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Il Demone Celeste

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Campiglia 2007

Post n°32 pubblicato il 24 Agosto 2007 da hachi.7

E' un intervento lunghissimo... Mi dispiace...

Campiglia 2007 – Official vertion

 

Cap.1 La Finta Schiava

 

Comincio a scrivere sapendo che sarà un racconto lungo o almeno riproponendomi di raccontare la mia esperienza col maggior numero di dettagli possibile, dato che la mia memoria è un colabrodo e invece ci sono molte piccole, insignificanti cose di cui vorrei far tesoro.

So che ogni esperienza è unica in sé stessa e che raramente, anche quando si vengano a riproporre situazioni simili, il risultato è soddisfacente. Per questo motivo sono un po’ triste ora che, di ritorno, mi rendo conto che non sarò mai più a Campiglia per l’ABC festival Apriti Borgo con quelle stesse persone in quella stessa casa. E se anche capitasse non sarebbe più la prima volta.

 

Sono arrivata a Venturina in treno quasi alle 14. Mi è venuto a prendere Massimo che doveva ritirare anche un suo collega in arrivo da Roma (tale Vecchiotti). Alla casa che ci era stata assegnata dal comune mi ha accolta A* un ragazzo bassino (molto bassino) che avevo già visto transitare per il teatro di Tavarnuzze, un aspirante scenografo allievo di Massimo che era sempre stato sulle sue (più ancora di quanto io solitamente stia sulle mie). Fortunatamente ha insistito per portarmi la valigia perché Campiglia Marittima, in barba all’idea che darebbe il nome, è su un discreto promontorio e le strade sono tutte salite e discese lastricate di pietra scivolosa. Così… ai miei primi due passi ero già per terra!!!

I primi giorni i miei coinquilini erano tutti scenografi e ne conoscevo soltanto un altro, poco più di quanto conoscessi il primo, M*. I restanti erano due ragazzi, G* e S* ed una ragazza Y° che sembrava orientale, ma affermava di non esserlo affatto. La casa (che tutti ricordano per essere stata occupata per un breve periodo dalla Cucinotta) aveva un vasto spazio rettangolare diviso tra salottino con divano-letto e camera da pranzo. Poi c’erano due camere da letto, di cui una abbastanza più grande dell’altra, il bagno (grandino, con doccia e vasca, anche se il tappo della vasca non funzionava) ed una piccola stanzetta con la lavatrice e lo stendino.

Una sistemazione davvero comoda, proprio in centro al paese.

Gli altri erano arrivati da circa una settimana, ma si erano appena trasferiti lì da un’altra casa meno bella. Qualche problemino, intendiamoci, l’aveva anche la casa della Cucinotta: non era proprio pulitissima, soprattutto le stoviglie e la doccia era guasta. I primi due giorni c’è toccata lavarci con l’acqua fredda. Poi il divano-letto puzzava di muffa in maniera insopportabile e il materasso matrimoniale sottile faceva conca nel mezzo. Fortunatamente Massimo ha risolto il problema trovando due ex porte di legno (normalmente usate come tavoli di fortuna nelle feste e con un vago sentore di pesce) e mettendole tra le molle e il materasso. Pare che il risultato non fosse troppo scomodo anche se un paio di persone che, non sapendolo, si son lasciate cadere su di peso hanno avvertito un bel colpo! Io e Y°, cmq, eravamo sistemate nella stanza più grande che aveva due comò con specchi giganteschi (utilissimi se ti vuoi truccare e a disposizione c’è un solo bagno!).

Eravamo vicinissimi ad un campanile. Le campane suonavano l’ora e la mezz’ora. L’ora veniva riecheggiata da un campanile n.2 che partiva in differita. Ce n’è voluta ad abituarsi…

