Creato da Nekrophiliac il 21/02/2005

DARK REALMS V2

So, I've decided to take my work back underground. To stop it falling into the wrong hands.

 

 

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Post N° 94

Post n°94 pubblicato il 30 Aprile 2007 da Nekrophiliac
 
Foto di Nekrophiliac

UNDERWORLD: EVERYTHING, EVERYTHING  (2000)

« Right not privilege for everyone, and there was a basic level of survival. For money that everyone was. Entitled to. There are no bad students: only bad teachers. The power to deal with it, so you have to make everything as clear cut and simple as possible so that people understand ».

È ciò che segue al timido vociare della folla sottostante al palco. Di lì a breve le prime note di una superlativa Juanita/Kiteless: è il inizio sospirato inizio di un tentativo apripista nel campo della musica dance, non più intesa ingiustamente come un fenomeno da luoghi al chiuso, bensì da luoghi aperti. Spazio alle parole dello stoico Karl Hyde, vocalist degli Underworld, nonché fautore di una visione dell’elettronica come musica libera, improvvisata, da arricchire di sempre nuovi suoni, recuperati a destra e a manca: « tutto è iniziato dall’idea di fare un DVD. Era interessante l’idea di sfruttare le possibilità multimediali che questo supporto offre. Quindi si è trasformato anche in un disco, una testimonianza, come dicevo prima. Ci siamo finanziati tutto da soli e siamo contenti che le case discografiche, vedendo il nostro lavoro, si siano convinte che questo genere di idea funziona e ne abbiamo prodotte altre. Everything, Everything è stato una sorta di esperimento apripista nel campo, perché solitamente la musica dance non viene intesa come un qualcosa suonare dal vivo. Tuttavia, tengo a sottolineare che noi siamo una live band: suoniamo dal vivo, non usiamo campioni e suoni preconfezionati. Se non fossimo stati un gruppo di questo genere non avrebbe avuto senso concepire un progetto del genere. Da questo punto di vista la dance – almeno quella che facciamo noi - è più vicina al jazz: improvvisazione, uso libero di suoni. Miles Davis, a suo modo, era un grande DJ. Queste analogie strutturali poi, almeno in parte, spiegano anche l’uso del jazz da parte dell’elettronica contemporanea. Oltre ovviamente al fatto che nel jazz ci sono suoni bellissimi e registrati benissimo: una vera manna per chi cerca samples da utilizzare per costruire un brano dance ». A fronte di ciò e sulla scia del successo di tale disco, nonché a seguito delle incredibili esibizioni in riva alla Manica, l’idea del disco dal vivo fece capolino nella testa di Norman Cook, al secolo Fatboy Slim, che pubblicò non uno, bensì due dischi a testimonianza dei grandi risultati di pubblico: Live On Brighton Beach (2002) e Beach Boutique II (2002). Davvero, niente male. Pochi gruppi, nella breve storia della musica elettronica, possono vantare un importanza seminale come quella degli Underworld. Assieme a gruppi come gli Orbital e The Orb, hanno trovato il loro migliore mezzo di espressione artistica nel “verbo” musicale sintetico e sono riusciti a trasformare il genere elettronico in un “faro guida” sonoro. Il linguaggio elettronico utilizzato dagli Underworld è quello della techno colorata da suoni ambient, acidi, funk e house, un “pout pourri” sonico a 360°, tuttavia, diversamente da altri gruppi a loro contemporanei, il loro stile punta alla minimale semplicità, al diretto impatto del suono sulla mente e sul corpo di chi ascolta, e questa caratteristica dona ai loro brani un’immediatezza inconsueta in un settore musicale che spesso eccede per troppa cerebralità e stratificazione sonora. In aggiunta a ciò, è certo che la cornice d’arte visivia di Tomato, progetto artistico legato al gruppo, rende un simil concerto praticamente un’esperienza indimenticabile. Astratte immagini in movimento sono riprodotte di continuo su enormi schermi, mentre Rick Smith e Darren Emerson sono alle prese con il loro “armamentario” elettronico e Karl Hyde si dibatte come un pesce appena pescato, tra palco e realtà. Mixer e turntables divengono, per forza di cose, strumenti come gli altri, per iun sound che al mero impeto visionario della techno aggiunge, all'occasione, la deterrente intrinseca forza delle chitarre elettriche. La tecnologia, dunque, si pone al servizio dell’arte per valorizzare un talento che, altrimenti, sarebbe rimasto sconosciuto ai più e, per giunta, inespresso.

Juanita/Kiteless è il brano d’apertura. Un inizio lento. Reiterato. Macchinoso. Un istante prima di un’esplosione di suoni e colori. Ed una profonda voce: « There is a sound on the other side of this wall. A burning singing on the other side of this glass. Footsteps concealed. Silence is returning a voice. Walking in the wind at the water's edge. Comes closer covering my rubber feet. Listening to the barbed wire, hanging. When you walk away. You should walk away. When you walk away. You should remember! ».

