, la dignitosa Evil In A Closet ricalca un po' le orme di Metaphor, tredicesima traccia di Reroute to remain (2002), superandola: laddove Metaphor si chiudeva in se stessa proprio nel climax emozionale, Evil In A Closet, soffusamente, si apre, esplodendo in tutta la sua malinconica voglia di rivalsa, come se la strofa deprimente fosse il preambolo ad una soluzione sofferta, ma necessaria, del gotico e potente ritornello. Convincente. Il ritmo torna incalzante con la nervosa e granitica In Search For I, ben valorizzando la tecnica di Jesper Strömblad e Björn Gelotte, pregevoli anche nella parte solistica, che nello splendido pezzo successivo Borders and shading, forse il più ancorato al passato: perfetto mix tra i vecchi In Flames, il metalcore e l'alternative, un capolavoro di songwriting ed un ritornello da brividi. Riguardo Superhero Of The Computer Rage e Dial 595 – Escape, oltre alla discutibile scelta dei titoli che sembrano uscire da un fanta-thriller, e ad un ritmica particolarmente trascinante in linea con le altre tracce, c'è da segnalare un’'atmosfera, a dir poco, inquietante. Terremotante è Superhero Of The Computer Rage, una traccia compatta e veloce, che riporta la mente ai tempi di Clayman (2000), dove le influenze hardcore ed anche un filino di punk sono più marcate, mentre nel ritornello si inseguono vorticosamente clean vocals ed acidi screams. Un elemento che negli album precedenti aveva un ruolo secondario, e che ora invece ha guadagnato più spazio, sono le tastiere e l’elettronica, in puro stile Depeche Mode. Ascoltando l’aggressiva Dial 595 - Escape è facile rendersene subito conto, ed in barba ai ciechi integralisti del metal, l’abbinamento funziona benissimo: le canzoni ci guadagnano in feeling, varietà e groove, pur non perdendo nulla in quanto a potenza, e qui ci tengo a sottolineare l’ottimo lavoro al mixer dell’esimio produttore Daniel Bergstrand. Dopo undici tracce è gratificante sentire che anche nell'ultima Bottled, con Anders Friden a menare le danze su un semplice arpeggio, la carica di energia e il gusto per i riffs pesanti non si è esaurita e tanto meno si prolunga nello strascico della bonus track Discover Me Like Emptiness, la più sperimentale e coraggiosa del disco, dove si riprende, in apertura, la melodia portante di Borders And Shading, col suo incedere plumbeo, soffocato e sotterraneo, malinconico a tratti. In definitiva, Soundtrack To Your Escape è un onesto disco, non privo di qualche incertezza, ma metallico fino all’osso e che conferma, ancora una volta, che la voglia di osare non significa necessariamente la fine di una band, specialmente se i risultati sono quelli ante descritti. Originale.

 
 
 
Vai alla Home Page del blog

AREA PERSONALE

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Luglio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30 31        
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963