I ragazzi, aiutati occasionalmente da qualche altro studente che gravitava (tra cui T° e A°) stavano seguendo la messa in scena di un’opera comica intitolata la Finta Schiava che era stata intermezzo della rappresentazione della Locandiera di Goldoni nel 1754 e poi era caduta nell’oblio fin tanto che uno studente del DAMS (credo) appassionato di lirica non l’aveva rispolverata per la tesi. Non so bene per che strade il suddetto studente (Paolo, detto Paolino Ugola Benedetta dal Signore) si era fatto affidare la regia per rimetterla in piedi e gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Firenze erano stati sollecitati a disegnarne le scenografie. Paolino aveva scelto quella disegnata da G*. Massimo (che è docente, appunto, di scenografia) aveva poi invitato gli studenti a partecipare alla realizzazione. M*, S* e G*, oltretutto, erano stati sfruttati anche come comparse mute e incarnavano la parte più spassosa dello spettacolo. A* si era tenuto fuori dal palco, come addetto alle luci e comunque per trascinarlo sul palco l’avrebbero dovuto chiudere in un sacco.

In quella casa in via della Posta 1 ero l’unica che non aveva quasi nulla da fare. Paola mi aveva consegnato la novella da imparare (una totalmente diversa da quella su cui fin ad allora mi ero esercitata). Dopo averne riadattato le rime ed averla imparata a memoria però avevo finito. Al mare non potevo andare perché non avevo la macchina. Così passeggiavo per il paese, sbirciavo i lavori in corso e le prove e… pulivo la casa. Nonostante in genere io non sia ordinata e non ami i lavori domestici ero veramente soddisfatta di aver trovato qualcosa di utile da fare. Se pensate che il bagno (di cui fruivamo in 6!) aveva le mattonelle bianche, potete capire che tutti erano contenti della mia decisione.

Y°, al primo anno di accademia, mi era simpatica. S* e G* facevano un po’ di colore, di casino. A* e M* … A* e M* andrebbero ripresi costantemente perché insieme sono una forza. L’uno è tutto fighetto (tanto da lavorare completamente vestito di bianco, scarpe comprese), l’altro artista dai sandali di pelle, i vestiti di tela e il cappello di paglia. Uno sempre nervoso, l’altro sempre calmo.

Due parole su Paolino. Quando l’ho intravisto per la prima volta ho pensato che era un bel ragazzo. Capelli scuri, occhi verdi. Poco dopo però ho scoperto che era troppo gay per essere vero. Un gay da stereotipo pieno di paranoie e che non dava tregua agli scenografi con richieste assurde come cambiare il rivestimento di una poltrona di scena prendendo quello di un’altra di forma diversa (ciò il giorno stesso della prima). Il pervasivo Paolino sembrava avere una predilezione per A* che, ahi ahi, è pure particolarmente insofferente sul tema. In questi giorni a Campiglia abbiamo incontrato una quantità di Personaggi. Paolino era certamente tra questi. Un giorno, per dirci che non avrebbe cantato perché non aveva molta voce, ha riferito che sarebbe stato sostituito dato che la sua ugola benedetta dal Signore (ipse dixit) era fuori uso.

In questi primi giorni mi ha colpito il fatto che nessuno beveva! La sera della prima della Schiava siamo usciti “a bere”. Io stavo pensando a che cocktail prendere. Poi passano ad ordinare loro e chiedono “un’orzata”, “una sprite”, “un caffè”, “un cappuccino” ?!?! Io quasi pensavo che scherzassero… La frase “andiamo a bere qualcosa” detta la sera credevo che escludesse tutte le loro ordinazioni. Non si finisce mai di imparare…

 

Cap.2 Pre Festival

Il 7 sono ripartiti S*, G* ed Y° e sono arrivati gli altri “attori”, Mr*, B* e G*. Visto che diventavo l’unica ragazza hanno deciso di assegnarmi la stanzina ad uso esclusivo mentre un altro letto è stato messo nel salotto. Mi sentivo un po’ in colpa, ma visto che era un’idea loro e che la presenza di un unico bagno mi dava pensiero per i vari cambi ho accettato ben volentieri. Inoltre… tutti si erano accusati l’un l’altro di russare. Un valido motivo per apprezzare la privacy notturna.

Già la prima sera col nuovo set di coinquilini ero completamente sbronza (e tuttavia li ho stracciati a texas holden o qualcosa dal nome simile a cui non sapevo giocare manco per idea ;°__°) (evidentemente avvinazzata ho più fortuna).