La versione realizzata per Cups è prettamente strumentale. Un ritmo incessante. Profondi colpi di tastiera su vivide sfumature aeree.

Perfetta congiunzione fra testa, mani e cuore: Push Upstairs. Direttamente connessa a Cups, si snoda attraverso un testo solenne. Gridato tutto d’un fiato. Marziale. Al pari della energia che sprigiona una traccia del genere sin dalla prima nota.

Alienanti brividi per una sola parola moltiplicata quasi all’infinito: « crazy crazy crazy crazy crazy crazY craZY crAZY cRAZY CRAZY CRAZY CRAZy CRAzy CRazy Crazy cr AZyCRazy c RazYCRaZYc rAzy craz yc Razycrazy cRA Zy cr A  Zy CrazycRazycrAzycraZycrazY cRa zycr aZYcrAzycrazyc raZy cr Azy crazycraZY c raz YCraZy c raz ycRazyCraz ycr a  Zycrazy cRazy crazycrazyc razycrAZy CRAzy c r A z YCrazy cRazyCRAzY crazYcr azyCraZyCrazy cRAzy crA zyCRaz yc r azY cRazYcRAZyCrAzyCRazY c rAZYCRaz yC raZy cRaz y CraZy CRAZY crazy crazy crazy cRazycrazYC razy cRazy c raZycrA zycr AzyCraZY CRAZYcraZycrazy cr  AzY  crazYCrazy C r azycRazyCrazY c r azyCRAzYCrAz ycrazycRaz ycraZy Cra zy C raz ycRazy craZYCrAzycr azy  cRAz y cRAZycraZyCraz ycrazY craZyc raz ycra Zy cRAzyCRazy crAz ycRaZYCRAzycRa zy cr azy c raz Y cRAzYCrazy c rAzycrazyc RAZY CRazycrAzyc razyCRa zy cr azy crazy crazy cRAzyCRAzy crazyC razycr a ZYcraz ycRazy crazyCRaZycrazYcRAZycraZY crazy CrA z ycra ZY c rA zYcr azy craz y crazYcraZYCRAz y c razYCr azycrazy crazy cra ZYCraZy CrAzyc ra zYcrAzy cRAZY CRAZY CRAZY CRAZY CRAZY CRAzy cRazy c rAz YCrAZ yc Razycr azycrazycr AZYcrazycraz y CRAZY CRAZY CRAZY cRAZyC ra zyc razy cr azyCrazYcrazYCrazycr azy craZ y c RAZYC razycr azy crazy crazYcRazy crazy cRAZycrazy c razy ».

Pearl’s Girl è oscura nel suo devastante incedere. Frammentata in più strofe. Seppur magica al contempo. Con Jumbo si torna su linee melodiche più dolci. Una sorta di caldo e rosso Sole immerso in un verde bosco rigoglioso, prima che un ventoso vortice crei scompiglio.

Esatto. Shudder/King Of Snake è la sintesi della musica degli Underworld: velocità e vivacità rapportate al suono, potente e cadenzato, mai frivolo ed ossessionante al tempo stesso.

Finché, al rallentare della scrosciante musica, un instancabile Karl Hyde, in piena trance agonistica si lascia andare in un cantato inedito, un’aggiunta lirica non prevista: « Glass come down between us. Glass come and wrap around us. Glass come down and wrap around. Glass come all around us. Far and ahead between us. Ah come on snake! Hey hey hey hey. Come on snake! Hey hey hey hey. Come on snake! Hey hey hey hey. Come on snake! Hey hey hey hey. Come on snake turn to one. Come on snake turn to cry. Come on snake through the ground. Through the ground through the treetops. Come on snake turn to one. Come on snake turn to cry. Come on snake through the ground. Through the ground through the treetops. Come on snake threw me down. Come on snake all around. Come on snake threw me down. Come on snake threw me down all around all around. All ahead... ». Da pelle d’oca.

Ecco, direttamente dalla maestosa colonna sonora d’un film d’epoca, assunto a manifesto degli anni ’90, quale Trainspotting: Born Slippy [Nuxx].

Una sferzata di tristezza rapportata all’intensità dell’insieme di suoni che pare aver rivoluzionato l’approccio alla dance per un’intera generazione. Gli Underworld esprimono qui tutta la loro maestria sonica, da un lato nel “trattare” i suoni elettronici e dall’altro nel creare una sequenza musicale coinvolgente e mozzafiato. Chiusura affidata a Rez/Cowgirl.

 

E se la prima parte strumentale ammalia, strabilia il subentrante folle testo: « EvErYtHiGeVeRyThInGeVeRyThInGeVeRyThInG... I'm invisible. And a razor of love. Why don’t you call me I feel like flying in too. And a razor of love. Why don’t you call me I feel like flying in too. And a razor of love. And a razor of love ».

In conclusione, Everything, Everything finisce per essere un concentrato di puro entertainment. Signore e Signori, questa è classe. Meglio di qualsiasi droga.

 
 
 
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