Dal 7 all’11 proprio tantissimo da fare io non l’ho mai avuto. Anche in questo caso si trattava di dipingere, inchiodare, tagliare, limare e (non a torto) mi sa che non si fidavano troppo di me. Ho fatto piccole cose come scartavetrare qualche cantinella, lavare i pennelli, passare lo stufex e, soprattutto andare da questo a quello e da quello a questo a portare viti, seghe, morsetti. Cmq ho continuato a tenere la casa in condizioni decenti il che mi sembrava poco, vista la mole di lavoro che si sobbarcavano gli altri (soprattutto M* ed A*), ma che continuava ad essere molto apprezzato.

Oltre a sistemare i nostri “oggetti di scena” (diciamo così) i ragazzi stavano preparando delle cornici e dei piedistalli per i pittori e gli scultori che avrebbero esposto (tra cui il capo dei vigili locali, che spesso veniva a controllare i lavori in corso, vagheggiando di iscriversi tardivamente all’Accademia). Non si può dire che tirassero via, nonostante dovessero produrre in poco tempo un numero elevato di oggetti (mi pare che le “cornici” fossero una trentina). Ogni cosa si componeva di un complesso (e gradevole) incastro di pezzi di legno. Se passavo la mattina e poi nel tardo pomeriggio trovavo cataste di compensato completamente trasformate. Purtroppo non era tanto divertente stare là… tanta efficienza limitava le chiacchiere. E poi c’erano sempre almeno due che martellavano.

Ho notato che tanto più li vedevo impegnati nella costruzione delle strutture per il festival più mi sentivo motivata a tenere tutto a posto a casa. Quando la mole di lavoro è calata ed anche io ho avuto da fare qualcosa, cioè dall’11 in poi, la verve casalinga mi era un pochino calata.

 

Cap 3. Personaggi

Ho detto che a Campiglia ho incontrato una gran quantità di Personaggi, soggetti tanto particolari in sé stessi da risultare interessanti. Paolino è stato il primo che ho identificato, ma poi se ne sono affacciati molti altri. Uno era l’assessore alla Cultura, Angelo Fedeli, che ha il mio voto virtuale, ma di cui accennerò qualcosa dopo (sto scrivendo questa parentesi nel mezzo di un racconto già incominciato). Poi c’era in blocco tutta la famiglia della PizzOsteria i Quattro Gatti, che ci foraggiava. Quando sono arrivata, per qualche infelice congiunzione astrale, sono incappata in un paio di giorni di pasti orribili (tanto da valutare l’idea di cucinare in casa, nonostante mangiare da loro fosse gratis), ma dopo, generalmente, ho sempre mangiato bene. Pesante (pasta e carne a pranzo e cena, spesso senza contorno o cmq senza verdura né frutta), ma buono.

Se avevano molta gente prendevamo la roba e la mangiavamo a casa. Era sempre tremendamente abbondante e sono rimasta allibita notando come, con tante bocche maschili a disposizione, spesso toccasse a me ed A° (da non confondere con A* che mangiava meno di tutti) finire, aiutate da G*.

Finire qualcosa era in ogni caso piuttosto raro. Avevamo sempre qualche avanzo in frigo. Nonostante ordinassimo per una persona in meno arrivavano pozioni sufficienti a tre persone in più!

Ma tornando ai Personaggi: i 4 gatti sono una famiglia di 4 persone. Ora il negozio è guidato dal figlio, la madre fa da cuoca, il padre si occupa delle consegne a domicilio e di pulire i tavoli e la figlia non lo so perché è stata un vacanza per quasi tutto il periodo. La signora è una donna stagionata dai capelli corti visibilmente tinti di biondo, il trucco piuttosto pesante e scolli pronunciati che lasciavano intravedere un tatuaggio di una rosa sul seno. Una delle nostre prime conversazioni è stata inerenti alla comune passione per i gatti. Dopo un paio di commenti generici sui meravigliosi felini  si è abbandonata alla descrizione del proprio, riportandomi un classico scambio di effusioni “glielo dico sempre: amorino, mostrami il pisello!”. Avrei voluto vedere la mia faccia perché devo essere sbiancata. In ogni caso ho perso il filo del discorso, col cervello impallato nel tentativo di conciliare la tenera immagine di un micione con quelle parole. Come se non avessi capito bene mi ha pure ripetuto la frase due o tre volte. Ma lei è bella per questo, non certo perché brilli di raffinatezza. Il marito ha un’aria svagata, preso in un suo mondo bello placido. Se provi a chiedergli qualcosa ti risponde che non sa nulla e che devi chiedere al “capo”. I primi giorni non avevo capito bene se lavorasse o meno nel piccolo ristorante.

Spesso là si aggirava un ragazzino che doveva avere una decina di anni, tondino, con gli occhi azzurri ed i capelli rasati con tre strisce più rade. Lo chiamavamo “il pescatore” perché la prima volta ci aveva raccontato alcune avventure di pesca. Era un fenomeno. Parlava come un adulto. Scherzava come il più acuto dei paesani, brusco e sicuro di sé.

Poi c’era il Generale, il dipendente fisso della Pubblica Assistenza, che sulla tuta gialla e arancione indossava un baschettino azzurro, portava un anello per dito e faceva il cascamorto con tutte.

Massimo stesso è un personaggio non indifferente visto come si annoda mentre lavora o balbetta quando parla (notavamo che sta migliorando, ultimamente). L’amico cantastorie, direttore artistico della manifestazione, era notevole pure lui: un po’ strabico, col look da Mangiafuoco, una gestualità accentuata ed una gran voglia d’essere al centro dell’attenzione. Temevamo molto il suo giudizio sulle nostre performance. Per lui narrare fiabe per strada è un’arte affinata in una vita, mentre noi eravamo assai poco convinti delle nostre capacità. Tuttavia alla fine è sembrato soddisfatto.

 

Cap. 4

Gli scenografi erano tutti apprendisti in qualcosa che intendevano fare nella vita a differenza di noi “attori”. Io beh… sono dottoressa in nonsocosa, Mr* si sta laureando in ingegneria, B* in architettura e G* nel DAMS. Ecco… di tutti G* forse è quello più “del campo”. Credo che sia più interessato alla regia che alla recitazione, ma ha continuato a collaborare a qualche spettacolo o filmetto anche al di fuori del nostro teatrino. Anni fa ebbe una piccola parte nel film su Don Milani dei fratelli Frazzi (detto per inciso, il Frazzi superstite si aggirava per Campiglia in questi giorni, anche se io non l’ho visto e se l’avessi visto non l’avrei riconosciuto). Nelle parti comiche è insuperabile e questa volta gli era stato affidato l’arduo compito di fare da imbonitore.

B*, io, Mr*, la Paola e Gl° (un’altra ragazza che ha fatto teatro con me e che a Campiglia ha una casa… perciò stava con noi solo dalle 20 alle 22:30) avevamo delle postazioni fisse lungo una viuzza ripida chiamata via delle Scuole, che portava alla piazza del Poggiame (e perciò è conosciuta anche come via del Poggiame). Gli studenti dell’Accademia di una certa classe, per l’esame di scenografia avevano dovuto progettare delle istallazioni sul tema “le Fiabe Italiane di Italo Calvino”. Credo che per l’esame fosse previsto solo il progetto perché solo la ragazza della mia istallazione e T° sembravano aver materialmente curato la realizzazione delle loro opere. Le altre erano state approntate da studenti volenterosi e dagli infaticabili M* & A*. Almeno così m’è parso di capire. La mia, ispirata alla novella Bene come il Sale era una scatola nera di forma esagonale di cui ogni faccia si poteva aprire e rivelava una scena della storia. I personaggi andavano inseriti in piccole guide di cartoncino e la cosa era piuttosto lunga e delicata. Già la prima sera un pezzo si era scollato ed io maledicevo Gio°, la creatrice.

Per colmare le pause durante le quali aprivo e montavo le scene, A° suonava un carillon.

A° è anche lei una laureanda di Massimo. Lei e T° stanno entrambe a Venturina  (che potrebbe essere la Campiglia Bassa, per intenderci) perciò vengono coinvolte nel festival ogni anno.

Sulla strada, la mia era la seconda istallazione. In cima in cima stava G* con un organetto e spingeva le persone su per la salita.

[Quanto al lavoro di imbonitore di G* voglio raccontarvi un aneddoto che mi è stato raccontato, dato che non potevo lasciare la postazione:

mentre si muoveva tra la folla un ometto aveva toccato il suo strumento musicale. Lui ha colto l’occasione e gli ha chiesto se volesse provare a suonarlo. Questi, ben contento, aveva cominciato a girare la maniglia, ma non usciva suono perché G* aveva azzerato l’audio. Ogni volta che riprendeva lui l’organetto G° rialzava l’audio senza farsene accorgere e dava all’uomo consigli assurdi come tirare una certa leva inutile. Alla fine è riuscito a convincerlo ad alzare e abbassare un orsacchiotto e solo allora ha rialzato l’audio e quello, tutto felice, aveva esultato “Funziona!”]

Poi si incontrava B* che raccontava “Gallo Cristallo” (la fiaba sulla quale mi ero preparata io, salvo che alla fine Paola aveva reputato Bene come il Sale più femminile) con due ruote di legno su cui poter piazzare i personaggi ritagliati nel legno ed attaccati a delle mollette. B*, anche se non è interessato alla carriera d’attore, ha notevoli doti istrioniche e sentivo arrivare delle grasse risate dalla sua parte. Tuttavia quello che riesce a B* in maniera sopraffina sono le imitazioni. La sua migliore imitazione era quella dell’assessore alla cultura di Campiglia, tal Angelo Fedeli, un buon compagno, molto “del popolo”, con fortissimo accento livornese e che si dava un gran da fare (da litigare coi vecchini irritati dai rumori notturni della festa a spostare pannelli a spazzare per terra) e non aveva idea di come fare un discorso pubblico decente (d’altra parte sono i fatti che contano, no?). La sua altra imitazione fantastica era quella del nostro A*, con il suo accento che mi avevano presentato come napoletano (sono stata convinta che fosse napoletano fin tanto che non mi ha detto esplicitamente di non essere proprio di Napoli - comunque mi sembrava un accento diverso da quello di S* che invece sta molto più vicino alla città).

Dopo di me c’era il buon Mr* che sicuramente è meno portato degli altri due a gestire le “folle” ma con l’impegno riesce egregiamente. La sua istallazione prevedeva un sacco di piccole scenette raffigurate da personaggi realizzati mirabilmente in fil di ferro da una studentessa erasmus. Era la storia del “Principe che sposò una rana”.

Ad orari prestabiliti la Paola rappresentava la Prezzemolina nella terrazza del Mancino (dove spesso andavamo a mangiare tutti insieme). Aveva un baule con tutti i folletti sia dentro che intorno e se ti affacciavi al buco della toppa vedevi tantissimi uccellini colorati. Un bel lavoro, molto preciso, realizzato da T°.

L’istallazione della Gl°, La testa della Maga, che chiudeva il percorso, era un castello con delle finestrine che aprendosi rivelavano alcune scene.

Nessuno di noi aveva mai fatto teatro di strada e per inciso ci eravamo trovati invischiati per caso… nel senso che quando ci avevano chiesto di partecipare sembrava che avremmo recitato su un minimo di palco, ad orari prestabiliti, che è tutta un’altra cosa dal dover placcare il pubblico e gestire quello che ti capita, dal tipo che ci prova, al telefono che squilla, ai pischelli cretini che ridacchiano e commentano. Anche se ce la siamo cavata bene (dico con un certo personale orgoglio) non mi è piaciuto particolarmente. Non c’era abbastanza tempo per istaurare un rapporto col pubblico né per calarsi in un personaggio e godersi la trasmutazione. La prima sera è stato un tormento. La seconda pure. La terza era meglio… peccato che cominciasse a serpeggiare il mal di gola. Non faceva caldo ed avevamo vestiti leggeri. Poi, da bravi disgraziati, uscivamo la sera e facevamo tardi (staccavamo alle 22:30, avevamo da cambiarci, mangiare e uscire… fare le 2 era automatico!). Insomma… io ancora al terzo giorno non stavo malaccio. Almeno ero in buone condizioni quando è passata Rai 3. Il servizio è andato in onda nel TGR della mattina e della sera e pare che mi si vedesse parecchio sia nell’uno che nell’altro. Ci hanno detto che poi è passato anche su RAI 1 della mattina. In realtà sono stati in molti a fare video e foto con attrezzature più o meno professionali e sarei veramente curiosa di sapere dove è andato a finire tutto questo materiale. Mi diverte pensare che qualcuno si porterà le mie foto in Germania o chissàdove perché molti erano certamente turisti. Il quarto giorno il mal di gola mi devastava, avevo la morsa alla testa… una vera schifezza. La notte immagino di aver avuto la febbre. L’ultima sera, tuttavia, a parte un po’ di raffreddore, stavo benino.

 

Di tutto il resto di Apriti Borgo abbiamo goduto ben poco. Quando cominciava noi ci vestivamo (tutti di bianco) ed alle 20 facevamo una piccola sfilata per poi piazzarci alle nostre postazioni, dalle quali non ci staccavamo prima delle 22:30, se non dopo. A quel punto la fame e la necessità di cambiarci ci portava a casa. Arrivavamo appena in tempo per vedere dalle finestre (in una posizione molto privilegiata) il suggestivo spettacolo dei messicani (la Compagnia Itzaes). Era un gruppo abbastanza numeroso. Facevano evoluzioni varie col fuoco al ritmo incalzante dei tamburi. Un gran baccano e un gran fumo, però ci invidiavano tutti perché tra i vari show era uno dei più gremiti.

Una volta scoperta la nostra posizione abbiamo cominciato a trovarci in casa via via la gente più assurda. Massimo e la Paola avevano da prima incitato l’assessore e noi i nostri amici Gatti, ma poi sono passati: la sindaca (che non avevo mai visto, quindi non ho riconosciuto), un cameraman di RTV38 con una tipa sexy in rosso che non so come avesse fatto a muoversi coi tacchi che si ritrovava, tutte le amiche della sorella gatta, senza contare i nostri amici o parenti in visita.

Finito quello era finito anche il resto. Non ho mai visto la via degli artisti (pittori, poeti e scultori), per dire, anche se non ne sono del tutto dispiaciuta perché con gli artisti avevamo un contenzioso (in cui non ero, ma mi sentivo coinvolta): alcuni tra loro, dopo aver fatto costruire la cornice e il piedistallo, avevano deciso poi di non usarli!!! Avevo partecipato in modo infinitesimale alla loro costruzione, tuttavia sapevo il lavoro richiesto e questo bastava per farmi desiderare di spaccarli loro in testa. Invece avrei bazzicato volentieri la via del gusto visto che me ne avevano parlato bene e poi bisogna dire che il cibo dei 4 Gatti aveva un po’ stuccato. Ma insomma…

Da quello che dicono i miei (che sono venuti gli ultimi giorni) era davvero una bella festa, con bancherelle gradevoli (una buona volta, tutte di artigianato locale) e molti spettacoli di buon livello.

Oltre a noi e ai messicani c’erano gli indiani, che pare fossero suggestivi, molti acrobati, musicisti, giocolieri etc.

 

Cap.5 Il Mare

 

Inizialmente sembrava un sogno proibito. Mi ci hanno portata per una scappata veloce la prima volta l’8, ma c’era “il Libeccio, dè, Bimbi! Stronca tedeschi e fiorentini!” Libeccio o meno, c’era mare mosso. Ci siamo tornati dopo qualche giorno ed era bel tempo. Baratti è un bel golfo. Poi pranzavamo al paninaro là vicino, che fa tante cosine belle leggerine come l’ottimo panino salsiccia e scamorza o il mitico (che io non ho assaggiato) Cavatore con lardo e acciughe verdi o l’appetitoso Appetitoso, che non ricordo cosa contenesse ma era ottimo. Uno un po’ più soft, ma stuzzicante era con pecorino e miele, avvolto da pane integrale. Stare tutti in pineta a mangiare panini “porchissimi” era un bel momento. Ad un certo punto avevano cominciato ad unirsi anche altri amici dei miei coinquilini, perciò eravamo un notevole gruppone, quasi tutto al maschile (esperienza più unica che rara nella mia vita O.o).

Non siamo mai andati al mare da nessun’altra parte.

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